Ricognizione sui Corpi Civili di Pace e proposta di riconoscimento nel Trattato di Lisbona

Gianmarco Pisa

Il Corpo Civile di Pace si configura come strumento civile permanente, composto di volontari e professionisti della società civile, finanziato e gestito da un’autorità centrale legittima (nel caso europeo una commissione esecutiva, nel caso nazionale un’agenzia pubblica), con compiti di:

a) monitoraggio,

b) interposizione,

c) network building,

d) confidence building,

e) comunicazione.

A livello europeo, sebbene il dibattito sull’argomento dati addirittura al 1995, a seguito di una assise comunitaria dedicata al tema dei Corpi Civili di Pace Europei e sostenuta, all’epoca, dallo sforzo, in particolare, di A. Langer (presidente del gruppo parlamentare dei Verdi Europei) ed E. Gülcher (coordinatore dell’intergruppo parlamentare europeo su pace, diritti e sicurezza umana), passi avanti significativi sono stati fatti solo dal 1999: dapprima con l’approvazione di due risoluzioni (la raccomandazione del Parlamento Europeo del 10 febbraio 1999 sulla istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo e la risoluzione del Parlamento Europeo sulla comunicazione della Commissione Europea del 13 dicembre 2001 per l’istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo nell’ambito del Meccanismo di Reazione Rapida); quindi con la redazione di due studi di fattibilità, il primo del Parlamento Europeo del gennaio 2004 “On the European Civil Peace Corps” e il secondo della Commissione Europea del novembre 2005 “On the Establishment of a European Civil Peace Corp”; infine con l’adozione del c.d. “Strumento per la Stabilità”, entrato in vigore il 1 gennaio 2007, funzionale a conferire organicità, effettività ed efficacia agli strumenti di intervento civile dell’Unione Europea nei contesti di crisi e di conflitto.

La Commissione Europea, dopo aver per lungo tempo rifiutato l’ipotesi di costituire un Corpo Civile di Pace Europeo, ha effettuato nel 2006 uno studio di fattibilità cui, tuttavia, non ha fatto seguito alcun follow-up né alcuna indicazione agli Stati Membri. L’unico elemento emerso, tra quelli costituenti il profilo di Corpo Civile di Pace, è stato quello della formazione; si tratta ancora di definire il rapporto con i governi nazionali e le istituzioni internazionali “sul campo”, e la “rilevanza di fase” di questo compito è tanto più accresciuta oggi all’indomani dell’invio e con le lezioni acquisite sul campo da parte della più importante e impegnativa missione civile della storia dell’impegno esterno dell’Unione Europea, vale a dire la EULEX (European Union Rule of Law Mission) in Kosovo, volta a monitorare la situazione successiva alla definizione dello status regionale (istituita nel 2008 e resa pienamente operativa a partire dall’aprile 2009).

Attualmente, a livello europeo, la struttura di pianificazione dell’intervento civile è il Civ. Com. (Civilian Commission for Crisis Management), legato a tre linee di finanziamento [2007-2013]:

1) lo “Stability Instrument” per la cooperazione multi-livello con i Paesi terzi, specie in contesti di crisi;

2) i fondi per una costituenda “European Peace-building Agency” che dovrebbe implementarne le azioni;

3) gli stanziamenti dello “European Peace-building Liaison Office” (EPLO), ufficio di collegamento e di interfaccia tra la società civile e le istituzioni comunitarie su programmi e misure di peace-building civile.

Ora, nell’ambito dello European Peace-building, gli obiettivi sono:

1) prevenire i conflitti violenti;

2) rafforzare le capacità di prevenzione e

3) professionalizzare i contingenti di intervento;

mentre, nell’ambito della più ampia interfaccia istituzionale internazionale, costituita dal GPPAC (Global Partnership for the Prevention of Armed Conflict), le questioni-aperte sono le seguenti:

1) il ruolo ed il contributo delle Org. di Società Civile e in particolare delle Org. non Governative;

2) l’adeguatezza e la competenza delle medesime organizzazioni del c.d. “Terzo Settore” Europeo;

3) l’autonomia e l’indipendenza di queste dalle autorità governative dei Paesi invianti.

L’agenda a suo tempo fissata dalla presidenza lussemburghese del Consiglio UE (2005) ha permesso di meglio individuare cinque “focus”, poi sostanzialmente acquisiti dal movimento di società civile dei Paesi Membri, ivi compreso quello italiano, che li ha tradotti in tre linee-guida:

1) l’esigenza di definire una “filiera della pace” (con una delega ministeriale ad hoc per il peace-building, una struttura centrale e fondi stabiliti per garantire continuità ed efficacia agli interventi di pace);

2) l’esigenza di realizzare un istituto centrale di coordinamento delle azioni civili di conflict transformation (sul modello dell’IPRI, International Peace Research Institute; la struttura che attualmente in Italia più si avvicina a tale configurazione è quella della IPRI – Rete CCP, che comprende la maggior parte delle organizzazioni della società civile italiana impegnate nel settore della gestione costruttiva dei conflitti);

3) l’esigenza di consolidare una “comunità di pratiche” ed una letteratura esperienziale nel settore, sperimentando progetti di intervento civile “sul campo”, attraverso il quadro delle l. 49/1987 e l. 180/1992.

