Giornalismo di pace – Laurie Mécréant

Un giornalismo proattivo orientato alla risoluzione nonviolenta dei conflitti.

Per il sociologo Johan Galtung, considerato il fondatore degli studi per la pace, la tradizionale copertura mediatica dei conflitti deforma la realtà e favorisce delle risposte violente in accordo con la propaganda1. Egli propone un piano di azione alternativo, per fornire alla società nel suo complesso l’opportunità di conoscere e valutare opzioni d’uscita dalla crisi attraverso la nonviolenza.

A partire dagli anni ’70, Johan Galtung2 osserva la tendenza dei giornalisti a confondere conflitto e violenza, raccontando il conflitto unicamente attraverso gli atti violenti da esso provocati. Viene consentita la parola più facilmente alle élites che non alle persone più vulnerabili e focalizzata l’attenzione unicamente su chi vincerà. Raramente le cause distinte tanto geograficamente quanto temporalmente sono evocate, raramente le possibili soluzioni nonviolente sono menzionate… come se un giornalista dovesse parlare di una malattia senza alludere anche ad altri mezzi di guarigione, a parte quelli più nocivi, ancor prima di far luce sulla natura della malattia. Le soluzioni “dure” sono sovrastimate, in modo che quelle “dolci” rimangano sconosciute e le responsabilità unidirezionali.

La rappresentazione mediatica dei conflitti costituisce oggigiorno un elemento chiave per l’esercizio del potere3, sostiene Jake Lynch4, uno dei principali rappresentanti del giornalismo di pace. Non dimentichiamoci che i paesi coinvolti nel maggior numero di conflitti armati internazionali svoltisi tra il 1946 e il 2003 sono la Gran Bretagna, con 21 conflitti, appena davanti alla Francia che ne vanta 195.

Il “giornalismo di pace” propone di riconsiderare i rapporti tra i giornalisti e le fonti d’informazione, i conflitti che riporta e le conseguenze delle informazioni che fornisce. Mette a disposizione dei giornalisti una serie di fonti di approfondimento sulla pace e i conflitti per consentire uno spazio maggiore a soluzioni nonviolente e alla creatività. Benché l’obiettivo sia degno di nota e si riscontri nella maggior parte dei codici etici giornalistici6, esso è raramente messo in atto. Lo sguardo di Johan Galtung sul giornalismo in generale è molto critico e ciò è quanto gli provoca numerose obiezioni. Per alcuni sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione7. Ma altri, tra giornalisti, professori e attivisti, lo hanno già adottato e applicato, lo difendono e l’insegnano, da Nord a Sud.

Distinguere il giornalismo di pace dal giornalismo di guerra

La classificazione operata da Johan Galtung tra le due tipologie di giornalismo mette in evidenza i fattori che favoriscono la pace in un caso e la guerra nell’altro. (Vedi tabella 1). Tuttavia non è necessario assolvere tutti i criteri indicati per partecipare a una dinamica pacifista8. Sarebbe sufficiente, per esempio, menzionare un’alternativa nonviolenta.

Per avere uno sguardo critico sul messaggio diffuso dai media su un conflitto e capire se esso è conforme alla propaganda oppure permette di comprendere le reali dinamiche dello stesso, possono essere poste quattro domande:

  • Come viene spiegata la violenza?

  • Cosa è presentato quale problema di fondo? Su chi o che cosa si imputa la responsabilità della violenza?

  • In seguito all’informazione resa, quale soluzione viene presentata come plausibile?

  • Nella storia narrata, qual è il ruolo svolto dalle potenze occidentali?9

Vediamo come l’applicazione di questo metodo consente l’informazione sulla questione nucleare iraniana.

Analisi della crisi nucleare iraniana

Nel 2006, Jake Lynch ha analizzato le informazioni trasmesse da dodici giornali britannici10, nel corso di sei mesi, sul conflitto tra gli Stati Uniti e l’Iran circa il programma nucleare iraniano. Sei anni più tardi, nonostante il fatto che le tensioni si siano inasprite, quasi tutti i fattori identificati per determinare l’orientamento bellicoso o pacifico degli articoli risultano ancora d’attualità. Per questo studio, J. Lynch ha redatto una lista di cinque elementi informativi la cui menzione permette una miglior comprensione delle cause e implicazioni di questa crisi del giornalismo di pace.

