Ma chi è stato Gandhi?

Adriano Arlenghi, Antonino Drago

Oggi si scrive molto su Gandhi, non tanto e non solo perché è l’eroe nazionale indiano, ma perché sicuramente è stato una figura eccezionale del XX secolo, come poche altre…

Ma quando in Occidente si presenta Gandhi, spesso si pensa, inconsciamente, che egli viveva in un’India “arretrata”, agricola, con un popolo misterioso che ha una moltitudine di lingue, religiosità e culture; cioè, si mantiene il pregiudizio che la civiltà occidentale è di gran lunga superiore a quella delle ex-colonie; perciò si vede in Gandhi solo quello che può interessare a noi occidentali. Così il giudizio viene deformato da tutte le distanze che vi sono tra Oriente ed Occidente; in particolare: la distanza tra la religiosità profondamente personale dell’Oriente e quella istituzionale (o anche l’ateismo) dell’Occidente, tra la prospettiva dei tempi lunghi e quella dei tempi immediati, tra i rapporti tutti interpersonali e i rapporti prevalentemente formali, tra la motivazione etica e quella all’efficienza (interessata). Perciò non meraviglia che su di lui i giudizi occidentali sono tantissimi, da quelli positivi a quelli negativi, senza trovare l’accordo su qualche punto.

Anche se tralasciamo i tanti giudizi antipatetici per considerare solo quelli di coloro che si richiamano alla nonviolenza, ce ne restano sempre tanti. Anche perché già dagli anni ‘30 si è incominciato a separare la nonviolenza di Gandhi dalle tecniche nonviolente che egli aveva inventato o valorizzato; fino a che, dopo pochi decenni, si è data più importanza a Sharp, l’enciclopedico delle tecniche nonviolente, che a Gandhi1. Da allora il ventaglio dei punti vista (su che cosa è la nonviolenza) si è sempre allargato (Una fede? Una etica? Un metodo? Un atteggiamento? Un programma? Una strategia? Una razionalità? Delle tecniche?). Di conseguenza, anche i giudizi su Gandhi sono aumentati.

Ne elenco i più significativi tra quelli che ho incontrato nei miei studi; li sintetizzo al meglio:

Romain Rolland (1924): novello Cristo e i suoi seguaci come i primi cristiani perseguitati
Fueloep-Miller (1928): novello Cristo
Orwell (1949): “santo” insopportabile, ma un politico con “profumo di pulito”
Lanza del Vasto (1959): eroe più che santo, ha rifatto la storia e rifondato la civiltà
Capitini (1962): riforma di religione, metodo nonviolento, liberatore dell’India
Galtung (1987): transreligioso, un nuovo metodo, grande politico, onda verso l’Occidente
Sofri (1988): un personaggio, ma senza riflessi sulla storia dell’Occidente
Sharp (1980): Un grande stratega
Brown (1989): “Prigioniero della speranza” di uscire dalla condizione di colonizzato e di promuovere l’indipendenza dell’India
Muller (1995): grande esempio di nonviolenza, ma è idealista e mantiene la “scoria” della religione
Pontara (1973-2006) prima lo vede individualmente come grande maestro, poi ci vede una dottrina etico-politica con cui potremmo uscire da questa civiltà di barbarie
Manara (2006): grande esempio; ma senza altri giudizi.2

In questa sequenza si nota che mentre i primi giudizi sono espressi in piena libertà, poi sono riduttivi e guardinghi. Difatti, mentre i primi sono espressi per lo più da militanti e sono rivolti a lettori generici, i secondi sono espressi da degli studiosi, che quindi sono attenti alle possibili critiche di altri studiosi accademici; perché, mentre Gandhi è ormai entrato nell’animo degli occidentali (basti pensare al film Gandhi di Attenborough o alla famosa pubblicità della Telecom), il mondo accademico ancora non conosce Gandhi, se non marginalmente (anche perché la novità di Gandhi richiede un metodo di studio diverso dall’usuale); quindi ha ancora da superare una serie di pregiudizi.

