Dichiarazione congiunta sull’offensiva di Israele contro Gaza da parte di esperti di Diritto Internazionale

28 luglio 2014

Nota introduttiva: “Questa è una Dichiarazione congiunta di esperti di diritto internazionale provenienti da tutto il mondo, i cui nomi di firmatari compaiono al fondo della stessa. Firme aggiuntive sono ben accette e possono essermi inviate nella parte relativa ai commenti (del testo originale, n.d.t.), con relativa menzione dell’organizzazione o istituto di appartenenza a fini identificativi. I nomi verranno periodicamente aggiunti al testo. Considero tale iniziativa come un’espressione di integrità professionale e coscienza individuale di contrasto alla condotta di Israele su Gaza che dall’8 luglio ha già spazzato via molte vite innocenti e causato una vasta devastazione. Per favore, unitevi e spargete la voce!”

La comunità internazionale deve fermare la punizione collettiva che Israele sta riservando alla popolazione civile nella Striscia di Gaza.

In veste di studiosi di diritto internazionale penale, difensori dei diritti umani, esperti legali e individui che credono fermamente nel ruolo della legge e nella necessità che essa venga rispettata tanto in tempo di pace quanto, e ancor di più, in tempo di guerra, percepiamo l’esigenza morale e intellettuale di denunciare le gravi violazioni, mistificazioni e mancato rispetto dei più basilari principi della legge sui conflitti armati e dei diritti umani fondamentali a danno dell’intera popolazione palestinese, commessi nel corso dell’attuale offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza. Condanniamo inoltre il lancio di missili dalla Striscia di Gaza perché ogni attacco indiscriminato contro i civili, indipendentemente dall’identità di chi lo perpetra, non è soltanto illegale a fronte del diritto internazionale, ma altresì moralmente intollerabile. Tuttavia, come implicitamente rilevato dal Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU nella Risoluzione del 23 luglio 2014, le due parti in conflitto non possono essere considerate uguali, e le rispettive offensive – ancora una volta – appaiono essere di portata non raffrontabile tra loro.

Anche questa volta è la popolazione civile disarmata, ‘i soggetti tutelati’ sotto il diritto internazionale umanitario, a essere nell’occhio del ciclone. La popolazione civile di Gaza è stata vittimizzata in nome di un diritto di legittima difesa falsamente costruito, nel mezzo di un’escalation di violenza provocata di fronte agli sguardi dell’intera comunità internazionale. L’Operazione Margine di Protezione è stata scatenata nel corso di un conflitto armato, nel contesto di una prolungata occupazione militare cominciata nel 1967. Nel corso di tale conflitto migliaia di palestinesi sono stati uccisi e feriti nella Striscia di Gaza, duranti periodici e apparenti cessate-il-fuoco sin dal 2005, dopo il ‘distacco’ unilaterale di Israele dalla Striscia. Anchele vittime provocate dalle azioni di provocazione per mano di Israele precedenti all’ultima escalation di ostilità non possono essere ignorati.

Secondo delle fonti ONU, durante le ultime due settimane circa 800 palestinesi sono stati uccisi a Gaza e più di 4.000 sono rimasti feriti, la maggior parte dei quali civili. Parecchie fonti indipendenti indicano che solo il 15% di loro erano dei combattenti. Intere famiglie sono state sterminate. Ospedali, cliniche, centri di riabilitazione per disabili sono stati bersaglio di attacchi specifici e severamente danneggiati. Nel corso di un unico giorno, domenica 20 luglio, più di 100 civili palestinesi sono stati uccisi a Shuga’iya, un complesso residenziale di Gaza City. È stata una delle operazioni più sanguinose e aggressive mai condotte da Israele ai danni della Striscia di Gaza; una forma di violenza urbana che ha rappresentato una totale mancanza di rispetto verso i civili innocenti. Amaramente, a questo episodio è seguito, un paio di giorni dopo, un attacco su Khuza’a, a est di Khan Younis, ugualmente distruttivo.

