Attaccare l’Iran: un disastro per l’intera regione e il mondo

Johan Galtung

L’attacco israeliano sembra imminente. Secondo Richard Silverstein circola una strategia “shock and awe” trapelata del sionismo aspro di Netanyahu- Barak per decapitare, paralizzare l’Iran; e Alon Ben Meir (un esperto di politica mediorientale specializzato in negoziati di pace fra Israele e gli stati arabi) dice che Israele non sta bluffando. Può darsi che Israele preferisca un attacco con gli USA (Romney? Obama dopo le elezioni?), ma può anche fare da solo. Alcuni credono alla storia della bomba nucleare, altri credono che lo scopo sia un Israele come stato ebraico dal Nilo all’Eufrate, promosso anche dal defunto padre di Netanyahu. Le due storie non si escludono a vicenda.

L’Iran è un membro osservatore dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO). Un attacco innescherà reazioni dal suo nucleo russo-cinese. Quel che Israele può guadagnare in termini di sostegno sunnita saudita può perderlo in parti più importanti del mondo, nelle relazioni diplomatiche ed economiche. La SCO è enorme.

C’è anche il pericolo reale di una guerra mondiale della NATO contro la SCO, con potenze nucleari ripartite 4 a 4; considerando USA-Israele indivisibili essendo nate allo stesso modo: arraffando una terra altrui.

Le risposte devastanti iraniane arriverebbero prima della decapitazione. Comunque, quelle testate potrebbero essere ben protette disponendo di sistemi alternativi, magari decentrati in 31 regioni? Gli israeliani sono bravi nel lavoro distruttivo, ma possono anche sottovalutare i loro nemici. D’altro canto, non sembrano avere scrupoli a piombare la regione e il mondo in un olocausto ben oltre quello patito da loro stessi.

Israele sarebbe saggio a considerare un vecchio proverbio ebraico: “Il modo migliore di liberarsi dei propri nemici è farseli amici”. Bombardare l’Iran non procurerebbe a Israele alcun vero amico, né in Iran né nel resto del mondo. Innescherebbe solo il desiderio dell’Iran di sviluppare armi nucleari, con la piena comprensione di quasi tutto il mondo.

Ovviamente, gli iraniani dovrebbero dimostrarsi a posto aprendo i propri impianti nucleari a ispezioni senza impedimenti da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA). Ma gli israeliani dovrebbero fare altrettanto. Il doppio metro per cui “Noi abbiamo diritto a possedere armi nucleari, voi no” è indifendibile.

Uri Avnery, in “A Putsch Against War [Un putsch contro la guerra, http://www.transcend.org/tms/2012/05/a-putsch-against-war/ ] del maggio 2012 scrive: “Nel nostro paese stiamo osservando una rivolta verbale contro i politici eletti, da parte di un gruppo di attuali o ex-generali dell’esercito, dell’ex-capo dei servizi segreti per l’estero [Meir Dagan del Mossad] e dell’ex-capo della sicurezza interna [Yuval Diskin dello Shin Beth] che condannano la minaccia del governo d’iniziare una guerra contro l’Iran, e parte di alcuni di loro che condannano l’inerzia del governo nel negoziare – fare pace“. Qualcuno definisce qualunque critico delle politiche israeliane un “anti-semita” o un “ebreo che odia se stesso”. Sono tutti in tale categoria? Chi è migliore amico verso chi cammina a occhi bendati verso un abisso: chi dice “Va’ avanti ché vai bene”, o chi dice “Fermati, svolta, sei in grave pericolo!” Non distogliete l’attenzione dalle crisi reali d’Israele!! (Peter Beinart in “The Crisis of Zionism” [La crisi del sionismo], Gershom Gorenberg in “The Unmaking of Israel (2011)” [Il disfacimento d’Israele]).

Piuttosto, una zona mediorientale denuclearizzata che comprenda Iran e Israele: 64% degli israeliani sono a favore; come in Iran, purché partecipi Israele. Negoziando un accordo di quel tipo ci sarebbe un sospiro di sollievo generalizzato! – ed entrambi i paesi si abbraccerebbero.

Il retroscena è il colpo di stato CIA-MI6 del 1953 che estromise il primo ministro democraticamente eletto dell’Iran, Mohammad Mossadegh, installando una dittatura 25-ennale dello Scià. Delle scuse potrebbero far parecchio per risolvere la “crisi nucleare”, che invece peggiorerà salvo un miracolo. Ma miracoli del genere dopotutto avvengono, anche nel Regno Unito: l’approccio di Thatcher verso l’Irlanda del Nord fu d’inviare le truppe, rifiutandosi di parlare con i “terroristi”. Blair fece di meglio: cominciando un dialogo con il Sinn Fein, e ritirando l’esercito britannico. Da allora, più nessuna bomba dell’IRA (Irish Republican Army) in Inghilterra. Netanyahu = Thatcher.

L’onere sta prevalentemente sull’Occidente e su Israele. Oppure, potrebbe essere che tutta la questione nucleare sia solo un pretesto per spianare la via al sogno di un Israele, un Sion, esteso fra quei due fiumi?

Una tal cosa non funzionerà mai. Israele può raggiungere una sicurezza durevole solo mediante la pace con i suoi vicini, come sarebbe una Comunità del Medio Oriente con Israele insieme ai suoi cinque confinanti arabi, Libano, Siria, Giordania, Egitto e Palestina, riconosciuta secondo il diritto internazionale, con i confini del 1967 e qualche scambio fra cantoni israeliani in Cisgiordania e cantoni palestinesi in Israele nordoccidentale. Una comunità modellata secondo la Comunità Economica Europea a sei stati del 1958, uno dei più riusciti progetti di pace della storia, che mise fine a secoli di guerra fra molti degli stati membri.

Quali sono gli intralci? Contro-argomenti chiave di israeliani e arabi: “Circondati da arabi ostili, non possiamo lasciarli avvicinare tanto, ci sovrastano numericamente, ci buttano a mare” dice l’uno; “Gli ebrei ci invadono economicamente e gestiscono le nostre economie”, dice l’altro. Ci sono risposte: le decisioni dovrebbero prendersi per consenso; si cominci lentamente con il libero flusso di merci, persone, servizi, idee; a più tardi gli insediamenti e gli investimenti. Si crei fiducia. Si cambi un rapporto rotto malamente con la Naqba in una relazione pacifica, in evoluzione.

Si aggiunga una Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione nell’Asia Occidentale con una conclusione aperta, dove tutti i partecipanti siano al tavolo e tutti i problemi sul tavolo. Modellata secondo la Conferenza di Helsinki del 1972-75, che preparò la fine della Guerra Fredda, potrebbe portare a un’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione nell’Asia Occidentale, simile all’ Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa – OSCE. Fattibile, con un po’ di volontà.

Meglio che uccisioni massicce per poi scoprire l’inesistenza di un programma per bombe nucleari in Iran, sconfessati quanto gli USA in Iraq e la NATO in Afghanistan. Con quei due fiumi sempre più distanti; e Israele più isolato che mai, a leccarsi le sue ferite non da poco; con l’Occidente che aggiunge uno stretto di Hormuz sbarrato alla sua profonda crisi economica. E un anti-semitismo rampante.


3 settembre 2012

Titolo originale: Attacking Iran: A Disaster for the Whole Region and the World

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis


 

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