  1. L’articolo menziona il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP)? Questo Trattato consente ai paesi firmatari che non posseggono l’arma atomica di sviluppare l’utilizzo del nucleare civile. Si tratta di un fatto conosciuto, ma che è importante ricordare in quanto lo sviluppo del nucleare civile iraniano è sovente rappresentato e percepito come una rivendicazione, una pretesa, un capriccio.

  2. Il diritto dell’Iran a realizzare il suo programma sul nucleare a uso civile è presentato come un dato di fatto o come una pretesa, una rivendicazione?

  3. L’articolo menziona le armi nucleari possedute dalle potenze occidentali o il fatto che esse non siano coinvolte in un processo di disarmo, benché questo faccia parte degli impegni assunti in seno alla stipulazione del TNP? Analizzare la conformità dell’Iran al TNP senza interrogarsi su quella degli altri Stati firmatari offrirebbe unicamente una versione non completa del conflitto, dove il problema rimane circoscritto all’interno delle frontiere del luogo della disputa (l’Iran, in questo caso) mentre esso è causato anche da altri attori esterni.

  4. L’articolo menziona qualcuna delle prove che dimostrano che l’Iran non si sta dedicando a un programma di sviluppo dell’arma nucleare?11

  5. L’articolo menziona le ragioni per le quali l’Iran potrebbe desiderare l’ottenimento di quest’arma a fini di dissuasione regionale? Gli Stati Uniti sono presenti in quasi tutti i paesi vicini all’Iran e Israele è anch’esso dotato di una forza di dissuasione nucleare. Come si è visto al punto 3, se si vogliono considerare tutte le soluzioni possibili di questo conflitto, bisogna essere consapevoli del fatto che la proliferazione nucleare è un problema non solo nazionale, ma coinvolge delle dinamiche anche a livello internazionale e necessita di una strategia comune, che conduca a un cambiamento di comportamento di tutte le parti coinvolte.

Gli articoli studiati risultano corti nell’insieme per permettere un approccio approfondito sulla base del giornalismo di pace, dato che la lista dei criteri che lo formano non è stata ampliata. Si può tuttavia notare che al fine di realizzare una trattazione pacifista di un conflitto è necessario soffermarsi sulla contestualizzazione della crisi. Alcuni avvenimenti storici, implicanti la partecipazione di attori esterni all’Iran, hanno delineato la storia del conflitto in corso. Uno di essi è il colpo di stato sostenuto dalla CIA nel 1953 per rovesciare il Governo eletto di Mossadegh, dopo che egli aveva nazionalizzato la compagnia petrolifera anglo-iraniana. Ora, gli articoli nel loro insieme non presentano come causa del conflitto altro se non le aspirazioni nucleari dell’Iran, senza menzionare il ruolo svolto dagli Stati Uniti, in maniera conforme alla propaganda che si è voluta effettuare12.

Critiche e ostacoli

Se le conoscenze in materia di analisi dei conflitti possono costituire un freno (rimediabile) alla messa in pratica del giornalismo di pace, si aggiungono, tuttavia, altri fattori. Due di essi sono richiamati di seguito.

  1. Secondo Jake Lynch “il mito dell’obiettività predispone la maggior parte della copertura mediatica al giornalismo di guerra13”.

Diverse regole facenti parte della pratica giornalistica impediscono di comprendere e d’informare adeguatamente sui conflitti. Citiamo un esempio: l’equilibrio dell’informazione, un imperativo per qualunque buon giornalista. Se un progetto di legge è dibattuto in Senato bisogna dar parola al difensore del progetto e a un suo oppositore. Purtroppo questa regola tende a offrire una lettura duplice e non permette di riflettere il carattere multifattoriale e multipartitico dei conflitti.