In aggiunta, l’offensiva ha già causato la distruzione di edifici e infrastrutture su larga scala. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento e gli Affari Umanitari più di 3.300 abitazioni sono state distrutte o severamente danneggiate.

Come la Missione d’inchiesta ONU (UNFFM – UN Fact-Finding Mission) sul conflitto a Gaza ha denunciato in seguito all’Operazione Piombo Fuso del 2008-2009 “mentre il governo d’Israele ha tentato di rappresentare le sue operazioni come un’essenziale risposta agli attacchi di razzi, nell’esercizio del suo diritto di legittima difesa, la Missione ritiene che tale piano sia stato diretto, almeno in parte, a un obiettivo differente: la popolazione di Gaza nel suo insieme” (A/HRC/12/48, PAR 1680). Lo stesso può dirsi di quanto sta avvenendo in questo momento.

La popolazione civile nella Striscia di Gaza è sotto attacco diretto e molti sono costretti ad abbandonare le loro case. Quella che costituiva già una crisi umanitaria di rifugiati è peggiorata a causa di un’ulteriore dispersione di civili di massa: il numero di persone disperse è salito a quasi 150.000, molte delle quali hanno ottenuto rifugio nelle scuole sovrappopolate dell’UNRWA (United Nation Relief and Works Agency, n.d.t.), che peraltro sono anch’esse delle aree non sicure come dimostrato da ripetuti attacchi avvenuti a Beit Hanoun su questi edifici. Tutti a Gaza vivono in uno stato di trauma e di costante terrore. Questo è un risultato intenzionale, dato dal perdurante riferimento alla ‘Dottrina Dahiya’1da parte di Israele, che sta deliberatamente ricorrendo all’impiego di una forza indiscriminata volta a infliggere sofferenze sulla popolazione civile per ottenere risultati politici (l’esercizio di pressioni sul governo di Hamas) invece che militari.

Con tale condotta, Israele sta ripetutamente, e sfacciatamente, violando la legge sui conflitti armati dove è stabilito che possono essere colpiti solo obiettivi di combattenti e militari – “quegli obiettivi che, per loro natura, località, scopo o utilizzo possono fornire un contributo effettivo all’azione militare e la cui totale o parziale distruzione, cattura o neutralizzazione, sotto le circostanze vigenti in quel dato momento, consentirebbero un netto vantaggio militare” -. La maggior parte dei recenti bombardamenti su Gaza manca di un’accettabile giustificazione di tipo militare. Appare, invece, fatta apposta per terrorizzare la popolazione civile. Come il Comitato Internazionale della Croce Rossa sottolinea, causare deliberatamente terrore costituisce un atto inequivocabilmente illegale secondo le leggi di diritto internazionale consuetudinario.

La Corte di Giustizia Internazionale, nel suo parere fornito sugli armamenti nucleari, afferma che il principio della distinzione, che impone agli Stati belligeranti di distinguere tra civili e combattenti, è uno dei ‘principi cardine’ del diritto umanitario internazionale e uno dei ‘principi inderogabili di diritto internazionale consuetudinario’.

Il principio della distinzione è codificato all’articolo 48, 51 (2), 52 (2) del I Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei suoi confronti non può essere avanzata nessuna riserva. Secondo tale Protocollo ‘gli attacchi’ si riferiscono agli ‘atti di violenza contro l’avversario, sia in condizioni di difesa, sia di offesa’ (art. 49). Tanto sotto il diritto internazionale consuetudinario quanto sotto il diritto dei Trattati, la proibizione di attacchi diretti contro le popolazioni o gli obiettivi civili è assoluta. Non vi è discrezione nell’addurre ragioni di necessità militare come giustificazione.