Per uscire da questa varietà di giudizi su Gandhi, che rischia di diventare un labirinto, e puntare dritto a comprendere chi è stato, poniamoci due domande su due grandi fatti storici che lo riguardano direttamente.

La liberazione dell’India ha dimostrato al mondo che si può fare politica nonviolenta efficace anche contro gli enormi interessi economici e politici del più potente impero mai esistito sulla Terra. Ma quanti in Occidente sono disposti ad accreditargli questa liberazione? Se si scorrono i libri degli studiosi su indicati, solo i giudizi di Lanza del Vasto e di Capitini hanno il coraggio di ripetere e avvalorare quel giudizio che in India è invece dominante: liberatore dell’India. Gli altri rifuggono dal dire ciò, perché in Occidente questo tema è molto controverso: non solo i marxisti non accettano un esempio clamoroso di rivoluzione alternativa a quelle da loro compiute in Russia e Cina; ma anche gli altri studiosi, dei quali una gran parte è erede di una tradizione intellettuale colonialista, non ammettono che una grande colonia come l’India sia stata persa in un modo che a loro sembra un improvviso cedimento dell’Impero britannico.

In più chiediamoci se i giudizi su di lui accettino quello che egli ha sempre sostenuto sin dal 1909: la alternativa al progresso occidentale; da lui descritto come disastroso perché si è separato dalla morale.

Qui troviamo giudizi positivi ancora una volta in Lanza del Vasto; e anche in Capitini, che sosteneva un analogo cambiamento di civiltà (ma non uguale a quello di Gandhi, perché Capitini si affidava al progresso generale della storia); in parte, nel Pontara degli ultimi tempi, che lo ha indicato come esempio per uscire dalla barbarie della attuale civiltà; e in parte in Galtung.

C’è da pensare che ancora quasi tutti gli studiosi si interessano a Gandhi solo parzialmente, e non per gli aspetti strutturali più rilevanti della sua vita.

I giudizi positivi di prima indicano un contrasto clamoroso con l’Occidente e la sua civiltà. Come è potuto avvenire che l’abbia realizzato un uomo solo?

Se riflettiamo sulla storia dell’Occidente, notiamo che esso ha costruito una civiltà sicuramente nuova perché, per la prima volta, si è strutturato per raggiungere l’infinità in tutto (spiritualità, vita religiosa, istituzioni, potere, capitale, territori, scienza, armi, beni di consumo, ecc.); ma, diventato superbo, non si è accorto che aveva imboccato una strada particolare: era la strada delle strutture autoritarie sugli uomini e sulla natura. Avendo introiettato l’autoritarismo, il suo linguaggio si è ristretto alle sole affermazioni dualistiche, o positive o negative, quelle che si contrappongono tra loro (così è nel linguaggio di una caserma e nella lingua inglese).

La rivoluzione culturale di Gandhi è stata di sviluppare i contenuti di una parola che è estranea a quel linguaggio; infatti “nonviolenza” è una doppia negazione che non ha una parola corrispettiva affermativa (la parola inventata per sostituirla, satyagraha=forza della verità, non ha mai attecchito). Quindi non è vero che le due negazioni di questa parola affermano; allora per essa non vale la contrapposizione vero o falso. Perciò la parola “nonviolenza” non indica una cosa concreta: né un ordine, né un comandamento, né tanto meno un assoluto. Invece è una indicazione su come cercare un metodo sempre nuovo che risolva un dato conflitto particolare.

Eppure anche l’antico ebraismo ragionava così. Ad es. aveva posto come fondamentale per la condotta umana la “parola di Dio” che è a doppia negazione, “Tu nonucciderai”. Ma poi gli ebrei l’hanno applicata solo nei rapporti tra poche persone, non nelle guerre. Poi il “Figlio di Dio” venne apposta per “completare” la Legge, cioè per insegnare ad applicare quella “parola di Dio” anche ai nemici (Mt 5, 21ss, 43ss). Ma nei secoli passati i cristiani spesso hanno idealizzato quella doppia negazione in un “amore” svuotato di senso sociale e politico. C’è voluto un piccolo indù ad insegnarci che il “Nonuccidere”, esteso a tutti i casi della vita sociale, è proprio la nonviolenza (così come era già scritto in Mt 5, 13-48; Lc 6, 17-49).

