Grattacieli su sfondi tempestosi

Elena Camino

Partiamo da Torino…

A Torino si stanno completando due nuovi edifici che hanno suscitato dibattiti e polemiche. Nella foto si vede il grattacielo della Regione Piemonte, nei pressi della Stazione Lingotto. L’altro ‘incombe’ nei pressi di Porta Susa. Che cosa c’entrano questi edifici con l’India? E con l’ASSEFA? Ebbene, sono almeno due gli elementi che li collegano al grande Paese lontano:

* un elemento ‘culturale’, legato all’immaginario della crescita: crescita del PIL, del lavoro, del benessere, della ‘modernità’, che orienta molte decisioni che i nostri governi – quello italiano e quello indiano – stanno prendendo in questo periodo;

* un elemento ‘materiale’, che riguarda i flussi di materia e di energia che sono messi in movimento dalle grandi opere: grattacieli, strade, ponti, aeroporti ecc. Energia e materia che vengono prelevate in certe parti del mondo e dopo viaggi talvolta molto lunghi arrivano in altri luoghi. Ferro, rame, bauxite, ma anche petrolio, carbone, gas, estratti da miniere e giacimenti vengono convogliati verso i due grattacieli torinesi, e verso tante altre opere – in Italia e altrove – per tradurre in forma materiale i simboli di una visione che vede una piccola minoranza dell’umanità porsi al centro del mondo, convinta che la natura sia a sua disposizione, e la crescita economica sia la misura del benessere.

Conflitti violenti e cambiamenti climatici caratterizzano questo periodo. E’ possibile avviare un cambiamento che ci consenta di guardare al futuro con maggiore speranza?

Un mondo sempre più conflittuale e climaticamente perturbato E’ di pochi mesi fa un rapporto elaborato da 309 scienziati sotto l’egida delle Nazioni Unite, che rilancia l’allarme globale sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, sottolinea l’attuale impreparazione a fronteggiare le minacce alla vita e alla salute e raccomanda alle autorità politiche di tutto il mondo di intervenire per cercare di evitare che gli effetti del “global warming” diventino più devastanti: è un problema che riguarda tutti i continenti e gli oceani, con un aumento della probabilità che le conseguenze diventino irreversibili. (IPCC, 2014: Climate Change 2014: Impacts, Adaptation, and Vulnerability.

http://ipcc?wg2.gov/AR5/report/).

I Paesi occidentali, coinvolti sempre più in relazioni conflittuali con i loro vicini più prossimi, non tengono

conto dell’enorme contributo che la guerra porta all’effetto serra (dalla costruzione delle armi, all’uso dei

mezzi militari, alla devastazione di aree boschive). E non sono stati finora capaci né di criticare il proprio

modello di sviluppo, né di elaborare nuove visioni e nuovi stili di vita, necessari per arginare le

trasformazioni dei sistemi naturali che stanno destabilizzando l’equilibrio dell’intero pianeta.

Inoltre non prestano la dovuta attenzione ai due ‘giganti’ – India (con un miliardo e 259 milioni) e Cina (con

un miliardo e 385 milioni) – che insieme ospitano più di 2 miliardi e mezzo di abitanti, pari al 36,1% della

popolazione mondiale (che è stimata attualmente pari a 7 miliardi e 315 milioni). Le scelte effettuate nei

prossimi venti anni dagli abitanti di questi due grandi Paesi saranno determinanti per l’intera umanità:

l’esempio che l’Occidente continua a dare è attraente, ma ingannevole e pericoloso per l’intera umanità.

Non è possibile continuare a ‘crescere’ in un mondo i cui limiti biofisici (disponibilità di risorse, capacità di

smaltire e riciclare i rifiuti) sono stati ormai ampiamente superati. E’ evidente che, se qualcuno continua a

crescere, sempre più numerosi saranno coloro cui viene sottratto l’essenziale per vivere. Molte delle

guerre che attualmente sono presenti nel mondo hanno alla radice conflitti di competizione per le risorse:

acqua, combustibili, terra coltivabile, materie prime….

