Ingredienti per darsi coraggio

George Lakey

Gli spettatori dello splendido film “Selma” potrebbero domandarsi “Avrei avuto il coraggio in quella situazione di unirmi a proteste che potrebbero lasciarmi gravemente ferito o peggio?” Ecco gli ingredienti per darsi coraggio.

Ho imparato qualcosa di utile sul coraggio da un domatore di leoni che ho incontrato in un mio giro di conferenze nei Paesi Bassi, una prospettiva ben diversa da quanto ho letto negli scritti di Gandhi. Che sollecitava la sua gente a diventare intrepida, ma io avevo dubbi sulla mia capacità di smettere la mia paura. Il domatore di leoni m’invitò a un nuovo modo di pensarci.

Incontrai quest’olandese alla buona perché era il mio anfitrione a Utrecht. Era già pensionato da un circo, ma quando scoprì quant’ero interessato alla sua carriera, s’offrì di mostrarmi brogliacci del suo lavoro con tigri e leoni. Una delle pagine comprendeva una sua foto con la testa fra le fauci di un leone enorme. Trattenni il respiro, poi dissi “Che coraggioso che è lei!”

“No, George,” disse sorridendo. “I miei colleghi domatori sono coraggiosi, ma io sono peculiare. Per qualche ragione fin da ragazzo sono sempre stato affezionato ai felini. Quando lavoro con un leone, non ci vedo qualcosa di spaventoso; vedo solo un gran micione”.

“Per essere coraggiosi” continuò “è necessario essere impauriti. Quando lo si è e si fa qualcosa comunque, allora quello è coraggio”.

La prospettiva del domatore olandese mi fu d’aiuto, perché non potevo immaginare alcuna disciplina personale/spirituale che potesse rendermi intrepido. Quel che è reale per me è riconoscere le mie paure e tuttavia scegliere di pormi a rischio. Ho imparato che posso sviluppare quella qualità che il domatore definisce coraggio, e come tutte le cose che vogliamo rafforzare, riconosco che qualche giornata sarà migliore di altre.

Costruire coraggio dietro le quinte

Importa il contesto nel costruire coraggio, ed è significativo che la campagna di Selma del 1965 si basasse sulla Mississippi Summer dell’anno precedente. Come membro del personale formativo per le centinaia di universitari prevalentemente del Nord venuti a Oxford, Ohio, per prepararsi al loro tuffo nello stato del Mississippi, ho osservato gli studenti diventare giovani leoni pronti ad affrontare il terrore del Ku Klux Klan.

Missione dichiarata degli studenti era insegnare in Freedom Schools [Scuole della Libertà] e organizzare afro-americani a provare a registrarsi per il voto nonostante una greve repressione. Loro missione non dichiarata era attirare l’attenzione del nord alla segregazione intransigente e costringere il governo federale contro la sua volontà a sostenere il diritto di voto. L’assunzione di grossi rischi degli studenti del nord sarebbe stata l’esca per l’attenzione, e avrebbe potuto perfino offrire una certa misura di protezione agli operatori schierati sul campo del Comitato di Coordinamento Studentesco Nonviolento (SNCC), in Mississippi fin dal 1961. Addirittura per prendere l’autobus per la sede d’addestramento, la gran parte degli studenti avrebbe fatto i conti con una forte opposizione della famiglia e degli amici, timorosi per la loro sicurezza fisica.

Organizzammo la sessione formativa in “infornate” di una settimana — circa 400 la prima settimana e più o meno altrettanti la seconda — sul campus della Miami University in Ohio. La formazione si basava molto sul gioco dei ruoli, la riflessione e intense discussioni con operatori del SNCC, alcuni giovani come gli studenti.

Con i diplomati della prima settimana già in viaggio per il Mississippi accogliemmo gli studenti per la seconda sessione formativa. Avevamo appena cominciato quando fummo tutti convocati nell’ auditorium dove c’erano dei capi-progetto visibilmente molto preoccupati sul palco. Ci dissero che mancavano James Chaney, Michael Schwerner e Andrew Goodman. Il primo era un operatore SNCC; gli altri due erano studenti che erano stati seduti proprio lì nell’auditorium la settimana prima. Tememmo il peggio. I corpi furono ritrovati in seguito.

Pur essendo storia di 50 anni fa, ho il vivido ricordo di essere lì seduto nell’auditorium a pensare che al calar della notte quasi tutti gli studenti sarebbero partiti per casa. Nessuno poteva essere pronto per una tragedia che aveva colpito troppo presto.

Mi sbagliavo sugli studenti. Reagirono positivamente alla nostra proposta d’addestramento riadattata: sedi multiple per il lavoro emotivo, compresi rapporti a quattr’occhi, gruppetti che cantavano sotto gli alberi del campus, gruppi maggiori in ascolto di storie di operatori SNCC e d’altri. Passarono le ore e la comunità crebbe; quasi nessuno sembrava partire. Gradualmente tornammo alla modalità dei seminari pur facendo garbatamente spazio all’espressione di paura, dolore, dubbi sulla disciplina nonviolenta e la rabbia.