Poiché non ha una parola affermativa equivalente, essa (secondo la logica matematica!) fa passare ad un’altra logica (quella non classica); cioè, fa entrare in un mondo logico del tutto diverso; dove si ragiona in maniera alternativa a quella dei Greci e dell’Occidente.3 Allora notiamo che, nonostante i colonizzatori (inglesi) abbiano presentato la cultura infinita dell‘Occidente come insuperabile, e quindi abbiano preteso di imporla come l’unica possibile al mondo intero, Gandhi ha introdotto una sua nuova maniera di ragionare e l’ha saputa insegnare a tutto il mondo (anche se tuttora chi domina in Occidente non la capisce).

Quindi Gandhi, senza timore di apparire arretrato rispetto alle infinità dell’Occidente, ha saputo andare al di là delle pesanti incrostazioni sociali e culturali occidentali (e anche quelle della sua civiltà) per tornare all’origine di tutte le civiltà; e così ha ricominciato ad usare la mente in maniera aperta alla vita e alle persone, sapendone cogliere l’essenziale. Dopo l’ubriacatura di infinito dell’Occidente, Gandhi ha saputo ritornare all’evidenza dell’essere umano e dei suoi rapporti sani.

A riprova di queste attribuzioni positive a Gandhi, notiamo che in effetti, dopo di lui, sono avvenuti fatti storici straordinari, mai visti nella storia umana: una serie di rivoluzioni nonviolente, Quelle del 1989 in Europa Est sono state le più importanti per l’umanità tutta. Esse hanno mostrato che la nonviolenza di Gandhi ha un potere politico enorme per tutto il mondo: hanno saputo annullare la crescente minaccia di una distruzione nucleare di almeno mezzo emisfero terrestre. Questa minaccia aveva la sua ragione d’essere nella massima divisione mondiale della storia dell’umanità; quella che nel 1945 a Yalta i quattro Grandi, vincitori della seconda guerra mondiale, avevano compiuto su tutti i popoli della Terra; quelle rivoluzioni hanno annullato anche questa divisione.

Più in generale, nel XX secolo sono avvenute, secondo precisi dati statistici, più di 300 rivoluzioni; delle quali quelle nonviolente sono state sempre più frequenti; in tutto sono state un un centinaio, che sono la metà di quelle violente: ma esse sono state vittoriose una su due; mentre quelle violente una su quattro.4

Quindi molti popoli, autonomamente, hanno saputo superare quelle ideologie dell’Ottocento che, per costruire un mondo nuovo, volevano distruggere i capitalisti mediante rivoluzioni violente; le quali invece, quando sono state realizzate, hanno costruito dittature che al massimo portavano alla brutta copia di una società liberata; mentre invece dopo una rivoluzione nonviolenta c’è molta più capacità di giungere ad una società democratica.

In altri termini, molti popoli hanno saputo trasformare anche l’evento politico più sconvolgente e tumultuoso, la rivoluzione, in un atto morale; hanno dimostrato, come aveva insegnato Gandhi (contro Machiavelli), che tutta la politica può essere indirizzata e regolata dalla morale. Ciò è avvenuto per la semplice forza di persuasione morale del messaggio di Gandhi.

In questa luce, la stessa Teologia cattolica della Liberazione si è dimostrata un aiuto solo grossolano a quei popoli che hanno ribaltato i loro regimi dittatoriali, perché concepiva solo la rivoluzione violenta.

Tutto ciò fa ricordare la profezia di Romain Rolland (non cristiano): Gandhi in Oriente ha sollevato una marea dello spirito che deve ricadere su tutto il mondo. C’è da concludere che molti occidentali, specie tra gli studiosi, debbono ancora scoprire che la nonviolenza di Gandhi è una forza trasformatrice della storia.

Ma allora dobbiamo chiederci: che contenuti politici straordinari Gandhi è riuscito mai ad immettere in questa nonviolenza, che da un tradizionale e innocente concetto indù è passata ad una forza storica così rivoluzionaria?

