Le tre cose che accompagnano sempre l’occupazione

Robert Fisk

Il 20 novembre 2001, all’ambasciata afgana di Islamabad, i talebani hanno stampigliato sul mio passaporto proprio il loro ultimo visto, numero 001518, valido soltanto per Kandahar e stampato su un pezzetto di carta di varie tonalità di verde. In cima erano stampate, in inglese e in dari, le parole: “Emirato islamico dell’Afghanistan”.

Meno di un anno dopo, il nuovo governo  filo-americano dell’Afghanistan  di Karzai, mi ha rilasciato  un visto proprio presso la stessa ambasciata. Questa volta il visto era il numero 010937, stampato su una carta verde identica, ma le parole “Emirato islamico dell’Afghanistan” erano state tagliate in alto e sostituite da un timbro di gomma con le parole “Ambasciata dell’Afghanistan, Islamabad”. Un paio di forbici aveva levato di mezzo l’ ‘Emirato’.

Poi, la settimana scorsa, l’ufficio talebano di Doha, nuovo di zecca, di un bianco accecante, si è aperto con quell’ importante ‘Emirato’ inserito di nuovo nella sua denominazione. E gli americani non parlavano ai talebani perché Karzai non parlava a loro – o ai talebani – a causa di quella parola spaventosa.

Il cammino di sangue dal campo di battaglia ai negoziati è stato cosparso di tali sciocchezze da quando gli irlandesi sono stati invitati da a Dwinig Street da Lloyd George per discutere il trattato anglo-irlandese del 1921. Le superpotenze hanno seguito lo stesso triste viaggio dalla sconfitta e umiliazione – e tortura – nell’occupazione, fino al ritiro senza umiliazione. Gli eserciti occupanti devono andare via con dignità. Se potranno, passeranno le consegne a un delegato locale. All’inferno la gente che si lasciano dietro. Le parole non contano.

E così l’offensivo segno ‘Emirato’ è stato rimosso, insieme alla bandiera bianca dei talebani e al suo versetto coranico – e i talebani hanno borbottato che i colloqui di ‘pace’ saranno più difficili. Ne dubito. Gli americani hanno tirato un sospiro di sollievo. In Palestina, in Algeria, a Cipro, nello Yemen, in Kenya, in Vietnam, in Iraq – anche dopo la pacifica lotta per l’indipendenza in India, è stata sempre la stessa vecchia storia. I nemici che dovevano essere liquidati, cancellati, torturati, imprigionati – uomini e donne le cui esistenze facevano infuriare proprio i loro governanti coloniali e imperiali – apparivano a  Londra o a Evian, o a Zurigo, a Parigi o a Washington  e presto a Doha per parlare amabilmente con i loro rivali. ‘Uomini di violenza’ improvvisamente diventavano ‘delegati’, E, guardate, i ‘terroristi’ dell’IRA, l’Haganah (un organizzazione paramilitare ebraica) il Fronte di Liberazione Nazionale (in Algeria),  l’EOKA, i Mau Mau, il il Fronte di Liberazione Nazionale dello Yemen, i Viet Cong e il partito Islamico Dawa (in Iraq) – e ora i talebani – tutti trasformati magicamente in tizi responsabili che un  giorno potrebbero bere il tè con i loro ex padroni e talvolta – vengono in mente Makarios e Kenyatta e Begin – anche con la regina.

Dopo essersi coperti di vergogna con la tortura, dopo la negazione proprio dei valori che dichiaravano di rappresentare – e dichiarando una vana ‘vittoria’ militare nel baratro -le superpotenze sono tristemente  uscite furiose dalla scena. Soltanto dopo la barbarie britannica in Irlanda – “le cose che si stanno facendo nel nome della Gran Bretagna devono fare in modo che il nostro nome puzzi nelle narici di tutto il mondo,” diceva un rapporto del Partito Laburista – Winston Churchill ha dato la mano a Michael Collins. “Le sue mani hanno toccato le sorgenti di gesta terribili,” ha detto del capo dei servizi segreti dell’IRA.  E allora?

