Nel mondo poroso – Recensione di Cinzia Picchioni

Gary Snyder, Nel mondo poroso, (a cura di Giuseppe Moretti), Mimesis, Milano 2013, pp. 150, € 14,00

Il libro è «diviso» in tre «parti»: LUOGO, MENTE, WILDERNESS, proprio come recita il sottotitolo «Saggi e interviste su luogo, mente e wilderness». Dunque, siccome non vorrei e non voglio dare per scontato che tutti/e conoscano l’inglese (così come non voglio pensare che tutti debbano avere – e saper usare – un computer e un telefono cellulare) e credo che tutti conoscano il significato delle prime due parole ma non necessariamente della terza, sono andata a cercare nel libro qualcosa sulla wilderness; il termine è piuttosto difficile da tradurre in italiano, ma si potrebbe tentare con «lato selvatico» o anche solo «il selvatico»; il selvatico come concetto, non come animale né come erba. Comunque, a p. 108 del libro che presentiamo questa settimana c’è un capitolo intero che si intitola proprio così: «La wilderness», e che comincia con le parole di Gary Snyder: «[…]La ragione per cui sono qui è perché desidero dar voce alla wilderness, il mio punto di riferimento. Vorrei essere il portavoce di un regno che di solito non è rappresentato né nelle sedi intellettuali né nei palazzi di governo. […] mi piacerebbe pensare ad una nuova definizione di umanesimo e di democrazia che includesse il mondo non-umano, che ci fosse qualcuno che lo rappresenti. Questo è ciò che penso voglia dire avere una coscienza ecologica. […] Ci sono molte cose ammirevoli nella cultura occidentale. Ma una cultura che nega la fonte della sua stessa essenza – la wilderness esteriore (ovvero la natura selvatica, il selvatico, gli ecosistemi che si auto-regolano e si auto-realizzano), e dell’altra wilderness, quella interiore – è destinata a comportamenti distruttivi e, alla lunga, forse, all’auto-distruzione».

snyder-bigQueste parole sono state pronunciate da Gary Snyder e si trovano già in un libro del 1974! Oggi, nel 2013, la casa editrice milanese Mimesis ha creduto opportuno ristamparle, insieme a tante altre, racchiudendole in singoli brani (molti inediti, anzi la maggior parte: quello che dà il titolo al libro si trova a p. 31 e poi altri alle pp. 25, 37, 55, 77, 83, 105, 131); il libro è quindi una selezione di brani pubblicati dall’autore durante quarant’anni. Come recita il sottotitolo, il libro consta di tre mega-temi: «”Luogo” come consapevolezza del nostro sé allargato, come contesto della nostra pratica ecologica, […]”Mente” come un grande ‘bacino fluviale’ interiore che sa essere qui e ora, ma anche ovunque; […]”Wilderness” come condizione genetica di tutte le cose viventi e non – esseri umani compresi» (p. 11).

A p. 89 c’è un brano già pubblicato nel libro, sempre di Snyder, Ritorno al fuoco, di cui abbiamo già pubblicato una recensione nelle «pagine» di questa «newsletter», qui c’è il modo per rileggerla, se qualcuno volesse… è del 2008: https://serenoregis.org/2008/11/11/gary-snyder-ritorno-al-fuoco-recensione-di-cinzia-picchioni/

In effetti, scrivendo questa recensione, mi rendo conto che non si può tanto parlare di Gary Snyder, anzi, forse non si può proprio, perché è indispensabile leggerlo (se non è possibile ascoltarlo dal vivo, che sarebbe la cosa migliore, ma possiamo sempre guardare il film Into the wild…); perciò credo che smetterò qui di usare parole mie, vi consiglio di leggere, per cominciare, La grana delle cose (disponibile presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis), seguitare con Ritorno al fuoco, leggere il libro che abbiamo appena presentato. Così vi innamorerete, come è successo a me nel 1987, quando lavoravo alla casa editrice del Gruppo Abele, che ha pubblicato La grana delle cose; vi innamorerete del modo di scrivere e della forza e della bellezza di Snyder e soprattutto del concetto di «ecologia profonda». Eccovene, per finire, un piccolo esempio:

«La ricerca della permanenza ci ha sempre portato fuori strada […]Dobbiamo vivere nel cambiamento, come un uccello in volo, e così facendo consentire anche la vita di tutti gli altri esseri. Non permanenza, ma vita in armonia con il Cammino. […] cosa servirebbe? […] la scienza e l’arte possono essere nostre alleate. C’è bisogno di molte più donne in politica. Di una visione religiosa che abbracci la natura […]di uomini d’affari che conoscano e accettino limiti spirituali ed ecologici; di leader politici che abbiano passato un po’ del loro tempo lavorando nelle scuole, in fabbrica, o in fattoria […]Quello che però ci serve a tutti i costi sono degli esseri umani che amino il mondo» (p. 97).

Un po’ estremo dite? Qualcosa di utopistico? Non avete ancora letto quando Snyder cerca di «spiegare» la wilderness e che cosa bisogna fare per conoscerla!

«”La cultura è una mela coltivata, la natura è una mela selvatica”. (Ritornare al selvatico è diventare acidi, astringenti, arcigni. Non concimati, non potati, forti, elastici, e ogni primavera fiorenti di una bellezza sconvolgente). Praticamente tutti noi oggi siamo ceppo coltivato, ma possiamo di nuovo perderci nei boschi. Lasciamo la casa per intraprendere una ricerca interiore in una wilderness archetipica che è pericolosa, minacciosa, piena di fiere e di estranei ostili. Questo tipo di incontro con l’altro – sia interno che esterno – ci impone di abbandonare comodità e sicurezze, di accettare freddo e fame, di essere disposti a mangiare qualsiasi cosa. Può darsi che tu non riveda mai più la tua casa. La solitudine è il tuo pane quotidiano. […] In cambio dona libertà, crescita e scioltezza. Slegato. Disincagliato. Pazzo per un po’. Rompe i tabù, porta sull’orlo della trasgressione, insegna l’umiltà. Camminare – digiunare – cantare da soli – comunicare attraverso i confini tra le specie – pregare – ringraziare – ritornare».

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