Se riflettiamo sul secolo XX notiamo che questo piccolo indiano ha realizzato, dal basso, da laico e senza mezzi istituzionali, tre conversioni dagli sviamenti (o riforme), che altri hanno solo progettato o approssimato:

  • la riforma della sua religiosità tradizionale; l’ha impostata non sullo sviluppo infinito (come quello dei grandiosi progetti occidentali sulla religiosità futura: per Hegel: l’immedesimarsi nello Spirito Assoluto, che farebbe progredire tutta l’umanità; per Toynbee: una unica super-religione universale), ma sulla coscienza della persona (“la vocina silenziosa”), che, nonostante il male che è dentro di noi e che è nel mondo, può sempre suggerire miglioramenti. Gandhi ha preceduto tante altre riforme di religiosità, tra le quali quella cattolica del Concilio Vaticano II.

  • la riforma dell’etica, perché nelle relazioni con tutte le persone e anche con tutte le istituzioni ha preso come asse portante la ahimsa (nonviolenza); egli ha allargato il principio tradizionale indù alla vita sociale, avendo fiducia che ogni uomo è sempre migliorabile, anche se è incastrato in una grande istituzione; con questo metodo ha saputo risolvere i conflitti con accordi con gli avversari (mentre l’Occidente, nonostante il Cristianesimo dei credenti e la tolleranza dei laicisti, ha spinto i conflitti a diventare guerre di tutti i tipi e per tutti i motivi; e per paura di poter essere sconfitto in guerre future si è condannato ad una mostruosa corsa agli armamenti senza fine);

  • la riforma della politica, perché la sua vita personale ha dimostrato (contro Machiavelli e Hobbes) che l’etica e la vita politica possono restare unite; anche perché sulla base dell’etica ha saputo criticare lo sviluppo occidentale infinito (che è seguìto anche dal mondo socialista, che crede di vincere proprio per la spinta del progresso storico occidentale); e ne ha indicato la alternativa nello sviluppo della capacità di risolvere i conflitti. Egli ha incominciato subito a sviluppare questa alternativa costruendo nuove comunità, così da caratterizzare un nuovo modello di sviluppo (MDS).

Gandhi ha proposto e realizzato per primo la soluzione nonviolenta dello scontro di civiltà (orientale/occidentale, britannica/indù): prefigurando la nascita di più MDS. Per la sua specificità nonviolenta, il MDS gandhiano, al contrario di quello occidentale, non colonizza gli altri popoli, perché non sopprime l’avversario politico o ideologico (come ha fatto anche il progetto della civiltà marxista) ma sa convivere con i differenti MDS e difendere il pluralismo per tutti; perché, in caso di conflitto, li convince, non li vince. Solo così la politica può passare dalla semplice tolleranza per il diverso alla coesistenza anche di MDS differenti; solo così la politica pluralista può durare nel tempo, quando c’è chi sa risolvere i conflitti senza sopprimere l’altro.

Queste riforme sono a carattere UNIVERSALE, nel senso che sono condivisibili da parte di ogni uomo e sostenibili da qualsiasi grande religione e riguardano la rifondazione di qualsiasi istituzione sociale (culturale o politica). In definitiva, se è vero che la civiltà occidentale ha dominato il secondo millennio, l’insegnamento di Gandhi ha iniziato la civiltà del nuovo millennio, il terzo.

Allora ci accorgiamo che l’ondata dello spirito, da lui sollevata, ancora deve finire di ricadere sul mondo; perché egli ci ha lasciato un patrimonio che tuttora comporta lo sviluppo di grandi progetti storici.

Ma se le sue riforme e il suo nuovo MDS sono parte integrante della nostra storia, perché oggi noi sentiamo tanta difficoltà per procedere su questa via?

Ad esempio, viene da chiedersi: perché i veri discepoli di Gandhi sono stati così pochi, mentre invece hanno proliferato le variazioni sul tema nonviolenza, alla ricerca di una versione ”occidentale” (che in realtà rischia di essere la riduzione a solo quelle tecniche che sono accettabili dalle istituzioni occidentali e utili ai loro fini pubblici)?

