Eppur si muove! – Il caso dell’educazione alla pace in Messico – Johan Galtung & Fernando Montiel T.

Messico-Distr.Fed.

L’insurrezione indigena in Chiapas nel 1994 ha cambiato il Messico in vari modi differenti. Da un lato ha posto proprio al centro del dibattito politico argomenti storici nascosti, e tuttavia enormi e dolorosi: il razzismo e i diritti indigeni, tra gli altri, vennero fuori dal dimenticatoio per essere trattati, affrontati e possibilmente risolti.

Entrò in scena la dura politica dopo l’episodio romantico della ribellione Zapatista – caratterizzata da uomini e donne mascherati e dal loro affabulatore e capo politico – mediante politiche contro-insurrezionali, gruppi paramilitari e campagne di propaganda, fra l’altro. E fu esattamente allora, quando c’era bisogno di più preoccupazione e attenzione e chiarezza e copertura mediatica da parte della comunità internazionale, che gli occhi del mondo cominciarono a volgersi verso altre crisi altrove. Il massacro di 45 donne e bambini ad Acteal (22 dicembre 1997) riguadagnò brevemente i titoli al Chiapas ma dopo quell’atrocità regnò di nuovo il silenzio.

Quegli avvenimenti passati degli anni 1990 inseminarono e nutrirono molto del cataclisma che ne sarebbe seguito, successivamente divenuto noto con il termine di “guerra alla droga”. Per queste ragioni è alquanto sorprendente che degli specialisti manchino di stabilire il nesso fra una crisi e l’altra nonostante il terreno comune. Le forze speciali ora usate per combattere i trafficanti/produttori di droga furono formate a causa dell’insurrezione del 1994; la militarizzazione – ora rampante e diffusa a livello nazionale – iniziò con il Chiapas; l’abbandono delle campagne – una delle lamentele zapatiste – è suolo fertile per il traffico di droga, e il NAFTA – Accordo di Libero Scambio del Nord America, entrato in vigore precisamente lo stesso giorno d’inizio della ribellione – ebbe tre effetti:

1) distrusse i piccoli agricoltori – che ora dovevano competere con l’industria agro-alimentare USA fortemente sovvenzionata;

2) sommerse il Messico di grosse aziende legali – ma non di posti di lavoro – e di denaro illegale, che a sua volta

3) sommerse gli USA di droghe e di messicani espulsi dalla campagna cui il proprio paese non ha da offrire che corruzione.

Ecco un breve abbozzo grossolano della tragedia.

E ora? Beh, dopo sei anni di “guerra alla droga” aggiungiamoci giusto circa centomila persone uccise, trentamila sparite, milioni di traumatizzati, un quarto dei messicani che vivono negli USA come profughi economici, sei su dieci che vivono in povertà, e dieci milioni di questi, su una popolazione di 120 milioni, vivono in miseria, e avremo così un’immagine aggiornata della situazione.

Disperata? No. Certamente no.

Una violenza strutturale massiccia come questa può essere affrontata solo con intense politiche di pace; e in Messico, ce ne sono parecchie in corso – sia a livello nazionale sia regionale – ma, ancor meglio, alcune ci sono già, funzionanti, attive e che stanno dando buoni risultati.

A livello nazionale si è progettato e attivato un programma comprensivo di prevenzione della violenza. Pur manchevole di alcuni punti importanti – come il giornalismo di pace, i musei di pace, un’economia di pace e una comunicazione nonviolenta – è una proposta coraggiosa, basata su una legittima filosofia di pace – in cui si costruisce la pace soddisfacendo ai bisogni umani fondamentali – ed è ben attrezzata in quanto a obiettivi e con un bilancio e personale sufficiente per conseguire risultati trascendenti costruendo infrastrutture di pace (cioè centri di mediazione, diplomi accademici di pace per funzionari pubblici, ecc.) e una cultura di mediazione-dialogo-conciliazione che era nell’aria da anni ma sta ora diventando un modo di vivere molto concreto non solo nei circoli accademici ma anche nella società civile e nel governo.

Questo approccio dall’alto è poi collegato con sforzi dal livello più basso nelle diverse regioni. In tal senso, lo Stato di Puebla fu un pioniere nello spingere intensamente la mediazione nella prassi legale; lo Stato di Mexico – una regione del paese – è un esempio formidabile di come l’educazione alla pace possa essere meglio servita coalizzando gli sforzi in tutte le direzioni dalle ONG al governo agli impegni individuali. Nell’ambito generale di un progetto chiamato Programa para una Convivencia Escolar Armónica (Programma per una Convivenza Scolastica Armonica) migliaia d’insegnanti delle scuole, genitori e decine di migliaia di studenti stanno familiarizzandosi non solo con strategie per trattare il bullismo ma anche con una vasta gamma di tecniche di trasformazione del conflitto per la quotidianità in ogni contesto domestico.

TRANSCEND è un partner attivo in tutto quanto sopra descritto, e altro ancora, sostenendo lo sviluppo della mediazione legale in tutto il paese insieme alla Corte Suprema, accrescendo le possibilità che venga costituita una Commissione Nazionale di Pace – attualmente piuttosto avanti a livello degli stati con Commissioni Statali già attive e sostenute da ben 300 ONG che contribuiscono con l’istruzione dei formatori, documentando esperienze, elaborando proposte, certificando competenze e fornendo materiale di studio per la disseminazione e l’articolazione dell’educazione alla pace.

Tutto ciò ha luogo adesso; e l’anno prossimo – ormai vicino – potrebbe prodursi un salto gigantesco: la creazione del primo Centro Studi per la Pace associato alla pubblica amministrazione.

Certamente non ancora sufficiente, ma neppure così male.

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Johan Galtung, professore di studi di pace, multi-laureato honoris causa, è rettore dell’Università della Pace TRANSCEND – TPU.

Fernando Montiel T. è membro del Consiglio Internazionale di TRANSCEND per il Messico e dottorando.

18 novembre 2013

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

Titolo originale: And Yet, It Moves! – The Case of Education for Peace in Mexico

http://www.transcend.org/tms/2013/11/and-yet-it-moves-the-case-of-education-for-peace-in-mexico/

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