Contro la rivoluzione mondiale – costruttivamente!

Johan Galtung

Da Alicante, Spagna – “La disoccupazione in Spagna supera i 6,1 milioni” – Il tasso di disoccupazione è al 26,6%, e per i minori di 25 anni il 56.5%; tutti in crescita; tutti primati UE. La reazione è stata: “Gli ispettori del Banco di Spagna redigono un rapporto di condanna delle malefatte nelle banche spagnole: guardando dall’altra parte”, mentre il governo spende miliardi di euro per tirar fuori dai guai quelle banche. (El País, inizio gennaio 2013).

E quest’altro: “300 responsabili sanitari di Madrid si dimettono per la privatizzazione”; “I fabbri di Pamplona si rifiutano di prender parte agli sgombri forzati di famiglie con bambini piccoli”; “Responsabile di teatro vende carote a 13 euro come biglietto d’ingresso” – con relativa IVA al 4% per generi alimentari rispetto al 21%; “Madri si spogliano per calendario erotico per raggranellare fondi per gli scuolabus cancellati”. Un paese in rapida via di de-sviluppo, ai bassi livelli da Terzo Mondo, anche per la sanità.

Un paese che non solo salva le banche anziché la gente, ma le lascia impunite per i loro crimini. Un paese che reagisce con mini-rivoluzioni, nonviolenza, disobbedienza civile contro tali smaccate ingiustizie. Un paese dove la lotta di classe è sospesa per il momento; ha vinto il capitalismo e più specificamente i banchieri e i loro servitori, i politici, e ancora più specificamente il capitale finanziario-speculativo. E questo in una Spagna prossima a 40 anni di democrazia dopo 40 anni di dittatura di Franco. Costituzione + democrazia + elezioni + diritti umani (anche immobiliari) + parlamento contro il capitalismo finanziario. Deboli contro forti.

Dove sta andando la Spagna, e la UE, che cosa c’è più avanti sulla via?

Piuttosto ovvio: “ancor sempre lo stesso”. Non ci sarà solo povertà ma anche miseria diffusa; coloro che posseggono del capitale sopravviveranno sostanzialmente indenni. Ma poi, la Spagna – come gli USA, il modello – è avviata verso una società divisa, con una parte per i benestanti, e una per il resto, dal ceto medio-superiore giù fino al crimine e alla prostituzione. Come le società del XIX secolo alla Anna Karenina di Tolstoy, alla Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, e a Marcel Proust, nettamente divise fra quelli che vivevano di capitale – comprese le proprietà terriere – e quelli che si guadagnavano da vivere lavorando.

I primi avevano ricevimenti, balli, viaggi, giochi di carte e cultura, si davano da fare e sposavano la prole con appartenenti a classi più ricche. I secondi li servivano, limitandosi a sopravvivere. I ricchi abiteranno sempre più in comunità chiuse protette da misure di sicurezza, con quote dell’ erario sempre più alte spese in polizia, servizi segreti e apparato militare.

Questo non può durare e non durerà. C’è già una dialettica di resistenza, in parte molto creativa. E al di sotto e aldilà di quella prende forma un antico dibattito: l’erompere di una rivoluzione mondiale violenta (forse nel 2017, più o meno a ottobre?), che costruisca da zero un nuovo sistema? La lenta evoluzione che s’affidi alla collaudata istituzione della democrazia?  Oppure, una terza via, molte rivoluzioni nonviolente per conto dell’intera umanità?

Quest’articolo esprime preferenza per la terza soluzione in un sistema dilaniato dalla crisi con innumerevoli milioni di persone che soffrono accanto a istituzioni impotenti. Ma argomentiamo prima contro la rivoluzione violenta basata sulla massimizzazione delle contraddizioni, senza evoluzioni né rivoluzioni graduali: il Big-Bang.

Al momento giusto, dopo una catastrofe naturale o sociale, si può distruggere ciò che resta di un sistema morente. La storia può farsi plastica, malleabile: una tabula rasa, in attesa di un nuovo Creatore. Ma la nostra specie – pur benintenzionata – è onnisciente, onnipotente e onnipresente quanto basta per giocare a essere Dio? La sofferenza da violenza diretta può superare quella da violenza strutturale senza influire su chi beneficia delle patologie – e che sa come proteggersi. Ma ci sono poi due robusti argomenti contro tale fenomeno in quanto grosso, non solo esplosivo.

Primo: noi esseri umani siamo numerosi e diversi, le formule sociali poche e semplicistiche; a qualcuno qualche scarpa farà sempre male. Se non oggi, sicuramente domani; ci dimentichiamo di quella che calza bene, non di quella che ci sta stretta.

Secondo: il problema non è un cambiamento improvviso, radicale, da una vecchia realtà a una nuova, bensì l’introdursi in un nuovo mondo da parte di tutti ovunque per sempre. Più creiamo Dio a nostra immagine, più diventa ovvio che non ne siamo all’altezza. Qualche altra specie, forse; non noi.

Tre paesi presentarono le proprie rivoluzioni come iconiche per il mondo intero: la Francia per la modernità, gli USA per il capitalismo e la Russia per il socialismo; con una che presumibilmente cancellava l’altra. Guardiamoli oggi. Fortunatamente, vaste parti del mondo non ne soffrono le patologie nella scia delle loro pretese: per la Russia una controrivoluzione, per gli USA il peso pieno della crisi del capitalismo. E quasi due secoli dopo Waterloo la gloire di Napoleone sta sbiadendo, anche in Francia.

Soffrivano tutti e tre del complesso occidentale di Dio: cancellare altri con invasioni e imperialismo, imponendo le proprie formule. Eppure, nemmeno essi ebbero il potere per cambiare tutto il mondo a propria immagine. Nessuno dovrebbe averlo, quel potere. Ci sono molte opzioni fra la pretesa onnicomprensiva di cambiare tutto e un’evoluzione stagnante.

Consideriamo quattro approcci alla democrazia – governo col consenso dei governati: elezioni nazionali multipartitiche; dialoghi per un consenso generale basato su trasparenza-informazione-educazione; referendum locali-nazionali-globali sui temi basilari; democrazia delle petizioni con proposte critico-costruttive. Tutti quanti, nessuno. Chi può dire quale sia la risposta? Anziché imporre un governo della maggioranza su una cultura del dialogo-consenso (Occidente-ONU in Cambogia), una gamma d’opzioni per qui e ora, non per ovunque sempre. Sperimentare per conto dell’umanità (Sartre).

Si prendano cinque approcci all’economia: capitalismo, socialismo, social-capitalismo, localismo, capital-comunismo sino-giapponese; tutti quanti, nessuno. Chi può dire quale sia la risposta per procurarsi da campare?

Alla fine del socialismo in Europa orientale c’erano dibattiti sulle alternative: “un solo paese, entrambi i sistemi”, “due vie al socialismo nello stesso paese”, “proprietà privata cooperativa, non statale”. Ma sparirono tutte nel capitalismo o nel socialismo.

E la Cina? Un paese, due sistemi? Convergenti, comprensivi del meglio di entrambi – o del peggio? Da tener d’occhio; un enorme paese che potrebbe sperimentare con più di due sistemi. Come dovrebbe fare la Spagna, senza indugio.


14 gennaio 2013

Titolo originale: Against World Revolution – Constructively!

 

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis


 

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