La Libia del dopo-intervento: uno stato della milizia – Richard Falk

Due eventi apparentemente collegati e rivelatori hanno per breve tempo fatto di nuovo volgere l’attenzione del pubblico verso la Libia proprio dopo il secondo anniversario dell’intervento della NATO che ha aiutato le forze ribelli anti-Gheddafi a rovesciare il suo regime. Il primo evento ha comportato la violazione della sovranità libica causata da un’operazione delle forze speciali americane che hanno catturato il presunto agente segreto di al-Qaida, Abu Anas al-Libi (noto anche come Nizah Abdul Hamed al-Ruqai), il 5 ottobre, presumibilmente con la conoscenza e il consenso del governo libico. Il secondo evento, evidentemente una reazione al primo rapimento, è stato il sequestro avvenuto pochi giorni dopo, del primo ministro del paese, Ali Zeidan, mentre stava dormendo nel suo alloggio in un albergo nel centro di Tripoli.  E’ stato catturato facilmente da uno squadrone di 20 uomini armati della milizia, che sono arrivati nell’albergo alle 2 di notte circa, e che hanno proceduto senza alcuna resistenza da parte delle guardie, a portare via il capo dello stato libico. Un assalto così audace al personaggio fondamentale dello stato,  come se fosse l’unico fornitore della legittima violenza (secondo la famosa concezione di Max Weber) è un segno rivelatore di un sistema politico di governo ombra, cioè senza sicurezza.

La cattura di Ali Zeidan, si dice che sia stata spinta dalla rabbia verso l’impotenza del governo davanti a una violazione così palese della sovranità libica da parte degli Stati Uniti, e anche per servire da avvertimento alla dirigenza del paese, che qualsiasi ulteriore sforzo di disarmare le milizie avrebbe incontrato opposizione. La cattura di Ali Zeidan è stata largamente simbolica. E’ stato trattenuto da coloro che lo avevano preso soltanto per poche ore prima del rilascio. Ciò nondimeno la facilità del sequestro ha provocato brividi lungo la schiena dei paesi occidentali che due anni fa erano stati così orgogliosi del loro intervento per cambiare il regime sotto gli auspici della NATO. L’incidente ha anche rafforzato l’impressione in Occidente che prospettive di investimenti stranieri lucrosi e di un sostanzioso  flusso di petrolio, si sarebbero dovute mettere in attesa per un futuro indefinito.

Secondo i resoconti giornalistici, la milizia responsabile di questa audace sfida all’autorità di governo in Libia, sembra essere di recente formazione, ed è guidata da Nuri Abushamen che è il portavoce dell’Assemblea Generale Nazionale. Il Signor Abusahmen stava seduto serenamente – fatto rivelatore – accanto al primo ministro mentre questi si rivolgeva alla nazione poco dopo avere riguadagnato la libertà. Per coloro che sono consapevoli delle realtà libiche, questa giustapposizione era un’ulteriore indicazione che le capacità del governo eletto di Tripoli sono modeste in confronto a quelle delle milizie, e possono essere superate a piacere dalle forze recalcitranti della società civile. Forse, cosa ancora più pertinente, sembra che ci sia un intreccio senza cuciture in Libia tra il governo e le milizie, tra ciò che è di diritto e ciò che è di fatto, e tra ciò che è legale e ciò che è criminale. Naturalmente è stato molto inquietante che un preminente agente di al-Qaida stesse vagando liberamente in Libia e apparentemente godendo di un certo livello di appoggio nazionale.

Non c’è alcun dubbio che la Libia sia armata in modo così esteso, che perfino la National Rifle Association (Associazione Nazionale dei Fucili) degli USA potrebbe trovarlo eccessivo. Apparentemente ogni famiglia è in possesso di armi, o acquisite per mezzo di assalti agli arsenali di Gheddafi quando il suo regime stava crollando o acquisite da benefattori della NATO. Al contrario di diverse altre nazioni che hanno sperimentato un periodo inquieto successivo alle insurrezioni arabe, la Libia è un ricco premio economico, dato che le riserve petrolifere sono al quinto posto del mondo per estensione e producono un flusso di denaro liquido che potrebbe essere un vantaggio per le travagliate economie dell’Europa che hanno fatto l’intervento e hanno agito conseguentemente come se avessero un diritto a una buona  quota di mercato delle opportunità economiche per il commercio e gli investimenti.

Due anni fa le preoccupazioni che hanno spinto la NATO ad agire erano apertamente associate ai sanguinosi crimini di Gheddafi contro il suo stesso popolo. L’uso della forza è stato autorizzato il 17 marzo 2011, con una Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, limitata, con il presupposto di proteggere la popolazione civile di Bengasi oramai in trappola, dagli attacchi imminenti del regime per lo più attraverso l’istituzione di una zona vietata ai voli. I membri non occidentali del Consiglio di Sicurezza dell’ONU erano scettici e sospettosi all’epoca del dibattito sull’autorizzazione a un’azione militare, temendo che si sarebbe fatto di più di quanto si dichiarava, ma sono stati d’accordo ad astenersi quando si è arrivati al voto, facendo affidamento con riluttanza sulle rassicurazioni ricevuta dai membri interventisti del Consiglio di Sicurezza che dicevano che l’impresa era di un carattere puramente ‘umanitario’ invece di quello che è poi diventato: un’iniziativa politica con un carattere di ‘cambiamento di regime’.

