Il contadino come maestro – Recensione di Cinzia Picchioni

cop_il-contadino-come-maestro-libroMarcel Jousse, Il contadino come maestro, (a cura di Antonello Colimberti), Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2012, pp. 304, euro 16,00

I contadini sono quelli che durano perché restano inseriti nel territorio.
(p. 18)

I saggi contenuti sono stati stenografati dalle lezioni che Marcel Jousse ha tenuto alla Sorbona e all’Ecole d’Antropologie, di Parigi; si va dal 16 dicembre 1941 al 12 aprile 1943. Il linguaggio è molto «parlato», essendo delle trascrizioni, e molto diretto, discorsivo. Niente di accademico dunque, ma un po’ complesso sì, con parole inconsuete (ritmo-catechismo, mimografismo, cinemimismo…) che necessitano di spiegazione e/o di conoscenza di questo gesuita, pioniere dell’antropologia che chiama il «Gesù contadino» rabbi Yeshua.

Gesuita e antropologo francese, Jousse ha creato una nuova scienza, l’«Antropologia del Gesto», che studia il ruolo del gesto e del ritmo nel processo della conoscenza, della memoria e dell’espressione umana; leggendo Wikipedia si scopre che tutto sembra cominciato dalle cantilene che sua madre gli recitava quand’era piccolo e che pare lo abbiano profondamente influenzato.

La sua voce ha cominciato ad essere ascoltata nel 1925, e poi (con queste lezioni) negli anni Quaranta del Novecento; infine, dopo il 68, è risorto l’interesse per le sue teorie e per l’avvicinamento: «[…] al contadinismo di quell’inafferrabile e geniale personaggio del secolo XX che fu il padre gesuita Marcel Jousse» (dall’Introduzione, del curatore). Egli sosteneva di assimilare la parola contadino a quella di «nativo» perché «Essere contadino vuol dire essere in-formato del proprio paese» (pp. 12-3).

«Il contadino conosce perfettamente tutte le cose con le quali viene a contatto. Vive, viveva tutta la vita, nello stesso ambiente […] tre o quattro chilometri di raggio dalla casa colonica […] tutta la sua mentalità, tutta la sua conoscenza, nasceva e moriva in questi pochi metri […]. Però questa zona era perfettamente esplorata. E il contadino che per esempio scopriva com’è la terra dentro, e questo ripetuto per le migliaia di volte che batteva la zappa, dava una conoscenza così perfetta […] che qualsiasi paragone […] diciamo meglio, analogia […], erano scientifici» (p. 10).

Ritorno alla mano

Si sente parlare di «ritorno alla terra», di giovani che lasciano la città e lavori prestigiosi per riabitare la montagna e continuare l’attività agricola del padre; Jousse fa qualcosa di più, a mio avviso: suddivide il «ritorno alla terra» in tre altri «ritorni»: al solido, alla mano, alla Ricchezza, quest’ultima intesa come «avere di che nutrirsi […] di che vestirsi […] di che scaldarsi […]». Quella è la ricchezza a cui tornare. E la mano? Dobbiamo tornare alla mano, ammonisce Jousse, che abbiamo «[…] istupidita e sclerotizzata con le nostre penne[…] abbiamo creato Accademie di imbrattacarte […] si elargiscono premi letterari mentre il grande contadino, manipolatore di reale, seminatore di grano, creatore di vita, è stato dimenticato!», (pp. 30-3).

Il ritmo-catechismo

Contrario al catechismo classico, l’autore ci accompagna alla scoperta di ciò che ha insegnato un «[…] contadino che si chiamava Yeshua di Nazareth, di cui conosciamo la lingua etnica di cui possiamo analizzare i meccanismi profondi, concreti»; parte dalla definizione tradizionale del peccato originale, dimostrandoci che non se ne capisce nulla, e proponendoci il ritmo-catechizzato, in cui il bambino sia lasciato ai suoi meccanismi spontanei. Lo si lascerà giocare e lo imparerà successivamente. «Ma prendete me, per esempio, il grande “dubitatore”; cosa sono stato per tutta la vita? Semplicemente un bambino che continua a giocare il ritmo-catechismo di Yeshua» (p. 164).

Il contadino: «mestiere di Dio»; Genio contadino; Yeshua, modello geniale del contadino; Gli psichiatri; Il selvaggio; Far insegnare al Bambino dal Contadino, sono solo alcuni dei titoli di paragrafo/capitolo, che spiegano meglio di qualsiasi parola io possa scrivere su questo strano libro, dedicato a chi si occupa di antropologia, di vita contadina, di pedagogia, di linguistica, di educazione religiosa… ricordandosi anche che negli anni in cui si tenevano queste lezioni lo scrittore francese Jean Giono (nel 1938) scriveva a proposito della questione contadina (Lettera ai contadini sulla povertà e la fame, Ponte alle Grazie, Milano 1997).

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