La Gran Bretagna ha usato la tortura e le esecuzioni contro i suoi nemici della guerriglia araba ed ebraica in Palestina, e si è ritirata dopo infruttuosi negoziati con entrambe le parti. Abbiamo abbandonato sia la Palestina che l’India – dopo che i nuovi confini [fissati ] da Mountbatten avevano creato il Pakistan – a consumarsi nella guerra civile. Il ‘nostro’ mandato e la gente del ‘nostro’ impero sono stati  travolti in bagni di sangue perché volevamo fare un’uscita onorevole. A Cipro abbiamo mantenuto alcune basi – Aktotiri e Dhekelia sono state i precedenti delle fortezze che la NATO spera di mantenere in Afghanistan – dopo che ce ne eravamo andati. Riguardo al Kenya – dopo una vergognosa guerra di torture e di uccisioni da parte del Regno Unito – viene ancora combattuta dalle vittime una terribile lotta legale nelle corti giudiziarie britanniche proprio questa estate per una spaventosa eredità imperiale – Enoch Powell ha detto che una nazione che si è comportata in questo modo non meritava un impero.

I francesi hanno usato la tortura e le esecuzioni di massa su vasta scala nel loro tentativo di distruggere il Fronte di Liberazione Nazionale in Algeria. Hanno assassinato così tanti probabili negoziatori  – ‘interlocuteurs valables’ (interlocutori qualificati) – che era difficile trovare delegati con i quali potevano parlare a Evian. Gli americani hanno appena fatto lo stesso in Pakistan ‘uccidendo con un drone’ Wali ur-Rehman, un funzionario  politico di alto livello, vicino ai talebani pachistani la cui perdita è una batosta per le persone del movimento che credono nei negoziati.

I britannici hanno fatto un patto segreto con il fronte di liberazione Nazionale in Yemen per distruggere i loro rivali del Fronte per la liberazione dello Yemen del sud occupato (FLOSY appoggiati da Ali Nasser Muhammad (due volte presidente dello Yemen del Sud) e poi, dopo aver usato regolarmente la tortura contro i ribelli yemeniti a Fort Morbut – sono fuggiti da Aden. Dopo la vergogna dei torturatori britannici e francesi, e dei loro colleghi statunitensi in Vietnam, era inevitabile l’oscenità di Abu Ghraib e di Bagram e delle prigioni ‘nere’ della CIA.

Tre cose accompagnano  sempre l’occupazione: la tortura da parte dei padroni che vantano la superiorità morale, le dichiarazioni che hanno vinto la guerra anche se sono in ritirata, e la assoluta insistenza su un’uscita dignitosa dopo i negoziati. I russi hanno lasciato indietro il loro vecchio capo della polizia segreta Najibullah a Kabul, gli americani sperano di lasciare Karzai nella stessa città l’anno prossimo. Gli americani pensavano che Nguyen van Thieu potesse essere in grado di resistere nel Vietnam del Sud. Malaki difende ancora il forte a Baghdad, in teoria per gli americani, probabilmente per gli iraniani.

E così i cinegiornali mostrano i Royal Marines (la fanteria anfibia della Marina Britannica, n.d.t.)  che lasciano Haifa e Aden, la fanteria leggera del Somerset che lascia l’India, i Black Watch che partono dal nuovo Pakistan, il 21° Reggimento di fanteria statunitense che lascia Saigon. Nessuno voleva una replica della devastante sconfitta  della Francia a Dien Bein Phu. I britannici hanno perduto soltanto 183 soldati in Irlanda tra il 1919 e il 1921, 370 a Cipro, rispetto ai 414 in Iraq e Afghanistan. Gli americani ne hanno perduti 47.424 in Vietnam, 5.281 in Iraq, più di 2.000 in Afghanistan; i francesi ne hanno perduti 17.456  in Algeria, i sovietici circa 15.000 in Afghanistan. Alcune delle cifre sono contestate; nessuno ha raccolto le statistiche dei morti civili o del ‘nemico’, che, naturalmente, ammontano a milioni. Le  ‘nostre’ guerre – quelle occidentali e quelle sovietiche -si intendeva che fossero combattute per proteggerci dal comunismo, per ‘contenere’ il comunismo, per l’impero, contro il ‘terrore’, per distruggere le ‘armi di distruzione di massa’, o per conservare ciò che era rimasto del prestigio orientale.

Il ‘nemico’ ha sempre combattuto per liberarsi degli ‘stranieri’. E ora abbiamo ‘vinto’ la battaglia contro  una parola a Doha. Soltanto così possiamo  uscire dall’Afghanistan.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-three-things-that-always-accompany-occupation-by-robert-fisk

Originale: The Indipendent Traduzione di Maria Chiara Starace

25 giugno 2013 http://znetitaly.altervista.org/art/11353