Contrariamente alle affermazioni avanzate da Israele, gli errori risultanti in vittime civili non possono essere giustificati: in caso di dubbio circa la loro natura, la legge stabilisce chiaramente che quando certi obiettivi sono normalmente utilizzati a fini civili (come nel caso di scuole, abitazioni, luoghi di culto o strutture sanitarie), se ne deve presumere il non utilizzo a fini militari. Durante le scorse settimane, ufficiali ONU e di rappresentanza hanno ripetutamente richiamato Israele ad attenersi strettamente all’osservanza del principio di precauzione nella conduzione di attacchi contro la Striscia di Gaza, dove i rischi sono maggiormente aggravati dall’elevata densità della popolazione e dove il massimo controllo deve essere esercitato per evitare vittime civili. Human Rights Watch ha fatto notare che tali regole esistono per minimizzare gli errori ‘quando tali errori sono ripetuti, al punto da sollevare il dubbio che tali regole siano ignorate’.

Per di più, anche nel corso della selezione di obiettivi militari, Israele ha costantemente violato il principio della proporzionalità. Ciò è particolarmente evidente nei confronti delle centinaia di abitazioni distrutte dall’esercito israeliano durante l’operazione militare in corso su Gaza. Con il dichiarato intento di colpire un singolo membro di Hamas, le forze Israeliane hanno bombardato e distrutto abitazioni occupate invece da decine di civili, incluse donne, bambini e intere famiglie.

È illegale, per il diritto internazionale consuetudinario, colpire intenzionalmente obiettivi civili, e la violazione di tale fondamentale principio di legge può condurre alla realizzazione di crimini di guerra. Inviare un ‘avvertimento’ – tale è la cosiddetta tecnica di ‘roof knocking’ (lett. bussare sul tetto, n.d.t.), o l’invio di SMS cinque minuti prima dell’attacco – non ne sminuisce la portata: l’attacco volontario di abitazioni civili senza la dimostrazione di una necessità di tipo militare è pur sempre illegale e costituisce la violazione del principio di proporzionalità. Inoltre, non solo tali ‘avvertimenti’ sono generalmente inefficaci e possono causare maggiori vittime, ma appaiono pretesti preconfezionati da Israele per definire ‘scudi umani’ le persone che rimangono nelle loro case.

Gli attacchi indiscriminati e sproporzionati, la selezione di obiettivi che non forniscono un effettivo vantaggio militare e l’intenzionale attacco di civili e abitazioni civili sono state caratteristiche persistenti della politica di punizione da parte di Israele dell’intera popolazione della Striscia che, da oltre sette anni, è stata virtualmente imprigionata dal blocco imposto da Israele. Un regime di questo tipo assume la forma di una punizione collettiva la quale viola la proibizione incondizionata stabilita dall’articolo 33 della IV Convenzione di Ginevra ed è stato condannato a livello internazionale per la sua illegalità. Tuttavia, invece di essere efficacemente contrastata da attori internazionali, la politica illegale di blocco totale imposta su Gaza è inesorabilmente proseguita sotto lo sguardo complice della comunità internazionale degli Stati.

***

Come la Missione d’Inchiesta sul conflitto a Gaza ha affermato nel 2009, “la giustizia e il rispetto della legge sono basi indispensabili per la pace. Tale perdurante situazione è causa di una crisi della giustizia nei Territori Occupati Palestinesi e giustifica un’azione di condanna”. (A/HRC/12/48, par. 1958) Infatti, “l’incessante impunità è stata un fattore scatenante per la perpetrazione della violenze nella regione e per la riproduzione di violazioni, così come causa dell’erosione della fiducia fra i palestinesi e fra molti israeliani circa la prospettiva di una soluzione pacifica e secondo giustizia del conflitto”. (A/12/48/, par. 1964)

Ciò detto,

  • Accogliamo di buon grado la Risoluzione adottata il 23 luglio 2014 dal Consiglio dei Diritti Umani dove una Commissione d’inchiesta, indipendente e internazionale, è stata istituita al fine di investigare su tutte le violazioni di diritto internazionale umanitario e dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati.