Tra le tante persone che oggi si riferiscono alla nonviolenza, pochissime aderiscono al suo insegnamento delle tre riforme ancor meno al suo stile di vita (che in Occidente ha un esempio in San Francesco). Aldo Capitini è stato suo discepolo sotto vari aspetti; ma solo Lanza del Vasto (che fu suo discepolo negli anni 1937-38) ha fondato in Occidente il tipo di società che voleva Gandhi: la comunità-villaggio che realizza il più possibile la autosufficienza (Swadeshi) e che cerca di attuare la nonviolenza su tutti i piani, compresa la lotta politica sui problemi più grandi della società (Comunità dell’Arca).5 Lo ha potuto fare perché anche lui ha compiuto la riforma della sua religiosità (cristiana cattolica), cioè in quella religione che è la più potente del mondo; perciò la sua riforma, ispirata da quella di Gandhi, ha reso attuale e credibile all’Occidente quella avvenuta nella periferica India da parte di Gandhi.

In più, mentre Capitini ha qualificato la nonviolenza rispetto alla filosofia occidentale, lui ha inserito la nonviolenza nella teologia occidentale (rifondandola: essa è la conversione dal peccato originale, inteso come peccato strutturale); e quindi l’ha portata a criticare a ragion veduta, non solo il generico progresso occidentale, ma le massime istituzioni intellettuali occidentali, la Scienza e la Tecnica, mettendone in evidenza la azione negativa sulla vita individuale e sociale. Con ciò, soprattutto Lanza del Vasto è riuscito a esprimere compiutamente la nonviolenza gandhiana nella società occidentale.

Poi Galtung ha ripreso da Capitini e da Lanza del Vasto il concetto fondamentale della politica gandhiana e l’ha precisato in quello dei quattro modelli di sviluppo.6 Cosicché tutti e tre hanno sviluppato la nonviolenza anche nel mondo intellettuale, quello decisivo per essere presenti nella vita occidentale.

Subito dopo questa riforma (1959), il Concilio ha compiuto la riforma della Chiesa cattolica. Ma ha espresso solo una frase benevola verso i nonviolenti, mentre accettava quasi tutto il progresso occidentale.

Perciò, anche se la riforma della religiosità occidentale è già iniziata, la riforma della etica è tutta da fare (e urgentemente, dato che le biotecnologie minacciano catastrofi imminenti) e quella della politica è ancora molto lontana. Né oggi si vedono altri discepoli di Gandhi che siano di importanza mondiale.

Ma oggi sentiamo tanta difficoltà per procedere sulla via di Gandhi non solo perché non abbiamo grandi discepoli gandhiani, ma anche per un forte motivo politico.

Se riflettiamo un momento, ci accorgiamo che la prospettiva politica ormai è essenzialmente mondiale; quindi richiederebbe entità politiche più grandi degli Stati, proprio i suddetti MDS; perciò la vita politica dovrebbe fare un salto di scala, dal nazionale al mondiale dei MDS. Invece la vita politica mondiale ancora è dominata da quegli Stati, ad es. gli USA, che promuovono il massimo progresso occidentale (soprattutto la corsa agli armamenti e l’economia finanziaria) e che mantengono in maniera machiavellica un grande potere politico sui popoli. Di fatto essi continuano a sviluppare il tradizionale MDS blu; quello che è dominante sia sugli Stati rappresentativi del MDS rosso (ad es. la Cina), sia su quelli del MDS giallo (gli Stati arabi); e soprattutto sul MDS verde, quello di tipo gandhiano, che non ha nemmeno uno Stato rappresentativo per difendersi (ad es. all’ONU), perché Gandhi ha concepito uno Stato in maniera radicalmente alternativa, ancora troppo nuova.

