Pensare al dopo: la quarta sinistra – Pietro Polito

Questo articolo viene pubblicato mentre le urne sono chiuse e ancora non conosciamo il risultato delle elezioni. Quale ne sia l’esito, il compito degli amici della nonviolenza è quello di pensare al dopo. Che cosa significa pensare al dopo? A mio avviso gli amici della nonviolenza dovrebbero lavorare per: 1. far crescere accanto, fuori, dentro le tre sinistre organizzate (Pd, SEL, Rivoluzione civile) una quarta sinistra; 2. ritrovare e riaffermare il significato originario della politica; 3. sviluppare il rapporto tra la nonviolenza e la politica e tra la politica e la nonviolenza.

1. Sinistra.

Alcune caratteristiche della quarta sinistra sono affiorate con ALBA (Alleanza per il lavoro, i beni comuni e l’ambiente) e con l’appello Cambiare si può. In questa direzione, infatti, va la proposta di un “un «soggetto politico nuovo»”, nuovo “nel modo di costruire e concepire la rappresentanza”, un soggetto che si definisce attraverso “uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altri metodi”, nuovo nel senso che “il metodo è il contenuto”.

Ma la “sinistra che non c’è” non è una nuova organizzazione, non è un luogo identitario, un recinto per sinistre minoritarie e autoreferenziali, sospettose l’una dell’altra, in guerra permanente tra loro. La quarta sinistra, “la sinistra che noi vorremmo”, è uno spazio politico, ideale, direi quasi mentale, largo, aperto, inclusivo, è una sinistra che attraversa le sinistre, al tempo stesso se ne distingue, vi si contrappone, con esse ha un rapporto conflittuale, è una sinistra diffusa che non si riconosce pienamente in nessuna delle componenti della sinistra che c’è, è una sinistra fatta di movimenti, gruppi, esperienze, persone coerenti, uomini e donne intransigenti, indipendenti, uomini e donne migliori che rendono migliore la società, la politica, i partiti, la società.

2. Politica.

La politica smarrisce la propria natura quando dipende da qualcuno o qualcosa, diversamente ritrova se stessa attraverso una pratica e un pensiero indipendente.

Dipendenza e indipendenza derivano dal latino dependere, “pendere giù da qualche cosa”, dipendere significa che la nostra vita depende dalla volontà di qualcuno o qualcosa, essere indipendenti significa avere la libertà, la possibilità di agire secondo la propria volontà.

Ebbene la politica cessa di essere politica quando è dipendenza ereditaria (Alessandro Manzoni), quando depende dall’autorità, dal potere, dal dominio, dai vincoli della Banca Centrale Europea, dalla logica degli apparati, dal realismo imperante, dall’apparenza, dal mercato, dal pregiudizio, dalla paura, dagli egoismi personali e sociali, dagli integralismi, dalle fazioni.

La politica della dipendenza è sottomissione, inferiorità, obbedienza, servitù, schiavitù, subordinazione, subalternità, adattamento, assuefazione, quella indipendente è autonomia, superiorità, spirito critico, libertà, sovranità, autodeterminazione, autosufficienza, emancipazione, liberazione.

3. Nonviolenza.

Il rapporto tra nonviolenza e politica e tra politica e nonviolenza è una questione – ignorata dalla politica – su cui la nonviolenza si interroga da tempo (penso per esempio ai contributi storici di Capitini e a quelli scientifici di Galtung).

Qui accenno al problema attraverso un bell’articolo di Alberto Asor Rosa, La società civile si rappresenta da sé. Il grande assente della sfida elettorale, dedicato al neoambientalismo e più in generale al rapporto tra istituzioni, politica e movimenti. (il manifesto, sabato 23 gennaio 2013). L’autore caratterizza i movimenti come una “terza forza” tra le istituzioni e la politica, una terza forza “che non si identifica né con le une né con l’altra, ma rivendica pari dignità”. Il voto, pur essendo insostituibile, non è – continua Asor Rosa – l’unica forma di rappresentanza della cittadinanza che al contrario si sente sempre più maggiormente rappresentata dalla “forza della «terza forza»”. Conclude Asor Rosa: “più cresce la forza della «terza forza», più le istituzioni e la politica sono costrette a tenerne conto (se non ne tengono conto, vanno in malora)”.

Pensare al dopo dal punto di vista degli amici della nonviolenza significa far crescere la forza della nonviolenza accanto alla forza della «terza forza».

 

Post scriptum

Il Paese che vorrei…

Qual è il Paese che vorrei dopo le politiche del 2013?

Come titola “il manifesto”, domenica 24 febbraio 2013, un Paese “un po’ più a sinistra”.

Non credo, come scrive il quotidiano del Partito democratico “l’Unità”, anticamente fondato da Antonio Gramsci, che “cambia l’Italia”.

Tantomeno mi illudo che “tramonta un sistema di patacche e bugie” (è il titolo dell’editoriale di Eugenio Scalfari).

Alberto Asor Rosa sogna un «nuovo inizio» che “parte sempre da una svolta, da una inversione di tendenza”.

È chiedere troppo.

L’auspicio (personale) è che gli elettori e le elettrici di sinistra votino a sinistra, scegliendo liberamente con o senza voto disgiunto tra le sinistre in campo.

Né un voto utile, né un voto per rassegnazione, un voto libero per disegnare un Paese un po’ più a sinistra.

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