  1. L’applicazione del giornalismo di pace necessita di cambiamenti strutturali.

Il giornalismo di pace ha subito critiche su diversi fronti. Alcuni giornalisti lo trovano troppo prescrittivo e troppo normativo, altri ritengono che sovrastimi il potere dei giornalisti. Ma la critica più importante riguarda la sua operatività, in particolare perché “le emittenti mediatiche non possono abbandonare i valori che corrispondono alle aspettative del pubblico, senza correre il rischio di indebolire la loro base economica14”.

Comunque, anche se non da parte della maggioranza dei media, il giornalismo di pace è già largamente praticato. Johan Galtung aggiunge che l’attrazione del pubblico per la violenza è lontana dall’essere universale, essendo stato dimostrato l’interesse a una informazione di carattere pacifico di una parte non inconsistente della popolazione15.

Infine, Jake Lynch ci ricorda che un cambiamento è possibile. Delle pressioni esercitate da parte di alcuni attivisti lungo il corso di numerosi anni sulla BBC hanno condotto al verificarsi di un’interrogazione interna, avvenuta nel 2006, avente come oggetto la copertura mediatica del conflitto israeliano-palestinese. Stando a quanto egli afferma, quest’interrogazione ha consentito una presa di coscienza in seno alla redazione che ha aperto uno spazio importante al giornalismo di pace16.

PER SPINGERSI OLTRE

I corsi e le risorse sul giornalismo di pace sono molto più numerosi in inglese che in francese in quanto esso si è sviluppato e se ne è dibattuto principalmente nel mondo anglo-sassone.

In francese, l’opera più completa in materia è il manuale scritto da Ross Howard Per un giornalismo sensibile ai conflitti17. Vi sono piccole differenze che distinguono l’argomentazione dell’autore dal giornalismo di pace, ma i principi di base rimangono immutati.

Le opere più importanti in inglese sono quelle sviluppate a partire dai lavori svoltisi al Peace&Conflit Forum a Taplow alla fine degli anni 199018, in seno al progetto Reporting the World19.

Per i giornalisti, la principale fonte d’informazione è la rubrica Transcend Media Service20 della rete volta allo sviluppo della pace “Transcend”, fondata da Johan Galtung. Vi si possono trovare numerose analisi orientate alla pace e una newsletter settimanale.

Stage e formazione

Insegnamento universitario

La rete “Transcend” propone corsi di formazione in giornalismo di pace due volte all’anno. Jake Lynch e Annabel McGoldrick tengono un corso intitolato Conflict-resolving Media all’Università di Sydney più volte all’anno e il modulo Ethics of Reporting Conflict alla scuola di giornalismo dell’Università di Cardiff in Gran Bretagna. Ugualmente, altre università propongono dei programmi che s’ispirano al giornalismo di pace, come la specializzazione in “Informazione internazionale e paesi del Sud” all’Università Complutense di Madrid, in collaborazione con l’Istituto di giornalismo preventivo.

Formazione sul campo

Infine, stage e seminari per giornalisti hanno avuto luogo direttamente nelle zone di conflitto. Jake Lynch e Annabel McGoldrick hanno, ad esempio, condotto delle discussioni sul giornalismo di pace in Medio-Oriente, nel Caucaso, in Asia Centrale, in Nepal e in Indonesia.

Altrove, diverse ONG che hanno riconosciuto l’importanza del ruolo svolto dai media durante i conflitti propongono degli stage di formazione ai giornalisti locali senza esplicitamente dichiarare di essere rappresentative del “giornalismo di pace”. A tal proposito, si possono citare Search for a Common Ground (SFCG), Global Partnership for the Prevention of Armed Conflict (GPPAC), l’Istituto Panos, la Fondazione Rondine, la Peace&Conflict Juornalism Network (PECOJON) e la Deutsche Welle Akademie.