Tanto per cominciare, lo Stato del MDS verde dovrebbe avere una difesa nazionale non armata e possibilmente nonviolenta. Nel 1992 l’ONU ha lanciato la Agenda per la Pace per risolvere le guerre nel mondo con corpi non armati, oltre i corpi armati. Nello stesso tempo, in Italia abbiamo compiuto (con la Campagna OSM-DPN) una grande lotta che ha conquistato le prime leggi al mondo sulla difesa civile non armata e nonviolenta (l. 230/1998 e l. 64/2001)., Quindi il programma politico di trasformazione radicale dello Stato occidentale è realistico e anzi, è già cominciato.

Ma la controffensiva dei militari è stata schiacciante. Per mantenere il loro monopolio sul concetto di difesa nazionale e internazionale, hanno costruito guerre nel mondo (Jugoslavia, Irak 1, Afganistan, Irak 2, Libia, Siria, ecc.) sulle quali gli Stati militarmente forti hanno esaltato il mito delle Forze Armate “portatrici di pace” (con le bombe! E oggi anche con idroni che assassinano senza farlo sapere a nessuno!). Questa politica militaresca e belligena, tipica della civiltà occidentale, è stata accettata dalla alternativa politica nata all’interno delll’Occidente, il socialismo (e il marxismo), perché esso non sa vedere il grande peso politico negativo della Scienza e della Tecnica occidentali. Oggi, dentro ogni Paese i partiti più forti, e nel mondo i due MDS dominanti, il blu e il rosso, si sono associati tra loro per mantenere e sviluppare ancora di più il progresso occidentale (ad es. quello delle bombe nucleari) contro il MDS dei Paesi arabi e nel Nord del mondo contro la nascita di una prima istituzione nonviolenta; ad es. in Italia la organizzazione di una difesa alternativa mediante il Servizio civile e il Peacekeeping dell’ONU compiuto soprattutto da civili.

Ma il tempo dello strapotere dei MDS del Nord è limitato: lo manifesta la rapida decadenza del monopolio dei militari sulla difesa: quasi tutte quelle guerre che loro stessi hanno creato, le hanno perse clamorosamente. Inoltre anche la attuale crisi economica lo manifesta: gli USA hanno assassinato Osama Bin Laden, ma le spese colossali per fargli la guerra li hanno portati sull’orlo della bancarotta finanziaria; e, a livello mondiale, hanno prodotto una crisi finanziaria (e ormai anche economica) che sta tagliando le gambe alla politica di potenza militare di utti gli Stati.

Nel frattempo, nel Sud del mondo la primavera araba ha riaffermato la capacità dei popoli (anche arabi!) di compiere rivoluzioni etiche; le quali oggi in alcuni Paesi arabi (Tunisia, Egitto) stanno costruendo un nuovo tipo di Stato, democratico e islamico. Inoltre i Paesi dell’America Latina si sono resi indipendenti dai poteri mondiali e alcuni di loro (ad es. la Bolivia e il Venezuela) vogliono realizzare la autogestione popolare.

Più in generale, la crescente barbarie della invasione della tecnologia nella vita degli individui (che inizia fin dalla loro tenera età e si completata nella società con la corsa agli armamenti sempre più sofisticati) e la sovranità assoluta della scienza sulla nostra vita intellettuale e affettiva hanno ormai posto l’umanità davanti al dilemma: o noi arriviamo ad addomesticare la Scienza e la Tecnica fino a renderle innocue, o loro ci domineranno fino a toglierci la voglia di vita.

Noi che viviamo nella particolare terra dei padroni del mondo, chiaramente non potremo essere alla testa delle novità politiche, che invece possono sorgere là dove la presa dei MDS del Nord è minore. Ma dobbiamo essere pronti a quel cambiamento mondiale che Lanza del Vasto prevedeva per l’invincibile ”’eroe occidentale” (che con la sua propria attività si crea la sua fine fatale);7 Galtung l’ha previsto per il 2020 (“il crollo dell’impero USA”). Dopo dl quel crollo, noi, liberi da impedimenti, avremo l’enorme compito di costruire nella vita sociale tutto quello che era stato progettato di alternativo; a cominciare da comunità libere di svilupparsi in autogestione, unite tra loro secondo l’idea di Gandhi di una federazione di villaggi che, emancipandosi dai miti della tecnologia, vivono in armonia con la natura e applicano la nonviolenza a tutti i possibili conflitti.