Conflitti ambientali in Italia … e in India

Si stanno moltiplicando in Italia i conflitti tra popolazioni locali e governo sull’uso del territorio. Non ci sono

solo i NOTAV, ben noti ai torinesi: in tutto il Paese stanno aumentando le proteste locali di cittadini e

comunità contro decisioni che mettono a rischio la salute dell’ambiente e delle persone: dalle discariche

abusive ai viadotti che distruggono ambienti naturali, dalle fabbriche che inquinano i corsi d’acqua alla posa

di gasdotti in aree con vincoli paesaggistici, all’espropriazione di terreni per usi militari (Il paese dei fuochi:

l’Italia del biocidio, a cura di A Sud, rivista ‘Lo straniero’, settembre 2014).

In India questi conflitti – anche se non arrivano a fare notizia ? sono presenti a centinaia, e vedono

coinvolte, per lo più, delle piccole comunità rurali che cercano di opporsi all’appropriazione dei loro spazi di

vita da parte del governo e delle imprese multinazionali. Grandi dighe, miniere, impianti industriali, centrali

nucleari sotto il controllo dei poteri forti (lo Stato, le imprese) stanno ‘modernizzando’ l’India, inseguendo

un’idea di ‘progresso’ importata dall’Occidente (http://www.ejolt.org/2014/).

E’attualmente coltivata solo da un piccola minoranza la visione gandhiana di un Paese costituito

prevalentemente di villaggi, e di una società basata sui concetti di sarvodaya (il benessere per tutti),

antiodaya (l’attenzione per i più deboli), swaraj (la capacità di contare sulle proprie forze), ahimsha

(nonviolenza): e – altrettanto importante in relazione al cambiamento climatico – una visione

caratterizzata dalla scelta di semplicità volontaria e di economia della ‘permanenza’ (Joseph C. Kumarappa,

Economia di condivisione. Come uscire dalla crisi mondiale, Edizioni Centro Gandhi, Pisa 2012).

Un colonialismo interno

Lo sviluppo ‘all’occidentale’ dell’India, se da un lato ha consentito a una gran quantità di persone,

soprattutto nelle città, di migliorare le proprie condizioni di vita, dall’altra ha aumentato il numero assoluto

di poveri, peggiorando le situazioni sociali e ambientali di centinaia di milioni di persone, per la maggior

parte appartenenti a comunità di contadini e di tribali.

Secondo il più recente Report sui “Millennium Development Goals” (gli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite

per i prossimi anni:

http://www.un.org/millenniumgoals/2014%20MDG%20report/MDG%202014%20English%20web.pdf), un

terzo del miliardo e 200 milioni delle persone più povere nel mondo vive in India. L’India ha anche il triste

primato al mondo (dati del 2012) del maggior numero di bambini che muoiono prima dei 5 anni di età. In

prospettiva, la Banca Mondiale prevede che nel 2015 un quarto della popolazione dell’India si troverà in

condizioni di estrema povertà, contro il 5% della popolazione cinese.

Mentre lo sviluppo dell’ “Occidente” (Europa, USA, Canada, Australia) è stato possibile soprattutto grazie al

prelievo sistematico delle ricchezze naturali del Paesi del Sud del mondo, l’establishment Indiano sta

mettendo in atto, per il proprio sviluppo, un saccheggio del suo stesso territorio, contribuendo così ad

aumentare disuguaglianze sociali, degrado ambientale, instabilità politica. A subire le conseguenze negative

di questo ‘malsviluppo’ sono in primo luogo le popolazioni rurali: i processi di urbanizzazione e tutte le

attività proprie dello sviluppo industriale (fabbriche, reti autostradali, centri commerciali, ma anche

miniere, dighe, porti…) sottraggono terre ai contadini, accrescono il degrado ambientale e il livello di

inquinamento. Nel frattempo il tumultuoso processo di urbanizzazione ha esasperato il problema della

disoccupazione urbana e ha allargato le disuguaglianze sociali. Nelle grandi città il livello di inquinamento

da polveri, e la inadeguatezza dei sistemi fognari rendono la vita dei poveri sempre più disperata.

