8 modi per difendersi dal terrorismo in modo nonviolento

George Lakey

Uno dei miei corsi più frequentati al Swarthmore College si focalizzava sulla sfida di come difendersi dal terrorismo, in modo nonviolento. Gli avvenimenti in corso in Francia rendono quel corso più rilevante che mai. (Il programma di studio è stato pubblicato in “Peace, Justice, and Security Studies: A Curriculum Guide” nel 2009) In effetti, la “guerra al terrorismo” internazionale post-11 settembre è stata accompagnata da più minacce effettive di terrorismo quasi ovunque.

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In primo luogo, chi sapeva che tecniche non-militari, in reali casi storici, hanno ridotto la minaccia del terrore?

Ho raccolto per gli studenti otto tecniche non-militari che hanno funzionato per un qualche paese. Esse comprendevano la “scatola degli attrezzi” con cui dovevano lavorare gli studenti. Non abbiamo speso tempo a criticare il contro-terrorismo militare perché più interessati alle alternative.

Ogni studente scelse un paese da qualche parte del mondo attualmente minacciato dal terrorismo e, assumendo il ruolo di un consulente per quel paese, escogitò dalla nostra dotazione strumentale nonviolenta una strategia di difesa.

Fu un duro lavoro, e molto stimolante. Quasi tutti gli studenti ebbero un ruolo da giocare, e qualcuno elaborò strategie brillanti.

Agli studenti piacque in special modo la simulazione di effetti sinergici — cioè che succede quando la tecnica #3 interagisce con la #2 e 5, per esempio? A quel tempo avrei voluto avere un semestre aggiuntivo per trattare la complessità di rendere gli strumenti non solo additivi, bensì di scoprire come l’insieme divenisse più potente della somma delle parti.

Alcuni studenti che supponevano cruciale la difesa militare si aprirono a una prospettiva più ampia. Si resero conto che, dato il successo di alcuni paesi nell’utilizzo di appena due o tre di tali strumenti, c’è un significativo potenziale non utilizzato: e se i paesi usassero tutti quegli strumenti insieme, con le sinergie che ne risultano? Per me sorse la domanda: perché le varie popolazioni non potrebbero affidarsi interamente alla “scatola degli attrezzi” nonviolenta per la propria difesa dal terrore?

Quali sono le otto tecniche?

1. Costruzione di alleati e infrastruttura dello sviluppo economico

Povertà e terrorismo sono indirettamente connessi. Lo sviluppo economico può ridurre le reclute al terrorismo e guadagnare alleati, specialmente se attuato in modo democratico. Il terrorismo dell’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese) in Irlanda del Nord, per esempio, fu molto ridotto dalla creazione capillare di posti di lavoro, dallo sviluppo economico.

2. Riduzione dell’emarginazione culturale

Come hanno imparato Francia, Gran Bretagna e altri paesi, l’emarginazione di un gruppo entro la propria popolazione non è prudente né sensata; in tali condizioni crescono terroristi. Vero anche a livello globale. Molta emarginazione non è intenzionale, ma può tuttavia essere ridotta. La “libertà di stampa”, per esempio, si trasforma in “provocazione” allorché emargina vieppiù una popolazione che si trova già a un gradino più in basso, come lo sono i musulmani in Francia. Quando il Canada anglofono ridusse l’emarginazione presente nel paese, ridusse anche la minaccia di terrorismo dal Quebec.

3. Proteste e campagne nonviolente fra i difensori, più un peacekeeping civile disarmato

Il terrorismo avviene in un contesto più vasto ed è perciò influenzato da tale contesto. Alcune campagne terroristiche sono terminate perché hanno perso sostegno popolare. Ecco perché l’uso strategico del terrore cerca di ottenere attenzione, provocare una reazione violenta e guadagnare altro sostegno nella popolazione più ampia.

L’insorgere e il decadere del sostegno al terrorismo è a sua volta influenzato da movimenti sociali che utilizzano il potere popolare o una lotta nonviolenta. Il movimento dei diritti civili USA ha gestito in modo brillante la minaccia del Ku Klux Klan agli attivisti, estremamente pericolosa quando non c’era a soccorrere un’effettiva applicazione della legge. La tattica nonviolenta ridusse l’attrattiva del KKK fra i segregazionisti bianchi. Fin dagli anni 1980, i pacifisti e altri hanno istituito un altro promettente strumento aggiuntivo: un peacekeeping civile intenzionale e programmato. (Cfr Peace Brigades International, per un buon esempio).

4. Educazione e formazione pro-conflittuale

Ironicamente, si ha sovente terrorismo quando una popolazione cerca di sopprimere i conflitti anziché favorirne l’espressione. Una tecnica per ridurre il terrore è perciò diffondere un atteggiamento pro-conflittuale e le competenze nonviolente che sostengono chi solleva conflitti nel dare voce piena alle proprie rivendicazioni.

5. Programmi di recupero post-terrore

Non si può prevenire tutto il terrorismo più di quanto si possa con il crimine. Teniamo a mente che spesso i terroristi hanno l’obiettivo di aumentare la polarizzazione. Possono servire ad evitarla programmi di recupero, per ostacolare il ciclo dei falchi di una parte che “armano” i falchi dell’altra parte. Un luogo dove abbiamo osservato tale ciclo di violenza è nell’ambito della lotta Palestina/Israele.

