Carmela, Lucia e le altre – Pietro Polito

Carmela è la centounesima donna ammazzata da un uomo padrone nella “civile Italia”. Ne riferisco la storia attraverso il racconto di Paola Natalicchio (“Pubblico”, sabato 20 ottobre 2012).

“Carmela e Lucia Petrucci. Carmela, la piccola, 17 anni. Lucia appena maggiorenne, solo un anno più grande. Frequentano la stessa classe: la terza L dello storio Liceo Classico Umberto di Palermo. Sono appena tornate da una vacanza di studio in Inghilterra, a Brighton. Due «figlie di famiglia», come si direbbe nel loro sud. Padre impiegato della Corte dei Conti, madre impiegata in Regione. Ieri, a prenderle a scuola, va la nonna. Le lascia in macchina sotto casa, intorno alle 13, nell’appartamento n via Uditore, a pochi passi dal centro. Va via, a fare la spesa nel vicino supermercato. Loro citofonano a casa, sperando che il fratello apra al piùpresto. Si sono già accorte del pericolo. Ma non hanno uil tempo di salire. Succede tutto in un attimo. Samuele Caruso, 22 anni, un ex di Lucia è già in agguato. Secondo la ricostruzione della sezione omicidi della Squadra Mobile di Palermo inizia una discussione accesa tra lui e Lucia. Carmela cerca di calmarli. Il portone si apre, le ragazze scappano dentro ma lui le segue nell’androne. E tira fuori un coltello. Vuole «punire» Lucia perché la loro relazione è finita e lei non ne vuole più sapere. Dalle prime ricostruzioni, Carmela cerca di dividerli, lui la colpisce. A morte. Poi ferisce Lucia. E scappa”.

Basta !

Ora basta. Bisogna fermare la mattanza. Non è tollerabile che in un paese civile dall’inizio del 2012 venga ammazzata una donna quasi ogni tre giorni da un uomo che si crede il loro padrone.

Siamo di fronte a una vera e propria “emergenza democratica”, “una ferita al patto sociale che ci unisce” (Mariella Gramaglia).

Un dramma di cui non sempre le istituzioni si mostrano consapevoli. Si pensi che la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (11 maggio 2011), solo di recente firmata dal nostro Paese, non può essere applicata perché non è stata ancora ratificata dal Parlamento.

Questa realtà, la realtà in cui un uomo si sente in qualche modo quasi legittimato a compiere un gesto così atroce, non può, non deve più durare.

Il contrasto alla violenza dell’uomo padrone sulle donne deve diventare il principale impegno degli amici della nonviolenza.

Tra le forme di violenza, verso le cose, verso le piante, verso gli animali, verso il prossimo, quella di un uomo padrone che si accanisce con un coltello, una pistola, la forza delle proprie mani, verso una donna indifesa e inerme è la più odiosa di tutte.

Il femminicidio, scrive ancora Gramaglia, è “un dramma della modernità, non dell’arretratezza, o meglio non solo dell’arretratezza”. È una “epidemia”, che “ha varianti infinite, e un’unica radice” (Adriano Sofri). Un’epidemia che può essere arginata, arrestata, curata solo se si rimuove la radice del male.

Qual è la radice del male?

Non ho alcun dubbio. La radice della violenza sta nell’idea, radicata in maggiore o minore misura nella testa di ogni uomo, che la donna sia una conquista e che una volta conquistata se ne diventa il padrone assoluto.

L’amore non c’entra nulla. Come può l’amore, se è amore, condurre all’annientamento del corpo della donna che si ama? In realtà, l’uomo padrone non ama, domina, esercita un potere, un potere senza freno, sulla donna considerata una cosa che si possiede e che è solo sua.

Gli uomini che uccidono le donne, siano essi mariti, fidanzati, amanti, padri, fratelli, sono uomini che, “una volta divenuti padroni di una donna – alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista – non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé ma solo per un altro padrone” (Sofri).

Che cosa può fare la nonviolenza?

Diceva Aldo Capitini che la nonviolenza è un contributo, un contributo che ciascuno può portare in ogni ambito della vita, a partire dalla sfera personale e da quella relazionale.

La nonviolenza, che è una cultura, un’etica, una politica fondata sul non possesso, può contribuire fortemente alla formazione di nuove generazioni di uomini in cammino.

Gli uomini padroni sono la risposta violenta alla sfida del femminismo; gli uomini in cammino aspirano ad essere all’altezza della più grande rivoluzione nonviolenta del Novecento, la sola rivoluzione che può avere un futuro.

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