Agli amici della nonviolenza – Pietro Polito

La nonviolenza non è la fretta a vincere,

ma la tenacia, l’ostinazione lunga,

come la goccia che scava la pietra.

E la nonviolenza, se per un quarto è amorevolezza,

per due quarti è coraggiosa pazienza.

Aldo Capitini, Le ragioni dell’addestramento, “Azione nonviolenta”, agosto-settembre 1965

Con queste note rivolte agli amici della nonviolenza, mentre c’interroghiamo sul volto incerto della nuova Italia quale emerge dal risultato delle elezioni politiche, si conclude il “Diario italiano”, iniziato dopo la Marcia della Pace Perugia-Assisi del 24 settembre 2011 con l’intenzione e l’auspicio di accompagnare e di seguire l’uscita di scena del Sultano. Non è andata così. La vittoria-vittoria di Grillo, la vittoria-sconfitta di Bersani, la sconfitta-vittoria di Berlusconi, la sconfitta-sconfitta di Monti ci consegnano un’Italia sconosciuta che non si è liberata né del berlusconismo né di Berlusconi.

Mi permetto di rivolgermi agli amici della nonviolenza perché credo che insieme costituiamo un “noi”, un noi che può contare, un noi che può, deve dare un contributo.

A un patto.

A patto, come ci scrive il caro Giuliano Martignetti, di non “andare avanti nelle nostre attività quotidiane come se nulla fosse successo o possa succedere”, se così fosse i nostri “non sarebbero poco più che innocui passatempi”.

A patto di non parlare da una cattedra o da un pulpito, di non mettere i panni dei ripetitori di una verità data una volta per tutte né quelli degli accusatori che non si portano mai in mezzo alle cose.

A patto di non cedere all’orgoglio intellettuale di chi crede di essere dalla parte giusta: “la nonviolenza non condanna e non assolve, perché essa non è una legge, ma un’aggiunta, un incremento” (Aldo Capitini).

A patto di far nostra “la via del non accettar la distinzione tra il predicare e l’agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione, e del non lasciare ad altri la cura di provvedere, ma di cominciare a pagar di persona”. (N. Bobbio, Prefazione a D. Dolci, Banditi a Partinico, Einaudi, Torino 1955; Sellerio, Palermo 2012).

Che cosa fare concretamente?

Mi auguro attraverso gli articoli che sono venuto scrivendo sulla politica in Italia di essere riuscito a illustrare e svolgere con chiarezza l’idea fondamentale da cui sono partito e di cui sono profondamente convinto: la politica può ritrovarsi e rinnovarsi solo attraverso l’incontro con la nonviolenza, la nonviolenza esprime la sua forza nella compromissione con la politica.

In che modo politica e nonviolenza, nonviolenza e politica possono reciprocamente compromettersi? Riprendendo liberamente la distinzione esposta da Norberto Bobbio in Politica e cultura (1955), Einaudi, Torino 2005 tra politica culturale e politica della cultura, propongo di distinguere tra politica nonviolenta e politica della nonviolenza.

La politica nonviolenta è l’attività che la politica – partiti, movimenti, governi, Stati – può svolgere attraverso proposte, iniziative, provvedimenti legislativi a livello nazionale e internazionale, dissociandosi dalla violenza che finora le è stata e le è storicamente connaturata. Il nesso tra politica e violenza viene considerato necessario, quello tra politica e nonviolenza improbabile se non impossibile, perlopiù nel migliore dei casi auspicabile. Ebbene, se la politica può e vuole continuare ad avere un senso non può non essere che impegno per l’ideale tutt’altro che astratto, anzi concreto e realistico, della massima riduzione possibile della violenza, e a lungo andare della sua eliminazione nel mondo.

La politica della nonviolenza è la politica compiuta dagli amici della nonviolenza: in quanto tale non coincide con la politica, meno che meno s’identifica con la politica di un partito, di un governo o di uno stato, non si restringe in confini nazionali o geopolitici. La politica della nonviolenza è una posizione di massima apertura, non discende da un’unica visione filosofica o religiosa, né si prolunga e afferma nell’ideologia di una parte o di un partito unico. La politica della nonviolenza come politica degli amici della nonviolenza è in primo luogo promovimento delle condizioni di esistenza e di sviluppo della nonviolenza.

Si può dire di essa ciò che Bobbio scriveva della politica della cultura: analogamente la politica della nonviolenza “si inserisce nel vivo dei problemi politici di oggi e tende a svolgere vera e propria opera di impegno politico”.

1 commento
  1. Alessandro Capuzzo
    Alessandro Capuzzo dice:

    Ce ne pensi allora Pietro del programma in 25 punti di Alba, che in particolare su pace e nonviolenza si esprime così :

    13. La pace non si costruisce con le armi.

    Vogliamo l’attuazione dell’art. 11 della Costituzione e il ritiro da tutte le operazioni di guerra in cui è impegnata l’Italia; la riduzione drastica delle spese militari, a partire dalla cancellazione dell’acquisto degli F35; la riconversione dell’industria degli armamenti; l’impegno nelle iniziative di cooperazione internazionale, di pacificazione e assistenza sanitaria. Il grande risparmio di risorse finanziarie deve andare, in parte significativa, a ripristinare i fondi per scuola, università e ricerca, sanità e servizi sociali. Il ripudio della guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali non è solo l’affermazione del valore della pace; non ribadisce con forza solo il desiderio e l’impegno di mettere “la guerra fuori della storia”. Afferma che il contrario della guerra è la politica: l’apertura di spazi di confronto, luoghi pubblici in cui è possibile l’espressione del conflitto in forma vitale, creativa, non distruttiva. La non violenza non è rassegnazione ma pratica politica conflittuale, che si sposta dal terreno aggressivo e militare, in cui vince sempre chi detiene il potere o chi si organizza a sua immagine e somiglianza, per disegnare un altro mondo sul tessuto discorsivo della democrazia.

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