Corpi Civili di Pace in azione

Nanni Salio

Gianmarco Pisa, Corpi Civili di Pace in azione. Prefazione di Alberto L’Abate, Ad est dell’Equatore, Pollena Trocchia (Napoli), pp. 120

Quando si parla di pace, e anche di nonviolenza, ci si ferma sovente solo agli aspetti teorici generali, di principio, morali. Tutte cose importanti, ma insufficienti. Da tempo, tuttavia, e possiamo risalire sino a Gandhi, c’è chi elabora e sperimenta modalità concrete per prevenire, intervenire e riconciliare là dove i conflitti rischiano di degenerare, o sono già degenerati, in guerre e violenze.

E’ quanto stanno facendo, da anni, sia l’IPRI-Rete dei Corpi Civili di Pace (CCP), su scala italiana sia, più in generale, le Nonviolent Peace Force su scala internazionale.

Questo ottimo lavoro di Gianmarco Pisa, ha il pregio di sintetizzare con incisività e chiarezza le linee guida generali, teoriche e pratiche, che contraddistinguono l’azione dei CCP. E’ inoltre un utilissimo ampliamento del fascicolo di Azione Nonviolenta del dicembre 2012 dedicato allo stesso tema.

Come chiarisce Albero L’Abate nella prefazione, la filosofia dei CCP si fonda sulla nonviolenza attiva che secondo George Lakey, uno dei più noti e autorevoli formatori alla nonviolenza, con una grande esperienza diretta sul campo, “si caratterizza per tre forme di intervento: 1) il cambiamento sociale; 2) la difesa sociale; 3) l’intervento nonviolento attraverso le terze parti nei conflitti” (p. 12).

E’ a partire da questi presupposti, arricchiti dalle teorie e metodologie di “trasformazione nonviolenta dei conflitti”, da Johan Galtung a Paul Lederach, che il libro si articola offrendo le basi e gli indirizzi generali lungo i quali operano i CCP.

Il caso di studio e di intervento concreto è quello dei Balcani, con l’esperienza dei “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, che continua tuttora dopo dieci anni dall’avvio e, pur nella grande complessità della situazione, è una concreta dimostrazione delle possibilità e dell’efficacia del peacebuilding nonviolento.

Ma allora, un po’ ingenuamente, possiamo chiederci: “perché le Nazioni Unite e l’UE non promuovono direttamente la costituzione di CCP su scala regionale e internazionale?”. La risposta è quanto mai semplice e lineare: la politica internazionale, soprattutto delle grandi potenze (ovvero USA e NATO) è orientata alla dominazione e alla costruzione di un sistema imperiale, che sebbene sia in crisi, continua ad assorbire somme ingentissime per creare insicurezza, morte e terrore attraverso il complesso militare-industriale-scientifico-corporativo-mediatico.

Per esercitare il dominio dell’1% sul resto del mondo è necessario, come ha detto con grande chiarezza la Margaret Albright, il “pugno duro”, il “martello” dello strumento militare. “Per ogni euro speso per la prevenzione della guerra, si spendono diecimila euro per fare la guerra” (p. 84). Sino a quando? La grande crisi sistemica globale sta mettendo in discussione i fondamenti di questa civiltà, come aveva preconizzato Gandhi un secolo fa. Per uscirne indenni occorre un lavoro sistematico su attori, strutture e culture attraverso la ricerca, l’educazione e l’azione per la pace e la nonviolenza.

E’ quanto stanno facendo i movimenti nonviolenti e in particolare i CCP, ma occorre unire le forze e costruire un “movimento dei movimenti” capace di raccogliere la miriade di esperienze in corso e tradurla in un’azione politica complessiva di cambiamento sociale.

 

 

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