Come è poi risultato, quasi dal giorno dell’intervento è stato chiaro che la NATO stava interpretando il mandato dell’ONU nel modo più ampio possibile, impegnandosi in operazioni militari ovviamente intese a causare il crollo del governo di Gheddafi a Tripoli, e solo casualmente focalizzate sulla protezione degli abitanti di Bengasi davanti a un pericolo immediato. Questa manovra è stata comprensibilmente interpretata come un tradimento della fiducia da parte dei membri del Consiglio di Sicurezza che erano stati persuasi ad astenersi, specialmente la Russia e la Cina. Un effetto di questa azione è stato di indebolire, almeno nel breve termine, la capacità dell’ONU di creare un consenso in risposta alle crisi umanitarie come in Siria, e può forse anche aver indebolito le prospettive di un tipo di governo stabile in Libia per molti anni a venire.

Attualmente il futuro della Libia rimane altamente incerto  con vari scenari possibili; spartizione basata su fondamentali inimicizie etniche e ragionali, creando essenzialmente due sistemi di governo: uno incentrato a Bengasi, l’altro a Tripoli; un perpetuare le rivalità tribali che prendono la forma di una divisione in cantoni  del paese, con autorità governanti sostituite da varie milizie e che probabilmente produrranno un tipo di guerra a bassa intensità che crea il caos e preclude sia la democrazia significativa che programmi di successo di sviluppo economico; uno ‘stato fallito’ che diventa un santuario di violenza estremista transnazionale, e poi diventa un campo di battaglia di anti-terrorismo, alla maniera del Pakistan, dello Yemen, della Somalia, del Mali, la scena dei mortali attacchi con i droni e operazioni segrete delle forze speciali. Si parla anche di un ritorno al potere di Saif- al-Islam Gheddafi, che potrebbe davvero fornire l’unica strada per tornare alla stabilità politica. Il rapimento di al-Libi e il successivo rapimento del primo ministro possono essere metafore di quello che il governo in Libia ora significa.

I media e i politici europei  esprimono di più la loro preoccupazione ad alta voce per questi scenari sconvolgenti, ma raramente prestano attenzione pregressa per riesaminare le mosse imperiali del 2011 che erano, almeno in parte, designate a ripristinare l’influenza europea e a creare opportunità economiche. E’ un ulteriore caso di  riluttanza coloniale a rispettare l’autonomia sovrana degli stati, o almeno di limitare la loro interferenza nelle attività operative a vere azioni di emergenza strettamente all’interno dello scopo di un mandato dell’ONU e realmente limitato a impedire e mitigare le catastrofi umanitarie. Le dinamiche dell’autodeterminazione possono produrre brutti conflitti e tragedie umane terribili, ma nulla può essere peggiore di quello che produce l’intervento occidentale. La logica dell’ordine mondiale  che ha  al centro gli stati, deve essere accompagnata da istituzioni  e procedure regionali e della comunità mondiale che possono occuparsi dei fallimenti interni degli stati sovrani e delle macchinazioni delle manipolazioni fatte dal settore privato globale delle tensioni interne che hanno contribuito in modo così insidioso al massiccio spargimento di sangue nell’Africa sub-sahariana. [Vedere: On Western Terrorism from Hiroshimato Drone Warfare (2013) (Il terrorismo occidentale da Hiroshima a alla guerra con i droni) di Noam Chomsky ed Andre Vitchek per un’elaborazione convincente di questa ultima disputa].

Ovviamente ci sono risposte non facili , ma non mancano i commenti oscurantisti. Per esempio c’è un’immagine di uno ‘stato fallito’ come uno stato che pone una minaccia agli interessi interni dell’Occidente o che non riesce a governare in un modo che impedisca che il suo territorio venga usato per accrescere una violenza ostile diretta, all’Occidente o alla sua proprietà. Non è però l’Egitto uno stato fallito come e più della Libia e tuttavia non è considerato tale? Uno stato forte e oppressivo, specialmente se non è anti-occidentale è considerato compatibile con gli interessi geostrategici anche se commette reati terribili contro l’umanità riguardanti i suoi oppositori interni, come è successo con il colpo di stato condotto da al-Sisi in Egitto.

Possiamo soltanto chiederci se la Libia del 2013 non si comprenda meglio come ‘stato di milizia’ piuttosto che come ‘stato fallito’, che sembra un modello emergente per le società che subiscono l’intervento militare occidentale. Il confronto della Libia con l’Iraq e l’Afghanistan è scomodamente evocativo.

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/post-intervention-Lybia-a-militia-state-by-richard-falk

Originale: Richardfalk.com Traduzione di Maria Chiara Starace

13 ottobre 2013

http://znetitaly.altervista.org/art/12721

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.