E…state vicino! (anche le piante vi ringrazieranno)

Se volete seguire la «semplicità volontaria» applicate l’invito del titolo.

Proprio come sto cercando di fare io in questa estate «bizzarra» (meteorologicamente parlando). Così ho potuto vedere la speciale Luna piena del 22 luglio scorso sorgere tra le montagne della Val Germanasca, a Prali. Ero là, presso Agape Centro Ecumenico, un luogo incantevole dal punto di vista paesaggistico, ma indimenticabile per l’atmosfera: ragazzi/e «campolavoristi» di diverse nazionalità che fanno funzionare il posto (30 camere, moltissimi ospiti) dove, nonostante l’alto numero di partecipanti ai «campi» proposti, i piatti sono di ceramica, i bicchieri di vetro, le posate di metallo, le pentole di acciaio, l’acqua del rubinetto, i tovaglioli di stoffa (dentro a un sacchetto con il proprio nome), la biancheria di cotone (e si asciuga all’aria in un enorme stenditoio profumato, insieme alle divise di chi lavora in cucina). Una scelta precisa del «modo» valdese di fare le cose (si chiama «Agape blu», www.agapecentroecumenico.org).

Mentre ero là e (come tutti) «lavoravo», si svolgeva il «Campo gay*». Una quarantina di uomini simpatici, attenti, coinvolti, che si sono riuniti ad Agape per riflettere, confrontarsi, giocare sui temi proposti dalla staff che «guidava» il Campo. E una notte, quella della Luna piena di luglio, hanno deciso di fare una passeggiata nei boschi, e al loro ritorno i residenti e i campolavoristi di Agape avevano organizzato un grande fuoco, con attorno delle coperte per sedersi e bere un bicchiere di vin brulé… insieme a letture ispiranti sotto i raggi della Luna. La vita ad Agape è così. Meravigliosa, sorprendente, faticosa e per tutta l’estate, ogni estate da 60 anni la proposta interessa e riguarda centinaia di persone che da tutto il mondo decidono di trascorrere là le loro vacanze «pensierate». Proprio come ho fatto io, che ho scelto di cominciare da lì il mio periodo di vacanza (vicino, con mio figlio – che lavora e vive ad Agape – con persone interessanti, lavorando anche un po’ per il progetto che Agape rappresenta, e preferendo dare dei soldi a una cosa come quella piuttosto che a un esercizio commerciale che è solo commerciale, e non ha nessun altro significato).

segale1Cinque giorni lassù (1600 metri) e poi una tappa intermedia a Pinerolo (così mi sono abituata gradatamente al caldo maggiore che avrei trovato tornata a Torino), che è sulla strada del ritorno (ottimizzazione del percorso), sfruttando un passaggio in auto di due residenti ad Agape che dovevano anche loro andare nella stessa cittadina (car-sharing). E a Pinerolo sono stata ospitata da un vecchio amico che aveva un campo di segale da tagliare, e io avevo promesso che sarei andata ad aiutarlo quando la segale fosse stata pronta. E, guarda un po’, era pronta proprio in quei giorni, dopo la Luna piena di luglio, e così, falciola in mano, abbiamo tagliato, abbiamo legato i piccoli covoni, abbiamo trebbiato (con una piccola trebbia manuale che il mio amico aveva recuperato da un falegname) e infine abbiamo separato la paglia dai chicchi, con l’aiuto di un vecchio «ventolino» (una macchina ingegnosa in modo semplice (tecnologia appropriata) che, facendo ruotare manualmente delle pale, soffia via le parti leggere mentre i chicchi – più pesanti – cadono in una rete sottostante). Alla fine del lavoro il mio amico mi ha confezionato un sacchetto di segale e me l’ha consegnato dicendomi, scherzando, «questo è il tuo salario», e sono tornata in città con il «tesoro» nella borsa. E sono stati così altri due giorni di vacanza vicina, in un posto bello, lavandomi con l’acqua scaldata dal sole (pannelli), con un amico, facendo anche qualcosa di buono (per lui, che ha avuto un po’ di aiuto da me, e per me, che ho avuto anche due chili di segale – biologica e raccolta con le mie mani – da mettere nella dispensa).

Ritornata a Torino ho avuto la bella sorpresa di trovare tutte le piante in buono stato (avevo organizzato un piano di auto-abbeveramento a base di spago e acqua. Non lo conoscete? Si riuniscono le piante in vaso piuttosto vicine, in mezzo si mette un recipiente pieno d’acqua e tanti pezzi di spago quante sono le piante. Un capo dello spago è immerso nell’acqua, l’altro capo si conficca nella terra del vaso. La pianta «succhierà» l’acqua che le serve. Funziona, senza complicati, costosi, impattanti impianti di auto-irrigazione, e quando non si vogliono stressare amici e parenti con l’incombenza di bagnare le piante quando non ci siamo. Certo non è così sicuro se i giorni di assenza sono molti…

 

*Cercando l’origine del termine ho trovato che deriva dall’antico occitano (più esattamente provenzale) «gai», che significa «allegro», «gaio». «che dà gioia». Così mi sono ricordata di un caro amico gay che mi aveva divertito (appunto!) raccontandomi che G.A.Y. è anche un acronimo di Good As You, cioè «buono», «valido» quanto te (cioè noi, i cosiddetti «normali», eterosessuali). L’avevo trovato molto carino, e da allora l’ho «adottato», nonostante si dica che è «una leggenda metropoliana».

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