Ricordo di Maurizio Cavicchi

Mario Martini

Avevamo appena presentato il volume delle Lettere familiari di Aldo Capitini alla Sala Binni della Biblioteca Augusta, quando mi è giunta la notizia che se ne era andato alla soglia dei novant’anni uno tra gli ultimi testimoni diretti della vita di Capitini. Maurizio Cavicchi aveva fondato con altri (Lanfranco Mencaroni, Francesco Innamorati, Nini Menichetti, Maria Pillan, Carlo Sarti) un’associazione di Amici del filosofo della nonviolenza.

L’avevo conosciuto nei primi anni settanta, quando mi era capitato tra le mani il volumetto delle lettere che lo scrittore umbro gli aveva indirizzato, pubblicato da una editrice da lui inventata, “Il Listro”, uno strumento usato per orientare la barca dai pescatori del Trasimeno. E’ stato per quasi vent’anni sindaco di Passignano e Castel Rigone, e ha scritto un bel libro su quelle “Terre del papa”, che testimonia una cultura letteraria raffinata. Entrato ben presto nel mondo della scuola, vi ha dedicato l’intera vita professionale, ricoprendo incarichi direttivi in vari licei tra Foligno e Perugia. Maurizio si era laureato in Lettere e filosofia alla Sapienza di Roma, ai tempi di Giovanni Gentile, di cui amava ricordare la predilezione per il timido ragazzo umbro. Di Gentile manterrà a lungo il ricordo delle lezioni, proprio come Capitini, che, nonostante la posizione politicamente opposta, avrà però nel proprio pensiero come centrale il tema gentiliano dell’Atto. Nella prefazione a quelle lettere Cavicchi racconta come fosse venuto a contatto, diciottenne, con Capitini nel clima da cospirazione antifascista della sua abitazione nella torre campanaria di Palazzo dei Priori, e come trovasse in quell’uomo “così dimesso, naturale, ordinario”, il maestro di cui lui, come tanti altri giovani, in quegli anni bui andava in cerca.

Quando Cavicchi diventerà politico e si troverà di fronte alle scelte responsabili, si allontanerà da Capitini, parendogli che non con le “idee” si potesse amministrare. Ben presto, saranno proprio le idee direttive centrali del filosofo (la nonmenzogna, la nonviolenza, il saper dire di no ad un potere ingiusto e prevaricatore) a costituire l’asse portante del suo operare. Direi che ciò che era essenziale della personalità di Capitini, è anche ciò che ha improntato gli orientamenti di fondo della vita privata e pubblica di Maurizio Cavicchi: l’estrema coerenza di vita e tra il pensiero e la vita. Una straordinaria testimonianza per l’oggi, ma non basta: a ciò saranno anche improntate le sue scelte politiche; il liberalsocialismo di Capitini ispirerà Cavicchi in modo da sostenere il socialismo come valore politico da non perdere, come coerenza della sinistra, una sinistra che sappia riattualizzare il valore dell’eguaglianza, della giustizia sociale accanto alla libertà, che sappia far risaltare lo scandalo della ricchezza dei pochi di fronte all’indigenza crescente dei più.

La fedeltà e la riconoscenza per un tale maestro di vita porteranno Cavicchi a dedicare a lui più di uno scritto. Tra le altre cose, quando alla fine del ’99 si tenne un convegno sulla nonviolenza di Capitini al Centro Sereno Regis e all’Università di Torino, Maurizio mi affidò una memoria sul nostro, che gli organizzatori vollero leggessi come introduzione al convegno stesso. E poi un profilo, molto efficace e fine, per gli “Amici dell’Umbria in Emilia Romagna”; un saggio su “Capitini e la sua città”, letto il 26 ottobre 2005 al Liceo Mariotti per i cento anni dell’istituzione. Infine, la monografia intitolata “Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero”, pubblicata da Piero Lacaita nel 2005, certo un profilo complessivo, ma nel quale sono contenute poche tra le migliori pagine filosofiche sul suo pensiero, almeno così altamente onorato da uno dei suoi concittadini.

 

Mario Martini – [email protected]

Perugia, 3 giugno 2013

 

 

 

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