Il Concilio nelle nostre mani

Enrico Peyretti

Il Concilio Vaticano II, e i suoi semi germinanti, non sono commemorati e rimpianti, ma sono vivi, affidati alle mani dell’intera chiesa.

Il popolo di Dio, laico, articolato in tanti servizi, nella varietà delle chiese sorelle, persuaso del primato evangelico dei poveri, è la chiesa che vive anzitutto nelle comunità locali modeste e vitali. Questo popolo memore e responsabile ha realizzato a Roma un’assemblea ecclesiale nazionale, il 15 settembre 2012, promossa da un centinaio di associazioni e periodici, aperta e chiusa dalla preghiera.

A 50 anni dall’inizio del Concilio, alla luce del messaggio di Giovanni XXIII – «… è vicino il regno di Dio» -, dell’11 settembre 1962 (un mese prima dell’apertura ufficiale), circa 700 presenti, da tante realtà di base, più in spirito propositivo che non per denunciare ritardi e riduzionismi del Concilio, ne hanno ripercorso la storia e i messaggi maggiori, per l’oggi. Da qualche anno, al di là dei disagi sofferti per archiviazioni, rinnegamenti, autoritarismi e compromessi indegni, queste chiese reali hanno preso la parola tramite una varietà di reti, incontri, studi, azioni responsabili, con parresia evangelica.

In questa assemblea nazionale è vero che mancava la generazione giovane, è vero che tra laici, laiche e alcuni preti, non c’erano vescovi – salvo il messaggio di Bettazzi – ma, oltre la buona qualità delle relazioni, abbiamo vissuto quel clima intenso per risveglio di coscienza e presa di parola che sentiamo circolare nelle chiese locali e nelle reti che le collegano.

Le relazioni di Rosanna Virgili (Gaudet mater Ecclesia), di Giovanni Turbanti, (La Chiesa e il mondo all’avvento del Concilio), di Carlo Molari (Le diverse interpretazioni del Vaticano II) e altra documentazione saranno leggibili nel sito www.viandanti.org.

Virgili, nell’ “inno alla gioia” di papa Giovanni, ha riascoltato, di là dal tempio muto come Zaccaria, l’annuncio dato a Maria: Dio si fa Parola, e la Parola è restituita, nelle donne discepole, a tutta la chiesa discepola, prima che maestra, e comunità di corresponsabilità profetica.

Turbanti, dalla crisi epocale successiva alla seconda guerra mondiale, ha seguito la chiesa che si sentiva fortezza del bene assediata dal male, ma cercava con incertezza nuove vie pastorali. Struttura gerarchica rigida, divisa nei due generi, sacerdoti e laici, pensava solo a difendere il deposito di fede tradizionale. Il Concilio fu un evento dagli effetti complessi, nella dinamica storica tra novità e continuità, come tentativo di rispondere alla crisi della modernità.

Molari, oltre le diversità di interpretazioni, ha indicato queste novità conciliari: 1) un linguaggio nuovo, da dottrinale a indicatore di nuovi valori, e di dialogo, anche nella riparazione di precedenti errori nella disciplina e nella dottrina; 2) la tradizione implica cambiamento, perché è vivente (Dei Verbum 8), è «fiume vivo» (Benedetto XVI, 26-4-2006); 3) lo Spirito agisce nel tempo, e «conduce alla verità tutta intera» (Gv 16,13), anche finora non conosciuta; 4) la coscienza storica è entrata nella tradizione (Theobald). Giuseppe Ruggieri, in Ritrovare il Concilio (ed. Einaudi) ricorda la storia come luogo teologico; 5) i «segni dei tempi» (in senso teologico, non socologico) esprimono l’azione emergente di Dio nella storia, in ordine alla sua pienezza. Il cambiamento culturale è da un ordine statico a uno dinamico (GS 5). Anche l’antropologia diventa evolutiva.

Militello dice che, poiché la nostra generazione è responsabile della interruzione nella trasmissione della fede, per troppa timidezza, ora occorre riaprire il processo conciliare, con le istanze ecumenica, interreligiosa, dialogica. Propone quattro parole-chiave: 1) partecipazione attiva, avvenuta realmente nella liturgia, che è sinodale, ma oggi insuffciente di fronte alla nostalgia clericale; 2) sinodalità nel mutato rapporto chierici-laici, cioè una mutazione strutturale delle chiese; 3) ascolto della Parola con le nostre parole; 4) dialogo: Paolo VI fu grande, ma frenò il Concilio perché non capì la collegialità. Più che un nuovo concilio, occorrono cantieri aperti: 1) di studio; 2) di esperienza delle comunità cristiane, di chi siamo noi credenti, delle classi laico-religioso, dei generi maschile-femminile, delle strutture sinodali, per un nuovo modello comunionale di chiesa, che «abbandoni il suo statuto imperiale» e sia in relazione originaria con Gesù, messia laico. Quindi una chiesa compagna appassionata dell’umanità.