Alla fine della settimana quasi tutti gli studenti andarono in Mississippi. L’eccellente documentario PBS sull’Estate di Libertà mostra che cosa vi accadde. (Si può leggere sulla campagna nel Global Nonviolent Action Database). Il coraggio del SNCC e degli studenti — più quello degli abitanti neri del Mississippi — mise i diritti di voto al centro delle richiste e creò il contesto per lo sfondamento del 1965 catalizzato dalla campagna di Selma.

Strumenti per superare la paura

Molti di noi non saranno mai di fronte a una situazione di terrore come quella del Mississipp pre-anni 1970, ma la gran parte di noi sperimenta sì la paura e potrebbe voler imparare come trattarla. Uno strumento è sapere che il coraggio è contagioso: Se si agisce in modo più baldo, ci sono buone probabilità d’ispirare altri a trattare la propria paura e farsi avanti.

Da creature profondamente sociali, gli umani imparano l’arte del coraggio in comunità. Che potrebbe essere una ragione per cui il movimento dei diritti civili nel Sud ha stabilito primati di coraggio: gran parte del movimento aveva la propria base in chiese , dove già fioriva la comunità. Per i movimenti di oggi — per la giustizia climatica, contro la carcerazione, per la riforma scolastica — costruire una comunità intanto che si costruiscono le nostre campagne avrà ricadute positive..

Una caratteristica sovente non riconosciuta della preferenza dei movimenti sui diritti civil per campagne estese nel tempo rispetto a proteste singole è che una campagna dà tempo per ispirarsi vicendevolmente a una maggior baldanza. Io distinguo fra coraggio e bravata. Quando si fanno bravate, si negano le proprie paure, fingendo che ci sia poco o punto rischio, e si conta sull’ impulso e l’adrenalina per aiutarsi a superarle. Ne ho viste in abbondanza nelle proteste singole, ma nelle campagne è più probabile che si abbia un effettivo empowerment — “gente comune” che non s’identifica come attivisti, che entra in contatto con le proprie radici autentiche di convinzione e coraggio.

I laboratori formativi accelerano la costruzione del coraggio, specialmente se i formatori aiutano i partecipanti a rendersi consapevoli della differenza fra la “zona di comfort” e la “zona d’apprendimento”. I facilitatori di Training for Change ammettono di non fare del proprio meglio quando permettono agli addestrandi di restarsene nelle proprie “zone di comfort”. Si ha apprendimento quando i partecipanti, pur oggettivametne al sicuro, si sentono a disagio.

“Espansione” non è una brutta metafora per coraggio. Quando espandiamo il nostro corpo inspirando profondamente, ed espandiamo la nostra empatia parlando con persone diverse da noi, ci potenziamo e sosteniamo il coraggio di cui abbiamo bisogno per affrontare effettivi pericoli.

La paura (FEAR) è come una storia che ci inventiamo. Ha un inizio (adesso), un centro (l’atto audace),e una fine (disastro). F.E.A.R. sta per: Fantasized Expectations Appearing Real [Aspettative fantasiose con apparenza reale]. Il saperlo invita un’alternativa: Usare la propria immaginazione per inventare una storia diversa!

C’è un metodo aggiuntivo che funziona per me. Mi sono messo in pericolo fisico molte volte (con coltelli, perfino pistole, già estratte) e ho consapevolmente rischiato la vita in un’azione sociale. Benché abbia una buona immaginazione e sappia fantasticare di terrificanti conseguenze come chiunque, la verità è che ogni volta non ho avuto modo di sapere quale sarebbe stata la fine effettiva della story. Ho imparato a decidere in base alle probabilità anziché alla fantasia, poi concentrandomi sull’essere presente con la mia squadra.

Rinquadrarsi per incanalare l’energia

La buona notizia è che non siamo alla mercé né delle nostre fantasie, né della ghiandola adrenalinica che pompa ormoni come se lì davanti ci fosse davvero qualcosa di spaventoso. Chiesi una volta a un pianista da concerto le sue sensazioni su un concerto di grande impegno, e mi disse che la sua condizione solita prima di qualunque concerto era il battito cardiaco affrettato noto come timore del palcoscenico. “In conservatorio ci hanno insegnato come trattarlo: trovare il pulsante che commuta la paura in eccitazione”. La fisiologia della paura e dell’eccitazione è la stessa. “Quando mi rinquadro mutando quella tachicardia in eccitazione, suono un concerto migliore” spiegò. “Se per qualche motivo l’adrenalina non pompa una qualche sera, sono meno vivo ed è una prestazione più piatta”.

In un’azione sociale abbiamo un enorme vantaggio rispetto a un narratore solista sul palco: possiamo avere sostegno dai più svelti ad azionare il pulsante dell’eccitazione dandoci quello sguardo riassicurante. Guardiamo al gruppo d’affinità, prendiamoci il rischio, e sperimentiamo il coraggio.


11 febbraio 2015

Titolo originale: Ingredients for building courage

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


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