Nelle mani di Golia, i diritti dell’uomo tra Stato e mercato – Recensione di Luca Cabras

cop Paolo Moiola, a cura di, Nelle mani di GoliaPaolo Moiola, a cura di, Nelle mani di Golia. I diritti dell’uomo tra Stato e mercato (ai tempi della rete), Il segno dei Gabrielli editori, S. Pietro in Cariano (Verona) 2012, pp. 637.

Una lotta continua

Gran parte di noi, che viviamo nella parte “civilizzata” del Mondo, quando sentiamo parlare di diritti umani spesso pensiamo a un qualcosa di ormai acquisito, consolidato, tanto sul piano culturale quanto, e soprattutto, su quello giuridico. Nelle mani di Golia ci ricorda che non è così. Nel secolo della globalizzazione, dell’economia neoliberista e della finanza globale i diritti umani -sempre che siano riconosciuti come tali – sono interessati da un processo di involuzione, apparendo ora meno scontati di un tempo.

Il titolo stesso del’opera, di cui Moiola è il curatore, rende a pieno l’idea della continua lotta che ognuno di noi, volente o nolente, è chiamato a sostenere per riaffermare le proprie – e le altrui – prerogative. Ecco che Golia assume così le sembianze dello Stato, istituzione che influenza in maniera diretta le nostre vite, ma anche e soprattutto del mercato “che funziona con meccanismi che non lasciano spazio a scopi diversi (dal profitto ndr) quali la giustizia sociale o la salvaguardia dell’ambiente”. “La persona umana, con i suoi diritti (e doveri), rimane dunque il soggetto più debole, che tratta con gli altri attori in condizioni di oggettiva inferiorità”.

Tale lavoro, offrendo uno spaccato a 360 gradi sulla società contemporanea, della quale mette in luce tanto le peculiarità quanto le contraddizioni, fa il punto sullo “stato” attuale dei diritti fornendo un’interpretazione del contesto, complesso e mutevole, nel quale essi si collocano. Nel fare questo, esso si avvale di una pluralità di punti di vista, di esperienze e, perché no, di opinioni. Sono 37 gli autori – professori universitari, giornalisti, professionisti, studiosi e preti di frontiera – che, portando in dote i rispettivi background, hanno dato il loro contributo alla stesura di quest’opera. Data la coesistenza in un unico scritto di personalità così diverse, non è raro imbattersi in stili e linguaggi molto differenti tra loro, dal più moderato al più “radicale”, dal più oggettivo a chi, dimostrando una forte empatia verso i temi trattati, si discosta, seppur comprensibilmente, da un’imparzialità che sarebbe legittimo aspettarsi in un’opera di tal fatta. Così, come lo stesso Moiola asserisce, “un lettore potrà trovarsi d’accordo sui contenuti di un capitolo e in disaccordo su un altro”.

Dei diritti sotto attacco

Nelle mani di Golia si apre con un’interessante riflessione sui diritti umani, sul contesto storico e sulle dinamiche che ne hanno determinato la genesi. Da essa emerge che, nonostante la loro pretesa universalità, una metà del mondo non si riconosce in essi, vissuti più come emanazione – e forse imposizione – culturale della società occidentale che come strumento finalizzato alla tutela e alla garanzia dei più deboli. Ma ciò non deve stupire, considerando che i fautori della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo furono le stesse potenze che – con non poca ipocrisia – violarono quotidianamente i principi di cui tanto orgogliosamente si facevano ambasciatori, mentre popoli e nazioni a cui oggi si rimprovera la mancata applicazione degli stessi furono esclusi in toto dal dibattito, spesso perché ancora sottoposti al dominio coloniale dell’Occidente.

Proseguendo, l’opera ci offre un’istantanea della società contemporanea. L’immagine che ci si para davanti è impietosa. Ovunque – e comunque – diritti, che fino a poco tempo fa parevano acquisiti a titolo definitivo, sono oggi sotto attacco. Il posto d’onore sul banco degli imputati è sicuramente occupato dalla globalizzazione, ma non solo. Come non pensare al diritto al lavoro, sacrificato dalla politica “sull’altare del libero mercato” in nome della flessibilità e dell’efficienza – assurti a dogmi del capitalismo – sullo sfondo di una sfida al ribasso che i Paesi corrono nella speranza di attirarsi il favore delle – quasi onnipotenti – multinazionali.