Dopo diversi interventi significativi (Paolo Ricca, Franzoni, Castagnaro, Malagola, Scalia, Novello, Geraci, Palmerini, Nannini, Campanini, Zanotelli, …), le conclusioni di Raniero La Valle hanno magistralmente espresso lo spirito e le prospettive dell’assemblea. Il segreto di questa – ha detto – è stato un miracolo: nell’ultima fila sedeva lo sconosciuto «discepolo – e discepola – che Gesù amava», che è ciascuno di noi. Siamo i discepoli rimasti dentro la successione laicale, discepolare. Senza questa non ci sarebbe la chiesa degli apostoli né la successione apostolica. Furono le donne che annunciarono agli apostoli la tomba vuota. È sulla parola del discepolo amato che Pietro si getta in acqua per raggiungere Gesù sulla riva. Dei fedeli a cui parla, Gregorio Magno dice che sono «organi della verità»: non sono contati tra le fonti della rivelazione, ma Dei Verbum 8 dice che anche con la loro esperienza spirituale cresce la comprensione della Parola.

Quale parte abbiamo avuto noi discepoli nel Concilio? Questa assemblea nasce da qui. Il Concilio fu fatto per noi, per crescere noi nella fede. Papa Giovanni gli diede il compito di esplorare ed esprimere i contenuti della fede nel modo richiesto dal pensiero del nostro tempo.

La tesi di La Valle è che il Vaticano II è l’ermeneutica di tutti i concili. Più che inventariare le interpretazioni di questo concilio conta cogliere l’interpretazione che esso ha dato dei concili precedenti. Giovanni XXIII, l’11 ottobre, presentava il Vaticano II come esegesi dei concili. La Dei Verbum supera la controversia Scrittura-Tradizione. La Lumen Gentium legge e integra il Vaticano I rimettendo il papa dentro la chiesa. Nel Tridentino si vede più la continua riforma della chiesa che la controriforma. Nella Gaudium et Spes la chiesa non è più costantiniana. Calcedonia è sviluppato con un esito antropologico: Dio è unito ad ogni uomo.

Questa è la verità umana, e l’unica soluzione possibile alla crisi di oggi. Infatti, il sistema vigente non prevede i poveri, li lascia cadere: senza il marchio della bestia non possono comprare e vendere, non possono vivere (Apocalisse 13,17). Si formano enormi ricchzze, che li escludono. Occorre un costituzionalismo universale: non è un problema tecnico, né di cattolici o no in politica.

I discepoli furono anche ispiratori, non solo destinatari, del Concilio, il quale scelse l’immagine della chiesa come popolo. Oggi il popolo è sovrano, non suddito. Ognuno parla e prega nella lingua materna: ciò ha conseguenze incalcolabili. Il concilio non ha riproposto la dottrina del peccato originale. Dopo la caduta Dio non abbandonò gli uomini (L G 2): altro che cacciata dall’Eden! Il concilio ha taciuto su quel mito e sulle contraddizioni tra la vita e i beni (lavoro, coppia, parto, sorella morte) che seguivano come castighi. Ma il catechismo del 1982 ha reintrodotto il peccato originale. Però la commissione teologica nel 2006 toglie la necessità di battezzare rapidamente i neonati in pericolo di vita «perché non era la fede del popolo» che fossero destinati ad un limbo: cadeva questa dottrina per impulso dei fedeli. Con questa speranza il concilio ha pensato le religioni non cristiane. La chiesa celibataria ha dichiarato il primato dell’amore unitivo sugli scopi secondari del matrimonio. E così verso ogni attività umana. Dalla riforma di una chiesa nuova è venuta una nuova antropologia. E fu soltanto un’aurora.

Questa nostra assemblea di oggi, legittima, libera, è un’assemblea di discepoli, è chiesa di discepoli. Questo ruolo deve continuare, con iniziative, con comunicazione larga, anche internazionale, con un coordinamento leggero. Nel 2013 verrà il 50° della Pacem in terris.

Interpretando bene lo spirito di tutta l’assemblea, La Valle ha concluso: «Cinquant’anni sono solo un mattino. Il concilio è nelle nostre mani, soprattutto dei poveri, per la giustizia, la pace, la salvezza della terra, insieme a tutti i poveri del mondo».

 

15 settembre 2012

 

 

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