Nell’ambito del Tavolo per i Corpi Civili di Pace istituito nel 2007 ed operativo sino al 2008, con la fine della XV Legislatura, presso il Ministero degli Affari Esteri alla Farnesina, per iniziativa della delega alla cooperazione internazionale della vice-ministra Patrizia Sentinelli, sono stati presentati due lavori sperimentali in questa direzione, una ricerca-azione per il monitoraggio delle esperienze sviluppate ed un’azione di educazione alla pace in Italia, fruendo di canali di finanziamento differenziati, afferenti alle erogazioni degli Enti Locali ed ai fondi presso il MAE.

Se ancora aperto è, tra le espressioni di società civile, il dibattito intorno alla denominazione, al mandato e alla cooperazione con altri attori (civili e militari) dell’intervento internazionale, sebbene passi significativi siano stati compiuti in questa direzione, sia attraverso la definizione dei criteri dell’intervento civile di pace italiano da parte del Tavolo ICP (Interventi Civili di Pace) nel giugno 2012, sia attraverso il programma di costruzione di Corpi Civili di Pace in Kosovo sviluppato nell’ambito di IPRI – Rete CCP (2011-2012), altrettanto in corso d’opera è la riflessione intorno al profilo professionale, tant’è vero che ancora non risulta stabilita una denominazione accettata (quella maggiormente diffusa è quella di “operatore/operatrice di pace”), né è stata avanzata una proposta condivisa intorno alla definizione del profilo professionale sulla base delle fasi della escalazione piuttosto che degli ambiti dell’intervento. Detto altrimenti, se dei CCP sono noti i compiti, non sono ancora compiutamente definiti né il mandato né gli ambiti. Per quanto riguarda questi ultimi, in particolare, essi possono essere identificati come segue:

a. “sicurezza umana”: accompagnamento protettivo, protezione civile, tutela dei soggetti deboli/esposti;

b. “lavoro di pace”: confidence building, dialogue building, community building ed azioni di empowerment;

c. “diritti umani”: tutela dei diritti umani, monitoraggio civile ed elettorale, “rule of law” (primato del diritto).

A fronte di tali elaborazioni e sperimentazioni, in definitiva, il Corpo Civile di Pace resta definito come un contingente civile composto da personale civile non armato impegnato in contesti di conflitto, con un mandato che dipende sia dai livelli di escalazione della violenza, sia dal compito attinente al contesto di destinazione. Il contingente è composto da personale volontario e professionista, sulla scorta di un percorso formativo a tappe che preveda una formazione di base a contenuti trasversali quale nucleo dell’itinerario formativo ed una formazione specifica a contenuti tematici proiettati sulla funzione (ad es. lungo le tre macro-aree sopra indicate); il tutto a valere del mandato operativo, onde evitare che la composizione di personale volontario e professionista si traduca in una gerarchia interna tra personale di “serie A” e di “serie B”.

Se l’ambito europeo, come si vede, rappresenta lo scenario privilegiato per l’elaborazione e la sperimentazione dei Corpi Civili di Pace, ha destato e continua a destare sorpresa, tra gli addetti ai lavori e non solo, il fatto che ad una lunga attenzione ed una non episodica storia normativa, non abbia fatto seguito, in anni più recenti, un conseguente ed adeguato riconosci-mento normativo dell’indicazione dei CCP, né tantomeno una sua costituzionalizzazione formale, pur essendo, a norma delle c.d. “missioni Petersberg”, l’azione esterna dell’Unione uno dei pilastri della sua architettura istituzionale. Risulta quindi più che mai opportuno e urgente inserire, nella versione consolidata del Trattato di Lisbona, in vigore, nel capo III dedicato all’Aiuto Umanitario, che disciplina all’art. 188 l. J c. 1 le azioni umanitarie dell’Unione in quanto mirano a fornire … assistenza, soccorso e protezione alle popolazioni dei Paesi terzi vittime di calamità naturali o provocate dall’uomo, per far fronte alle necessità umanitarie risultanti da tali diverse situazioni uno specifico comma, successivo al c. 5 che istituisce un corpo volontario europeo di aiuto umanitario per inquadrare contributi … alle azioni di aiuto umanitario che sia specificamente dedicato all’istituzione dei Corpi Civili di Pace Europei quali contingenti non militari, basati su risorse di società civile e di autorità pubbliche, messi a disposizione dagli Stati Membri con compiti di gestione delle crisi nei Paesi terzi vittime di conflitto o di prevenzione del conflitto nei Paesi esposti a rischio di instabilità, crisi o escalation della violenza.

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