Giornalismo di guerra

Giornalismo di pace

  1. Orientato verso la violenza

  • Si focalizza all’interno della zona di conflitto, rappresentata con due avversari e un’unica posta in gioco. La guerra è vista come un gioco a somma zero (con un vincitore e un vinto);
  • spazio temporale e geografico ristretto; sono considerati le cause e gli effetti solo all’interno della zona di conflitto; interesse su “chi ha gettato la prima pietra”; scarsa contestualizzazione;
  • si focalizza sugli effetti visibili della violenza (morti, feriti, danni materiali);
  • rende la guerra impenetrabile, misteriosa;
  • adotta una visione binaria del conflitto, “loro-noi”, conforme alla propaganda;
  • loro” sono il problema, l’interesse è portato su chi predomina nella guerra;
  • deumanizzazione dell’avversario, “loro”;
  • è reattivo: aspetta l’esplosione della violenza per informare.

 

  1. Orientato alla propaganda

  • Espone le loro “contro-verità”.

  • aiuta i “nostri” occultamenti/menzogne.

  1. Orientato alle élites

  • Si focalizza sulla “loro violenza” e “nostra sofferenza”, soprattutto quella degli adulti maschi e dell’élite;
  • menziona solamente i nomi dei “loro” colpevoli;
  • si concentra sulle personalità importanti coinvolte nel processo di pace, essendo queste portavoce delle élite.
  1. Orientato verso la vittoria

  • Pace = vittoria + cessate il fuoco;

  • dissimula le iniziative di pace fintanto che la vittoria non è a portata di mano;

  • si concentra sui trattati, sulle istituzioni e sul controllo sociale;

  • possibilità di riapertura del conflitto se le vecchie tensioni si riacuiscono.

  1. Orientato al conflitto

  • esplora la nascita del conflitto, con le differenti parti coinvolte, i plurimi obiettivi e i molteplici problemi; il conflitto è visto come un gioco “vincitore-vincitore”;
  • spazio aperto, tempo aperto; le cause e le conseguenze sono ovunque, anche nella storia e nella cultura. Forte contestualizzazione;
  • si concentra sugli effetti invisibili della violenza (traumi, gloria, danni strutturali e alla cultura);
  • rende il conflitto trasparente;
  • offre voce a tutte le parti coinvolte; empatia, comprensione;
  • vede il conflitto/la guerra come un problema e si concentra sulla creatività per la sua risoluzione;
  • umanizza tutte le parti coinvolte;
  • proattivo: informa ancora prima che la violenza emerga.

 

  1. Orientato verso la verità

  • Espone le contro-verità delle due parti;
  • svela tutti gli occultamenti.

 

  1. Orientato verso le persone

  • Si focalizza su tutte le sofferenze, anche su quelle delle donne, degli anziani e dei bambini;
  • menziona i nomi di tutti i colpevoli;
  • si concentra sulle persone impegnate a costruire la pace e offre parole anche ai senza-voce.

 

  1. Orientato verso la soluzione

  • Pace = nonviolenza + creatività;
  • mette in luce le iniziative per la pace, al fine di prevenire un’intensificazione della violenza;
  • si concentra sulle strutture e sulla cultura di una società pacifica;
  • conseguenze: risoluzione, ricostruzione, riconciliazione.

Tabella 1

Fonte: Johan Galtung The missing journalism on conflict and peace and the middle east Transcend 2005 www.transcend.org

 

Titolo originale: Le journalisme de paix Alternatives non-violentes, n.164, 2012
Traduzione di Silvia De Michelis per il Centro Studi Sereno Regis

*Giornalista diplomatasi all’IEP di Lille in “Analisi dei conflitti e costruzione della pace”; formatasi in “Giornalismo preventivo” all’Università Complutense di Madrid; attualmente si occupa di comunicazione a Partners for Democratic Change International a Bruxelles. Ha contribuito alla stesura di “A guidance for integrating peacebuilding into development assistance” (2010) http://www.initiativeforpeacebuilding.eu/pdf/1102PeaceDevelopment.pdf

NOTE

1 «Tentativo deliberato e sistematico di modificare le percezioni, manipolare le conoscenze e i comportamenti diretti al fine di ottenere una reazione che serva le intenzioni del propagandista» (G.S. Jowett e V. O’Donnell, Power and persuasion, London: Sage, 1999, p.6 citato da Jake Lynch What’s so great about peace journalism? Global Media Journal: Mediterranean Edition p.75).

