L’insegnamento degli uccelli – Recensione di Cinzia Picchioni

cop_linsegnamentodegliuccelliL’insegnamento degli uccelli, traduzione dal tibetano a cura di Enrico Dell’Angelo, Shang-Shung Edizioni, Arcidosso 1989, pp. 72, prezzo in lire: 10.000

Dedicato a bird-watcher, meditanti, animalisti, esteti e lettori sensibili

Sì, lo so, è un po’ «datato», ma è talmente bello che vorrei segnalarne comunque la presenza presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis, per chi volesse un «libro da meditazione».


Proprio stamattina  insegnavo una posizione che si chiama «dell’avvoltoio» e a p. 24 trovo parole di insegnamento proprio da questo uccello:

Dalla schiera di sinistra, di cui era a capo, si levò l’avvoltoio, re degli uccelli, scosse tre volte le ali e pronunciò le seguenti parole: “[…]Bisogna comprendere che una volta nati, vivi non si rimane, la morte sopravviene! Bisogna comprendere che le ricchezze accumulate sono destinate ad estinguersi| Bisogna comprendere che i doni elargiti sono le provviste per il futuro![…]

Carina, no, la coincidenza? Beh, a parte questo il libro è molto «gentile», stampato in sepia, quell’inchiostro – usato molto anche da Leonardo – marroncino/rossiccio, così elegante su una carta non proprio bianca. È la traduzione di un libro tibetano, del XVII o XVIII secolo, ma non si a nulla dell’autore; ciò che si sa invece è che il filone letterario cui appartienesi rivolgeva a un pubblico popolare, non particolarmente colto, digiuno di disquisizioni filosofiche. Il testo illustra i princìpi di una dottrina di origine indiana, ma tibetani sono gli scorci di vita e la società che traspaiono dalle sue pagine. Il cuculo, per esempio è molto legato alla cultura tibetana, ed è connesso con l’arrivo della primavera, ma, in senso più ampio, è il simbolo del risveglio dello spirito umano a uno stato di conoscenza superiore. Ci parla così, dalle pp. 44-52:

[…] Unitevi al sacro Insegnamento, unica certezza per questa e per le prossime vite. Poiché la morte all’improvviso sopraggiunge, abbandonate l’errare della mente. Tagliate l’attaccamento perché certa è la separazione dagli affetti. Nulla considerate reale perché tutto è illusione. […] Quelli che adesso sono qui riuniti, in un sogno soltanto sono riuniti. Anche se si nasce, in un sogno soltanto si nasce! Se si muore, in un sogno soltanto si muore! […] Guardate la verità nella vostra propria mente![…]

Il traduttore ci segnala che le tavole (delicati ritratti di uccelli) che accompagnano gli scritti sono state realizzate appositamente da un giovane (nel 1989, l’anno dell’edizione italiana) artista della scuola di pittura tradizionale, a Dharamsala. L’artista si chiama Dhawa Dhondup.

In fondo al libro possiamo leggere i nomi, in tibetano, degli uccelli e la loro traduzione in italiano; il traduttore ha svolto una approfondita ricerca per identificare i ventisette uccelli citati nel testo, consultando opere cinesi, tibetane e occidentali, anche se – ci dice – l’identificazione è più che altro un tentativo, giacché una classificazione della fauna del Tibet non è stata ancora fatta e anche perché nella lingua tibetana manca una terminologia zoologica particolareggiata.

Mi sembra bello chiudere con le parole del gracchio corallino, che ci affida una sorta di mantra (pp. 32-3):

«Khu kyung, khu kyung, lascia perdere, lascia perdere!

Lascia perdere questo mondo di attività inesauribili!
Lascia perdere queste azioni che procurano interminabile sfinimento!
[…] Lascia perdere il desiderio di procurarti belle cose che non possiedi!
Lascia perdere questo desiderio di vantaggi quando nemmeno sai come pregare!
[…] In questo mondo, ancora molte azioni si vedono che bisogna lasciare perdere!»

 

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