I programmi di recupero costruiscono resilienza, cosicché non ci si blocca nella paura creando profezie che si autoavverano. Il salto in avanti nella consulenza sui traumi è rilevante per questa tecnica come pure rituali innovativi come quelli usati dai norvegesi dopo il locale massacro terroristico del 2011.

6. I poliziotti come funzionari di pace: l’infrastruttura di norme e leggi

L’operato della polizia può diventare ben più efficace mediante un’azione mirata maggiormente a livello comunitario e la riduzione della distanza sociale fra la polizia e i quartieri dove interviene. In alcuni paesi questo richiede un ripensamento della polizia da difensori delle proprietà del gruppo dominante ad autentici funzionari di pace; ne è testimone la polizia islandese disarmata; paesi come gli Stati Uniti hanno bisogno di entrare nella crescente infrastruttura giurisdizionale globale dei diritti umani riflessa nel Trattato sulle Mine Anti-uomo e della Corte Penale Internazionale, accettando la responsabilità giuridica per i propri funzionari che siano probabili criminali di guerra.

7. Cambiamenti di politica e concetto di comportamento scellerato

I governi talvolta fanno scelte che invitano — quasi inducono — una risposta terroristica. Il politologo Robert A. Pape che ha svolto occasionalmente consulenze per la US Air Force ha dimostrato nel 2005 che gli USA l’hanno fatto ripetutamente, spesso schierando truppe in qualche altro paese. E fornisce con James K. Feldman nel suo recente libro “Cutting the Fuse” [Interrompere il fusibile] esempi concreti di governi che riducono la minaccia terroristica cessando tale comportamento scellerato. Per proteggersi dal terrore, i cittadini di tutti i paesi devono ottenere il controllo dei propri governi costringendoli a comportarsi adeguatamente.

8. Negoziati

I governi dicono spesso “non negoziamo con terroristi”, ma sovente mentono. In molti casi hanno ridotto o eliminato il terrorismo appunto negoziando, e le abilità negoziali continuano a crescere in sofisticazione.

Applicazione realistica di una difesa non-militare contro il terrorismo

Su richiesta di un gruppo di esperti di contro-terrorismo USA, ho descritto il nostro operato a Swarthmore e in special modo le otto tecniche. Gli esperti hanno riconosciuto che ciascuno di tali strumenti è stato effettivamente utilizzato in situazioni di vita vissuta qui o là, con un certo grado di successo. E non hanno ravvisato problemi, in linea di principio, nel disegnare una strategia complessiva tesa a creare sinergie fra i singoli strumenti.

Il problema ravvisato era persuadere un governo a fare un tale audace balzo innovativo.

Da americano, vedo l’immediata contraddizione fra, da un lato, il grosso sforzo del mio governo per convincere i contribuenti che abbiamo disperato bisogno del nostro ipertrofico apparato militare e, d’altro canto, una nuova politica che mobiliti un potere diverso per un’autentica sicurezza umana. Capisco che per il mio paese e per qualche altro potrebbe essere necessaria prima una rivoluzione nello stile di vita.

Quel che apprezzo nell’avere una difesa alternativa, non-militare come ulteriore possibilità, tuttavia, è che si rivolge al bisogno reale di sicurezza dei miei concittadini in un mondo pericoloso. Lo psicologo Abraham Maslow indicava molto tempo fa il bisogno umano fondamentale di sicurezza. Analizzare e criticare pur brillantemente il militarismo non esalta effettivamente la sicurezza di alcuno. Immaginare un’alternativa, come hanno fatto i miei studenti, può creare nella gente lo spazio psicologico di cui hanno bisogno per investire energia in qualcosa di più vivificante.

Il nostro ruolo come movimento di base

La buona notizia è che varie di quelle otto tecniche possono essere applicate dalla società civile, senza aspettare l’iniziativa governativa che può anche non arrivare mai. Per due di queste tecniche non ci sono problemi: diffondere le competenze e la strategia della protesta nonviolenta, e insegnare un atteggiamento pro-conflittuale.

Il movimento Black Lives Matter [Le vite dei neri sono importanti] ha ottenuto l’adesione di molti bianchi a una questione inizialmente specifica nera — esempio concreto di riduzione dell’emarginazione, un concetto che genera decine di mosse creative da parte di chiunque appartenga a una data maggioranza (cristiana, di ceto medio, ecc.). Possiamo anche dar corso a programmi di recupero dopo l’irruzione del terrore fra di noi, come alla Maratona di Boston.

Siamo soliti lanciare campagne per costringere il governo a cedere su qualche sua politica spericolata, ma di rado strutturiamo in quel modo il nostro attivismo mostrando alla gente che siamo dalla parte della loro sicurezza.

In questi e altri modi, raccomando a chi si prepara a sopravvivere in un’era di cambiamento climatico e di declino imperiale un approccio olistico e positivo alla paura che altrimenti ci deprime o paralizza. E questo modo di operare potrebbe essere una buona cosa.


22 gennaio 2015


 

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