2 Johan Galtung è un noto sociologo norvegese. Considerato uno dei fondatori degli studi per la pace, ha creato l’Istituto di Ricerca per la Pace di Oslo nel 1959. È stato mediatore in diversi conflitti internazionali e fornisce tutt’oggi alle agenzie delle Nazioni Unite consulenze su questioni legate alla pace. È il fondatore e direttore di Transcend, una rete creata per la risoluzione dei conflitti attraverso metodi nonviolenti. www.transcend.org/

3 Jake Lynch Peace Journalism – More than war reporting in “New Routes”, Istituto Life&Peace (volume 11, n°4, 2006) http://gewaltueberwinden.org/de/news-events/nachrichten/dov-news-english/article/5732/peace-journalism-more-t.html/

4 Jake Lynch è il direttore del Centro Studi per la Pace e i Conflitti all’Università di Sydney. È inoltre un giornalista professionista ed è stato corrispondente politico per Skynews e presentatore alla BBC.

6 Dichiarazione dell’Unesco sui mezzi di comunicazione di massa nel 1978: «Gli organi d’informazione svolgono un’importante funzione per contribuire al rafforzamento della pace» http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=13176&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html. Risoluzione del Consiglio d’Europa relativa all’etica nel giornalismo: «I media hanno l’obbligo morale di difendere i valori della democrazia: il rispetto della dignità umana e la ricerca di soluzioni attraverso metodi pacifici» http://assembly.coe.int/documents/adoptedtext/ta93/fres1003.htm

7 D. Loyn Peace Juornalism: good journalism or peace journalism in: conflict&communication online, Vol. 6, No. 2, 2007, p.2 http://cco.regener-online.de/2007_2/pdf/loyn.pdf

8 J. Lynch Peace Journalism and its discontents in: conflict&communication online, Vol. 6, No. 2, 2007, p. 10 http://www.cco.regener-online.de/2007_2/pdf/lynch.pdf

10Financial Times, Times, Scotsman, Guardian, Economist, Sunday Times, Sun, London Evening Standard, Daily Mail, Spectator, New Statesman, Observer.

11 Quando questo studio è stato realizzato le prove di un programma di arricchimento dell’uranio a scopo militare in Iran era state smontate (2003) e, successivamente, tutte le agenzie di spionaggio americane giunsero alla conclusione che non vi erano prove attendibili a carico dell’Iran.

12 Tutti i dettagli e i risultati di questo studio sono contenuti in: Jake Lynch What’s so great about Peace Journalism? In: Global Media Journal: Mediterranean Edition 1(1), pp. 74-87, 2006 http://dc360.4shared.com/doc/DX6jLs3F/preview.html

13 J. Lynch (2007), op. cit., p.10

14 T. Hanitzsch Peace Journalism in Journalism Studies: a critical appraisal in: conflict&communication online, Vol. 6, No. 2, 2007, p.5 http://www.cco.regener-online.de/2007_2/pdf/hanitzsch.pdf/

15 J. Galtung The task of peace journalism in: Ethical Perspectives 7 (2000) 2-3, p.163.

16 J. Lynch (2007): op. cit.., p. 11.

18 The Peace Journalism Option http://www.globalissues.org/article/534/the -peace-journalism-option#ThePeaceJournalismOption What Are Journalists For? http://www.globalissues.org/article/535/what-are-journalists-for

Using Conflict Analysis in Reporting http://www.transcend.org/files/article193.html

Reporting the World – A practical checklist for reporting of conflicts http://ics-www.leeds.ac-uk/papers/pmt/exhibits/857/rtw_booklet.pdf

19 Jake Lynch e Annabel McGoldrick hanno presentato le loro idee sul giornalismo di pace ai giornalisti professionisti dei media britannici contestualmente al progetto Reporting the World project, dal 2001 al 2005. Il sito del progetto ha raccolto i resoconti delle discussioni tra editori e reporter sulla copertura della “guerra al terrorismo”, l’Irak, i conflitti nell’Europa dell’Est, in Africa, in Indonesia e in Medio Oriente.

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