Il Giornalismo di Pace indica la strada dalla Terra Santa al BDS

Jake Lynch

Uno dei pezzi più raffinati di un lungo reportage sul conflitto Israele-Palestina che abbia mai visto, realizzato dal corrispondente per il Medio Oriente dell’ Australian John Lyons per ABC Four Corners, esemplifica molti dei principi del Giornalismo di Pace (ora raccolti qui: http://www.youtube.com/watch?v=uz8_qzdDdM4). Rafforza inoltre l’argomentazione a favore della campagna BDS-Boycott, Divestement, Sanctions (Boicottaggio, Disinvestimenti, Sanzioni, n.d.t.) in quanto movimento di protesta nonviolento contro il militarismo israeliano e la totale assenza di legalità. 

Sono certo che né John, né alcuno dei giornalisti coinvolti, abbia consciamente inteso fare ciò. ‘Stone Gold Justice’, la trasmissione sull’ampio documentario rilasciata all’inizio di quest’anno, è un pezzo esemplare di giornalismo televisivo. Si basava su fonti impeccabili, sia ufficiali, che solitamente dominano lo scenario giornalistico, sia una serie di fonti non ufficiali le quali, eccezionalmente, trovano spazio non solo per trasmettere la loro esperienza, ma anche per offrire la loro analisi.

Il film ha il merito, inoltre, di scindere le parti del conflitto. Rifugge dalla formula classica ‘da una parte – dall’altra’. Osservando gli israeliani che intervengono, lo spettatore è in grado tanto di sussultare di fronte all’incrollabile fanatismo religioso di un capo del movimento ebraico per gli insediamenti, quanto di emozionarsi di fronte al coraggio e all’integrità di un avvocato in difesa dei bambini palestinesi. Alcuni di questi ragazzi vengono arrestati e poi messi sotto pressione per ottenere informazioni sui leader del movimento di protesta nonviolenta contro l’occupazione nella loro terra, riferisce l’avvocato, poiché Israele non è riuscito a porvi fine con la forza.

Fra i palestinesi, ci sono state testimonianze strazianti da parte di alcuni tra le centinaia di bambini – alcuni addirittura dell’età di cinque anni – che hanno fatto ingresso all’interno del sistema di corti militari e sofferto torture, subito confessioni forzate e processi sommari terminati in una manciata di secondi. É rappresentata anche la vicenda del lancio delle pietre – il metodo scelto per esprimere la ribellione – e le sue possibili mortali conseguenze. Un sostenitore della resistenza nonviolenta che è intervenuto si è scoperto essere il fratello di un attentatore suicida che ha ucciso civili israeliani.

Non è rappresentata un’equivalenza tra la sofferenza inflitta sugli israeliani e sui palestinesi, e neanche, a suo onore, il film pretende che ce ne sia. I territori palestinesi occupati non sono ‘disputati’, in nessuna maniera significativa. I ragazzi che lanciano le pietre ai soldati delle forze d’occupazione agiscono nell’ambito del loro diritto a resistere. I soldati stanno attuando un’occupazione illegale, mentre il diritto internazionale, nella forma della IV Convenzione di Ginevra, è cristallino: a una forza d’occupazione non è consentito trasferire nessuna parte della sua popolazione nei territori occupati, così come invece Israele ha fatto con gli insediamenti.

Da tutti questi punti di vista, il film di John esemplifica quella modalità di reportage sui conflitti nota come Giornalismo di Pace. Concepito come un’intenzionale strategia di rimedio al fine di compensare le omissioni e le distorsioni che possono sorgere inconsapevolmente dalle convenzioni del giornalismo, il Giornalismo di Pace è una particolare campagna di riforma su scala globale e, allo stesso tempo, un crescente settore di ricerca accademica, sostenuto da un notevole movimento che vede impegnati giornalisti e società civile nelle Filippine, in Indonesia e Libano, per citarne alcuni.