La difficile situazione dei contadini e gli spiragli di speranza

E’ in questo scenario globale che occorre ormai collocare il lavoro dell’ASSEFA India, una Organizzazione

Non Governativa Indiana che da quasi 50 anni opera con le comunità più emarginate delle campagne

indiane. Nei primi anni la visione gandhiana era ben presente e il governo indiano contribuì a rendere

operativa l’opera di Vinoba – il dono della terra – assegnando a migliaia di contadini poveri dei piccoli

appezzamenti da coltivare (Vinoba Bhave. I valori democratici. La politica spirituale di Gandhi attraverso le

parole del suo discepolo, Gabrielli Editori, 2008). Ora la situazione è diventata molto più difficile. Il processo

di urbanizzazione, soprattutto nelle vicinanze delle grandi città, ha accresciuto l’interesse degli imprenditori

ad acquistare terreni per costruire. Nel frattempo il costo della vita (delle attrezzature agricole, delle

sementi, dei combustibili) è aumentato, i monsoni non sono più regolari, molte falde acquifere si sono

abbassate. Sono molti i contadini che – scoraggiati della crescenti difficoltà ? si lasciano attirare a vendere il

loro pezzetto di terra e a trasferirsi in città, alla ricerca di lavori più sicuri. Pochi ce la fanno: la maggioranza

di loro, consumati i soldi incassati dalla vendita, si trova a ingrossare la massa di emarginati che abitano in

condizioni drammatiche nelle strade delle città, aumentando sia la percentuale di poveri nelle città, sia il

grado di disuguaglianza sociale.

L’ASSEFA India – anno dopo anno – mette in atto strategie nuove per fronteggiare i cambiamenti e trovare

soluzioni ai nuovi problemi. Dopo un lungo periodo in cui l’impegno principale era stato quello di

sostenere piccole comunità rurali ad avviare progetti di sviluppo integrato nei loro villaggi, negli ultimi anni

sono state sperimentati nuovi percorsi: dal sostegno ai gruppi di donne per l’acquisto di mucche e la

vendita del latte, a progetti di collaborazione con numerose comunità in aree agricole più estese (come il

progetto di Sivagangai), alle più recenti iniziative volte a fornire sostegno finanziario e competenze

aggiornate a gruppi di contadini per una migliore integrazione tra attività agricole, iniziative zootecniche e

gestione dei sistemi di irrigazione (i nuovi progetti per il 2014/15 a Kallupatti e Sivakasi).

Inoltre l’ASSEFA India rivolge una particolare cura ai processi educativi (nelle scuole si insegna e si pratica la

nonviolenza) e alla formazione di relazioni sociali collaborative tra le diverse componenti dei villaggi: oltre a

sostenere i gruppi di donne (con l’avvio di attività comuni) da alcuni anni si organizzano matrimoni

comunitari, nel corso dei quali coppie di diverse religioni celebrano insieme – ciascuna con il proprio rito – il

matrimonio, e poi tutti festeggiano insieme l’evento.

Verso la costruzione di una nuova idea di ‘progresso’ – da Gandhi alle piccole realtà locali.

L’ideologia dominante continua e inseguire il sogno di una crescita competitiva, provocando un

moltiplicarsi di conflitti violenti, aumentando le disuguaglianze sociali, innescando nel pianeta

trasformazioni con esiti imprevedibili. Nel frattempo sono sempre più numerose le piccole realtà locali che

in Italia, in India e in tutto il resto del mondo stanno cercando di dare concretezza a iniziative e

sperimentazioni basate su una visione diversa delle relazioni umane e del rapporto con la natura: da un lato

esplorando nuove strade, dall’altra recuperando e valorizzando conoscenze e tradizioni antiche.