E ancora, il diritto alla salute, oggi messo in discussione dall’atteggiamento neo-liberista che prende piede non solo nei paesi in via di sviluppo, dove le politiche di “aggiustamento strutturale” promosse negli anni 1980 e 1990 da organismi economici internazionali – Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale– hanno portato alla privatizzazione dei già precari sistemi sanitari nazionali, ma anche in quelle democrazie occidentali che possono vantare una lunga tradizione di welfare state.

Il diritto all’alimentazione poi, oggi è sicuramente il più minacciato. Ancora una volta la globalizzazione ha contribuito ad aggravare una situazione già critica, determinando una progressiva scomparsa dei modelli tradizionali ed eco-compatibili e favorendo il diffondersi di forme di agricoltura industriale, le quali non rispondono a logiche di sostenibilità di lungo periodo ma a schemi volti al profitto.

Mentre, svanito il sogno della Rete come “realtà parallela e un po’ anarchica” guardiana dei diritti e difensore dei più deboli, emerge il dualismo di fondo che caratterizza questa rivoluzionaria invenzione. Da un lato pensata come arena aperta al confronto, massima espressione di diritti e libertà capace di soddisfare al meglio il diritto all’informazione, dall’altro come ennesimo terreno di scontro tra interessi contrapposti e strumento – le cui leve sono nelle mani di pochi – piegato alle regole del consenso e dell’informazione distorta.

Dei diritti dei Paesi

Nel tentativo di interpretare la condizione, non solo formale ma soprattutto sostanziale, dei diritti umani nelle varie regioni del mondo, e al contempo indagare come essi si siano adattati ai differenti contesti culturali, il libro – avvalendosi delle esperienze dirette degli autori – focalizza la propria attenzione sui singoli paesi. Quanto emerge è spesso una realtà disattesa, quanto meno lontana dall’immaginario collettivo.

Il continente africano, nonostante le guerre, le epidemie e le crisi umanitarie, è interessato da un – seppur lento – processo di democratizzazione, nell’ambito del quale avviene il riconoscimento dei diritti fondamentali, sempre più spesso concepiti come condizione imprescindibile e veicolo di sviluppo. Processo che, nonostante le pur numerose battute di arresto, ha ormai assunto una dimensione continentale, basti pensare alla Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli adottata in seno all’Unione Africana, nonché alla Corte istituita per garantirne il rispetto.

Nel caso del Venezuela e di Cuba, poi, la rappresentazione offertaci dalla narrazione dei media occidentali viene in gran parte ribaltata. Questi due paesi, spesso rappresentati – non sempre a torto – come dittature spietate, sono invece concretamente impegnati nel garantire i bisogni e i diritti fondamentali ai propri cittadini. Negli Stati Uniti al contrario, considerati la democrazia per antonomasia, diritti fondamentali, quali quello alla salute e all’istruzione, sono considerati tali solo per chi ha un reddito abbastanza alto per permetterseli. Mentre chi lotta per estendere tutele e garanzie alle fasce più deboli, come il Presidente Barack Obama nel promuovere la riforma del sistema sanitario nazionale, viene ferocemente osteggiato ed etichettato come socialista.

Del dovere di indignarsi

Un saggio che si prefigge l’ambizioso fine di tracciare l’evoluzione dei diritti umani dalla loro origine fino al XXI secolo, non poteva prescindere da una profonda riflessione sul concetto di dovere, limite invalicabile dell’altro. Relegato spesso in secondo piano nella cultura occidentale, e per questo solo accennato nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, il dovere è un elemento centrale in molte culture asiatiche e africane. Dal rapporto tra diritto e dovere, in primis quello di tutelare i propri diritti, dipende la qualità della democrazia stessa.

L’opera si conclude con un augurio, che il lettore ritrovi la capacità di vergognarsi di fronte alle ingiustizie, al degrado delle istituzioni, ai soprusi che vengono perpetrati nei confronti dei più deboli. Facendo propria la massima gandhiana “ sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”, l’autore invita chi legge a prendere parte attiva al processo di rinnovamento della società, perché se “indignarsi non basta” è sicuramente un inizio.

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