Sviluppiamo allora sin da adesso l’eredità di Gandhi realizziamo in piccolo le tre riforme, per avvicinare sin da adesso quella nuova civiltà che politicamente raggiungeremo prossimamente!


Note

1 R.B. Gregg: The Power of Non-Violence, Routledge, London, 1935; G. Sharp: Politica della azione nonviolenta (1973-79), tre voll., EGA, Torino, 1982-1997. T. Weber: “Non-violence is Who? Gandhi and Gene Sharp”, Peace & Change, 28 (2003) 250-280.

2 R. Rolland, La Jeune Inde, Stock, Paris, 1924, p. xxi: “Come storico di mestiere, sono abituato a veder passare e ripassare il flusso e il riflusso delle grandi maree dello Spirito; io [qui] descrivo quella che si solleva dal fondo dell’Oriente. Essa non si ritirerà che dopo aver ricoperto le rive dell’Europa.” – R. Fueloep-Miller: Gandhi. Storia di un uomo e di una lotta (1928), Bompiani, Milano, 1930. – G. Orwell: “Riflessioni su Gandhi” (1949), Linea d’Onbra, 1983 n. 3, pp. 5-12. – Lanza del Vasto: I quattro Flagelli (1959), SEI, Torino, 1996,p. 504: “… tre miracoli storici sono tutta la sua storia: / Una liberazione senza effusione di sangue / Una rivoluzione sociale senza rivolta / Il bloccare una guerra”; inoltre a p. 482 ripete il precedente giudizio di Rolland. – A. Capitini: La nonviolenza oggi, Comunità, Milano, 1962, par. “Gandhi e il suo metodo”. – J. Galtung: Gandhi oggi- Per un’alternativa politica nonviolenta, EGA, Torino, 1987, p. 42, cap.2, cap. 1, p. 164. – G. Sofri: “Domande su Gandhi”, in M. Roberschak (ed.): Pacifismo e nonviolenza, Franco Angeli, Milano,1988 – G. Sharp: Gandhi as Political Strategist, Sargent, Boston, 1979 – J. Brown: Prigioniero della speranza (1989), Il Mulino, Bologna, 1995. – J.-M. Muller: Il principio Nonviolenza. Un filosofia della Pace (1995), Plus, Pisa, 2005, p. 256 e 252. – G. Pontara: curatore della antologia di scritti di M.K. Gandhi: Teoria e prassi della nonviolenza, Einaudi, Torino, 1973; L’antibarbarie, EGA, Torino, 2006; p. 93. – F.C. Manara: Una forza che dà vita. Ricominciare con Gandhi in un’età di terrorismi, Unicopli, Milano, 2006, pp. 23 e 249.

3 C. Mangione e S. Bozzi: Storia della Logica: Da Boole ai nostri giorni, Garzanti, Milano , 19 , p. 530ss.

4 I dati di due lavori statistici sul tema sono riportati nel mio Le rivoluzioni nell’ultimo secolo. I fatti e le interpretazioni, Nuova Cultura, Roma, 2010. L’ultimo lavoro, il più completo, ora è esposto nel libro di E. Chenoweth e M. Stephen, Why Civil Resistance Works, Columbia U.P., New York, 2011.

5 Lanza del Vasto: “De quel droit nous appellons-nous Gandhiens d’Occident?”, Pages d’Enseignement, Rocher, Monaco, 1993, 185-192.

6 A. Capitini, Il messaggio della nonviolenza, Lacaita, Manduria, 1977, 187-194; A. Capitini: “L’unità del mondo e le sue giustificazioni interiori”, Nuova socialità e riforma religiosa (1943), Einaudi, Torino, 1950; Lanza del Vasto: I quattro Flagelli (1959), SEI, Torino, cap. 1 e cap. IV, par. 70; J. Galtung, Ideology and Methodology, Eijlers, Copenhaven, 1976, cap. I, 2.

7 Lanza del Vasto: I quattro flagelli (1959), op. cit., cap.V, parr.18-24.

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