L’ASSEFA India è un esempio significativo di questo cammino, che resta fedele agli orientamenti indicati dai

maestri spirituali, ripresi da Gandhi e Vinoba, e al tempo stesso vive concretamente il tempo presente,

accompagnando tante piccole comunità emarginate dell’India rurale in un percorso di auto sviluppo

ambientalmente e socialmente sostenibile.

Questa visione – antica e sempre attuale –viene sempre più spesso condivisa anche da comunità locali in

altri Paesi: dal ‘Buon vivir’ dell’America Latina, alla ‘decrescita felice’ in Europa, a migliaia di piccole realtà

che praticano la semplicità volontaria, che commerciano a Kmzero, che mettono in atto strategie di

risparmio energetico, che si adoperano per fermare la follia della guerra.

La parola –chiave che unisce queste diverse esperienze è la “nonviolenza”, l’ahimsha di Gandhi: un

atteggiamento mentale in grado di guidare i comportamenti, di orientare le scelte, di offrire coesione e

coerenza a gruppi e comunità geograficamente distanti, socialmente e culturalmente differenti, che però

possono riconoscersi e cooperare.

… Torniamo a Torino

E torniamo ai nostri due grattacieli, che qualcuno vorrebbe presto vedere in compagnia. Secondo alcuni

quotidiani torinesi, infatti, Il piano regolatore della città ne prevede sei entro il 2020: “segni urbani forti in

corrispondenza di punti altrettanto potenti del trasporto”, secondo i nostri rappresentanti istituzionali. Da

dove arriveranno le materie prime necessarie per queste imponenti costruzioni? Quanta energia ci vorrà

per far funzionare draghe, gru, macchine per la movimentazione della terra? Quanto denaro sarà

necessario per finanziare le opere? Quali saranno le imprese multinazionali che procureranno la bauxite e il

rame? Dove si troveranno le miniere, e quale impatto avrà questa attività estrattive nelle vite delle

popolazioni intorno? E quale sarà la provenienza dei preziosi minerali necessari per la produzione e

l’assemblaggio di migliaia di sistemi informatici in grado di eseguire i calcoli e di coordinare le azioni nella

costruzione di questi gioielli tecnologici? Certamente un contributo verrà anche dall’India, che sta

incrementando l’estrazione di materie prime nella ‘green belt’ – la fascia centro-settentrionale del Paese –

utilizzando come fonte energetica le centrali nucleari che stanno sorgendo numerose: 6 centrali sono

attive (con un totale di 20 reattori), e sette sono in costruzione.

E’ chiaro che i grattacieli sono solo i simboli (eloquenti!) di una visione del mondo basata sulla crescita,sulla

potenza, sul controllo. Nel mondo globalizzato le scelte di una piccola Nazione,come l’Italia, contribuiscono

ad alimentare e perpetuare questa visione.

Sostenere l’ASSEFA India, in questo scenario, non vuole più dire – come forse era un sentire comune

qualche decennio fa – aiutare i contadini poveri a ‘svilupparsi’ secondo il modello occidentale. Vuol dire in

primo luogo mettere in discussione i nostri immaginari, rivedere le nostre abitudini, agire politicamente

come cittadini, nella prospettiva di un cambiamento di visione. Vuol dire anche abbracciare con

convinzione l’idea che il nostro benessere è intimamente intrecciato con quello di altre comunità, di altri

popoli. Vuol dire che la prospettiva nonviolenta che ispira l’azione delle Fattorie al Servizio di Tutti può

essere anche la nostra prospettiva…

Elena Camino, Gruppo ASSEFA Torino (www.assefatorino.org), settembre 2014

e-mail [email protected]

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