  • Facciamo appello alle Nazioni Unite, alla Lega Araba, all’Unione Europea, a tutti gli Stati, in particolare agli Stati Uniti d’America e alla comunità internazionale nel suo insieme, affinché agiscano nel pieno dei loro poteri collettivi, mossi dalla più grande urgenza, per porre fine all’escalation di violenza contro la popolazione civile della Striscia di Gaza, e affinché attivino tutte le procedure necessarie per fare in modo che i responsabili delle violazioni di diritto internazionale siano chiamati a risponderne, leader politici e comandanti militari inclusi.

In particolare:

  • Tutti gli attori regionali e internazionali dovrebbero sostenere l’immediata stipulazione di un mutuo accordo di cessate-il-fuoco durevole, immediato e totale volto ad assicurare la rapida facilitazione e l’accesso di aiuti umanitari e l’apertura delle frontiere da e verso Gaza;

  • A tutte le parti contraenti della Convenzione di Ginevra deve essere rivolto un appello, con urgenza e senza condizioni, affinché rispettino i loro obblighi, sempre vincolanti, e agiscano in forza dell’articolo 1 che impone di assumere tutte le misure necessarie volte alla soppressione di gravi violazioni, come palesemente imposto dall’articolo 146 e 147 della IV Convenzione di Ginevra. Tali norme sono applicabili altresì da tutte le parti interessate;

  • Denunciamo inoltre la vergognosa pressione politica esercitata da alcuni Stati Membri delle Nazioni Unite e dall’ONU stesso sul Presidente Mahmoud Abbas tese a scoraggiare l’attivazione della Corte Penale Internazionale, e sollecitiamo i leader governativi della Palestina a invocare la giurisdizione della Corte ratificandone il Trattato istitutivo ripresentando, nel contempo, la dichiarazione a norma dell’articolo 12 (3) dello Statuto di Roma che prevede l’investigazione e la prosecuzione dei crimini internazionali commessi sui Territori palestinesi da tutte le parti in conflitto;

  • Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, infine, deve esercitare la propria responsabilità circa la realizzazione della pace e della giustizia sottoponendo tale questione al Procuratore della Corte Penale Internazionale.

Nota della traduttrice: data la lunghezza dell’elenco dei firmatari della Dichiarazione, e la costante aggiunta di nomi a esso, si rimanda al testo originale inglese per la presa visione e, eventualmente, per la sua sottoscrizione.

Originale: http://richardfalk.wordpress.com/2014/07/28/joint-declaration-by-international-law-experts-on-israels-gaza-offensive/

Traduzione a cura di Silvia De Michelis per il Centro Studi Sereno Regis

NOTA

1 La Dottrina Dahiya è una strategia militare perfezionata dal generale israeliano Gadi Eizenkot e si riferisce all’utilizzo di una forza asimmetrica nei contesti di guerriglia urbana. La sua invocazione consente all’esercito di prendere deliberatamente di mira infrastrutture civili quale mezzo per infliggere sofferenza alla popolazione civile, stabilendo in tal modo la deterrenza. Prende il nome da un sobborgo a sud di Beirut, dove erano presenti edifici con larghi appartamenti che furono rasi al suolo dalla Forza di Difesa Israeliana durante la guerra del Libano nel 2006. Israele è stato accusato di aver implementato tale strategia durante la guerra su Gaza.

3 commenti
  1. Carlo Ferraris
    Carlo Ferraris dice:

    La guerra è già di per se un crimine contro l'umanità. Questo crimine si aggrava ancora se la guerra è condotta in modo criminoso. Purtroppo tutto il mondo sembra impotente o rassegnato. Aggiungo anche la disapprovazione per chi, citando la tattica di eroismo suicida di Hamas, va dicendo, come disse un tempo Andreotti, "se la sono cercata".

    Rispondi

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