La Rasgioni in Gallura – Recensione di Nanni Salio

Simone Sassu, La Rasgioni in Gallura. La risoluzione dei conflitti nella cultura degli Stazzi, Armando, Roma 2009, pag. 319

Per chi come noi si occupa da tempo di trasformazione nonviolenta dei conflitti e di mediazione dei conflitti, la ricerca antropologica di Simone Sassu è non solo una piacevole sorpresa, ma anche una conferma della importanza di ampliare il campo di ricerca sui conflitti.

Da tempo è noto che nelle società tradizionali, un po’ ovunque nel mondo, sono esistite e talvolta esistono ancora procedure locali, non istituzionali, di composizione di conflitti e controversie e di riconciliazione dopo eventi violenti.

La ricerca svolta dall’autore ha l’enorme pregio di raccogliere le ultime testimonianze orali di coloro che hanno partecipato in passato alle dinamiche di risoluzione nonviolenta dei conflitti in Gallura. Il cap. 2 riporta uno straordinario “documento storico-etnografico: la rasgioni registrata a Giùncana nel novembre 1963”, quasi certamente l’ultima di tali esperienze, di cui si può leggere l’intera registrazione e ascoltarla nel CD allegato.

Ma cosa s’intende per rasgioni? Come precisa l’autore, essa è “un sistema consuetudinario di composizione dei conflitti, adottato fino a circa quarant’anni fa dalle comunità tradizionali galluresi” ed è “in primo luogo il rito, cioè l’insieme complesso di pratiche e saperi giuridici finalizzati alla risoluzione di una controversia determinata.” (p. 97) E’ in definitiva “un giudizio arbitrale emanato da un cittadino di indiscussa probità morale, chiamato per antonomasia l’omu di la rasgioni”.

Nel terzo capitolo, Simone Sassu approfondisce gli aspetti specifici in cui si inserisce la pratica della rasgioni nello specifico contesto della cultura gallurese degli stazzi, “termine indicativo sia del fabbricato rurale che del pertinente territorio circostante”, in un contesto di insediamenti dispersi e di tipo comunitario, di cui oggi si è andata perdendo la tradizione. Per chi ha avuto modo di visitare e conoscere le zone più affascinanti della Gallura, dalle fantastiche coste di massi di granito roseo alle fantasmagoriche rocce di Aggius, che rievocano la storia del “Muto di Gallura”, si aggiunge la scoperta dell’esistenza di queste figure chiave del rito chiamate “li rasgiunanti, l’omu di mezu, l’alligadori”.

Il quarto capitolo è dedicato a uno studio comparativo di antropologia giuridica, che solleva questioni sia di ordine teorico sia di interpretazione e si allarga anche alla procedura barbaricina, che presenta similitudini e differenze con quella gallurese. Ancora oggi, amici e amiche della rete sarda della nonviolenza ci parlano dei problemi connessi alla tradizione barbaricina della balentia, che da un lato “dovrebbe rappresentare un misto di stoicismo, spavalderia e coraggio di fronte alle vicissitudini e alle fatalità dell’esistenza”, ma che non di rado nell’accezione comune finisce di descrivere comportamenti che possono degenerare nella violenza prevaricatrice. (p. 303)

E’ in questa parte, soprattutto, che potrebbe inserirsi utilmente la riflessione svolta dagli studi sulla “trasformazione nonviolenta dei conflitti” condotti dalla scuola Transcend fondata da Johan Galtung. Una comparazione ancora più allargata che potrebbe estendersi alle pratiche ancora oggi in atto in alcune società altre, come quella dell’ho pono pono, di tradizione hawaiana, o a quelle delle società africane.

Il lavoro di Simone Sassu è un importante tassello in un campo di studi non solo affascinante, ma di grande importanza per acquisire tecniche e capacità di trasformazione e risoluzione dei conflitti dal micro al macro in una società che ha un enorme bisogno di queste competenze.

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