Richiama il giornalismo a offrire il retroscena e il contesto dei conflitti, e non unicamente la familiare serie di sparatorie; un più ampio spettro di voci, invece che soltanto quelle dei leader di ciascuna parte; a fornire a lettori e spettatori i mezzi necessari per contrastare le versioni dominanti e, quindi, demolire la propaganda; a mettere in risalto iniziative di pace che, per quanto piccole, sono sempre presenti in ogni conflitto, magari al di là dei riflettori; a offrire immagini tanto di pace quanto di guerra. Tutto ciò, in vario modo, era presente nel film Four Corners.

Stone Cold Justice’, come spesso fa un articolo di Giornalismo di Pace, termina con un punto interrogativo. Israele può essere forte in questo momento, osserva John, ma cosa succederà quando l’attuale giovane generazione di palestinesi – in molti casi brutalizzati e traumatizzati – diventeranno adulti?

Dobbiamo seriamente da sperare che la risposta escluda il loro ricorso alla violenza. Qualunque replica della cosiddetta Intifada di al-Aqsa, la campagna di bombardamenti lanciata nel 2000 che ha causato solo miseria tanto agli israeliani quanto ai palestinesi, costituirebbe un disastro. Quel tipo di disastro, in effetti, da cui il più famoso acquisto della campagna per il boicottaggio accademico d’Israele, il professor Stephen Hawking, ha messo in guardia in una dichiarazione pubblica, spiegando il motivo per cui ha declinato un invito a parlare alla Conferenza Presidenziale d’Israele Facing Tomorrow 2013 (Guardare al domani 2013, n.d.t.).

Nemmeno ci si può aspettare che i palestinesi accettino docilmente le indegnità e le ingiustizie finora accumulate. Ciò vorrebbe dire abolire il pieno soddisfacimento da parte loro di fabbisogni quali dignità, stima e identità. A volte mi chiedono ‘Ci sarà un’altra Intifada?’ nell’ambito di dibattiti pubblici volti a promuovere il movimento di protesta BDS all’interno della comunità internazionale. “Speriamo di no”, rispondo io.

Stone Cold Justice’ ci consente di vedere attraverso quella linea ufficiale che mantiene viva per Israele la prospettiva che esso possa, attraverso le negoziazioni sponsorizzate dagli USA, acconsentire finalmente alla creazione di uno Stato palestinese, sebbene con mille riserve e condizioni molto strette. Gli insediamenti sono, infatti, esattamente quello che sembrano: un’iniziativa calcolata per impedire la pace, che rendono la soluzione dei due Stati virtualmente impossibile da realizzare. John Kerry è solo l’ultimo Segretario di stato USA a tentare – e, per quanto ora sembra inevitabile, a fallire – l’apertura di una strada in tal senso.

Un cambiamento sarà possibile soltanto in seguito a uno spostamento all’interno del più ampio contesto politico, e tale spostamento sta incombendo anche grazie al movimento BDS. Le sistematiche risposte militari, i cui disastrosi effetti sono chiaramente illustrati nel film in questione, sono sempre sembrate relativamente prive di costi. Gli USA si fanno carico di una considerevole porzione delle spese militari d’Israele e, fino a poco tempo fa, non c’era nessun serio rischio di sanzioni politiche o economiche grazie al quietismo di altri governi. Questo scenario sta mutando contemporaneamente alla presa di consapevolezza della situazione da parte di sempre più lettori e spettatori internazionali, alla loro ricerca di una via per cambiare la situazione, e ad averla scoperta nel movimento BDS. Questo si alimenta altresì all’intero del processo politico che vede la Palestina guadagnare sempre più terreno diplomatico all’interno delle Nazioni Unite e altrove. Tale cambiamento può conferire potere a quei sostenitori della pace attraverso la giustizia che risiedono al di là di entrambi i lati del muro.


Unisciti alla campagna “BDS – Boicottagio, Disinvestimento, Sanzioni” per protestare contro il barbaro assedio di Israele su Gaza, l’illegale occupazione dei territori della nazione palestinese, il trattamento inumano e degradante del popolo palestinese, e i più di 7.000 uomini, donne, anziani e bambini palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane.

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21 aprile 2014 . Titolo originale: Peace Journalism from the Holy Land Points the Way to BDS

Traduzione di Silvia De Michelis per il Centro Sereno Regis

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