Dove stiamo andando? Il Paese dopo il voto – Pietro Polito

Il Paese dopo il voto: da alcuni titoli di quotidiani si apprende che c’è stato un “voto choc” (“Corriere della Sera”), un “miracolo Berlusconi” (“Il Giornale”), il boom, il trionfo di Grillo (“La Stampa”, “la Repubblica”, “l’Unità”); lo “scacco matto” della sinistra (“il manifesto”). Quanto al premier uscente, Mario Monti, “passa per poco ma non è determinante” (il “manifesto”); rimane fermo al 10% (“Corriere della Sera”); ottiene “un risultato magro” (“l’Unità”); si rivela una delusione (“la Stampa)”; addirittura un flop (“la Repubblica”); per Eugenio Scalfari “Monti politico è stato un disastro”.

Ma che cosa è accaduto alle elezioni politiche del 24/25 febbraio del 2013? Proviamo a ragionare sulla base dei fatti, per poi provare a chiederci: “Dove stiamo andando?”.

Dai “numeri tristi” (Franco Cordero) usciti dalle urne emergono con chiarezza alcuni fatti: 1. Berlusconi non è finito; 2. il riformismo di centro è nato morto; 3. il grillismo è un fenomeno politico che durerà nel tempo; 4. la sinistra, se non è in estinzione, segna il passo.

Il voto chiude definitivamente la storia della sinistra radicale in ogni sua variante, sia legalitaria, sia verde, sia neocomunista e dice che la sinistra o quasi sinistra riunitasi nella coalizione “Italia Bene Comune” non ha né i numeri, né il profilo, né le idee per essere il punto di riferimento della sinistra diffusa. Vendola, dopo esserlo stato nella campagna elettorale, al momento è il grande assente sulla scena politica e l’idea di una sinistra di mezzo tra quella moderata e quella radicale pare non suscitare gli entusiasmi sperati. Mentre Bersani, appare (ed è) un “vincitore sconfitto” (Norma Rangeri), “un presunto vincitore, alla fine soccombente” (Cordero). No, la coalizione della sinistra di governo non ha riportato un “insuccesso relativo” (Paolo Leon), è stata bocciata dagli elettori e dalle elettrici che al momento della scelta hanno preferito rifugiarsi ancora nell’astensione o affidarsi a un “non partito”.

Il vincitore delle elezioni, piaccia o non piaccia (e a me non piace), è il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, il primo partito, votato da un italiano su quattro. Con il successo dei Cinque Stelle entra in parlamento il populismo dal basso che va a contrapporsi (apparentemente) e ad affiancarsi al populismo dall’alto del Sultano.

Il Sultano è lo sconfitto vincitore: cade dal 37,4% al 21,6 % (perde sei milioni di voti), eppure non è morto, sembra una “mummia rediviva”: “Quale calcolo – scrive Cordero – può avere ispirato i segni a matita (spesso il gesto è automatico)?”. Ci si domanda: “Come può essere accaduto?”. Eppure “il Caimano – ancora Cordero –riemerge schiumando (Leviathan in Giobbe)”. Si è rivelata un’illusione che la stagione del Sultano fosse finita, che egli fosse morto politicamente o almeno “mansuefatto”. Da lui possono dipendere ancora i destini del Paese. Non riesco a capire come sia possibile concepire (“il Migliore”) l’idea di un governissimo che prolungherebbe il “morbo berlusconiano” e metterebbe una pietra tombale su qualsiasi possibile sinistra in Italia per altri vent’anni.

Se Grillo è il vincitore vincitore, Bersani il vincitore sconfitto, Belusconi lo sconfitto vincitore, Monti è lo sconfitto sconfitto: il “moderatismo estremo” in salsa berlusconiano-leghista ha avuto di gran lunga la meglio sul cosiddetto “moderatismo pulito” che fuori dalle alchimie tecniche si è rivelato di cartone. Domando a futura memoria: “Si può affidare la guida del governo all’unico sicuramente sconfitto che è uscito dalle elezioni?”.

Fin qui i fatti. Di qui in poi interpretazioni e congetture sul futuro del nostro sistema politico, a prescindere dal governo che nascerà nei prossimi giorni, che sia un governo di minoranza, un governassimo, un governo del Presidente.

Dove stiamo andando?

Il sistema politico uscito dalle elezioni del 24 e 25 febbraio si regge su quattro gambe: tre partiti personali (Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Mario Monti) e un partito dalla malcerta e/o incerta identità (il Partito Democratico). È un sistema politico stabile? In quale direzione può evolvere? Come si colloca rispetto alla classica distinzione tra destra e sinistra? Sono domande alle quali non siamo ancora in grado di dare una risposta sicura, ma è possibile qualche ipotesi.

Il nostro sistema politico nei prossimi anni potrebbe assumere una forma tripartita, allontanandosi dai sistemi politici europei che hanno perlopiù un assetto bipartitico, da un lato una destra moderata dall’altro una sinistra moderata (ciò in vario modo vale per la Francia, la Germania, l’Inghilterra, gli Stati Uniti e così via). Quello italiano potrebbe configurarsi come un sistema politico senza una destra e senza una sinistra, con ai lati il polo berlusconiano e il polo grillista e al centro un polo moderato composto dai “montiani” e dai “democratici”.

Le componenti politiche del sistema (Berlusconi, Monti-Bersani, Grillo) corrispondono sul piano della teoria politica rispettivamente a una sorta di “peronismo” di destra e a una sorta di “peronismo” di destra-sinistra sinistra-destra con il centro occupato dalla sinistra che assomiglia alla nuova versione di una nuova Democrazia cristiana.

Può reggere un’Italia, così politicamente organizzata, nel contesto delle democrazie europee e in quello più ampio della globalizzazione?

Abbandonando il terreno dell’analisi e dell’interpretazione, mi preme ribadire ancora una volta che il futuro politico del Paese è legato alla formazione nella società e nelle istituzioni di una destra e di una sinistra, di una destra che faccia la destra e di una sinistra che faccia la sinistra.

Il punto di vista di chi scrive è quello della sinistra, sia pure di una sinistra che non c’è. In questo senso auspico una sinistra che non si trasformi in una forza neocentrista e sappia conquistare e difendere nella società e nelle istituzioni lo spazio vitale proprio di una forza progressista e riformatrice.

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