Un male ben organizzato e l’intelligenza della speranza

Enrico Peyretti

Roberto Mancini, Le logiche del male. Teoria critica e rinascita della società, Rosenberg & Sellier, Torino 2012, pp. 206, euro 18.

Il male ci tocca: notizie feroci e naufragi procurati di esuberi umani ci feriscono in continuazione, in mezzo alle chiacchiere e alle banalità dell’informazione fluente. Il male è anche banale. Ma è organizzato, strutturato, camuffato persino da bene. Ha questo vantaggio su di noi. Ci deprime, ci dispera, ci allinea, oppure almeno ci indigna, ma guai se non ci offende più, ché allora ha vinto. Il male fa male, offende e addolora anche chi non lo patisce ma vi assiste. Però non basta soffrire e indignarsi, e neppure organizzarci contro di esso, perché è molto abile nel contaminare e persino arruolare chi lo vuole colpire. Sfugge, è ubiquo, ma ci fa credere di essere lì, in quella cosa, in quel nemico, per coinvolgerci nel suo gioco (Matteo 5,39 ci avverte). Il male è niente, non è il diavolo (ma chi può escludere totalmente uno spirito intelligente e malvagio che acquista il dominio su di noi?), comunque agisce come se fosse un soggetto animato e intelligente. È una forza di irrealtà che impone timore e rispetto, fino ad ergersi come un ordine necessario – può uno stato non essere armato? -, come un idolo, un principio. E ci persuade della impotenza del bene, bello e inutile.

Allora, dovremo disperare? Cominciamo col renderci conto che c’è una interdipendenza, per cui siamo gli uni responsabili degli altri (come ripete Dostoevskij nei Karamazov: ognuno è colpevole per tutti, e solo soffrendo per questa colpa possiamo giudicare).

Il pensiero responsabile

Il filosofo Roberto Mancini percorre in questo suo nuovo libro alcune maggiori recenti teorie del male – la pulsione di morte per Freud, il dominio per la Scuola di Francoforte, la violenza civilizzatrice per Girard, i regimi della verità per Foucault, la fine della coscienza e il totalitarismo per Arendt, l’autotentazione umana per Buber – e poi tenta una teoria critica del male che integri questi diversi approcci. La filosofia ha il compito di smascherare il male fatto sistema, ben oliato ed efficiente. La sua capacità maggiore è la menzogna, l’apparire verità e necessità. La critica del male organizzato ha da rivendicare e liberare la dignità umana: l’uomo è degno di essere giusto e felice, di attendersi il bene e di dare bene. Il male lo inganna e l’offende. Non basta descrivere e analizzare i fenomeni di male, se non si ha come criterio di misura l’esigenza radicale di bene, di umanizzazione, se non si vedono le tracce e le apparizioni del bene, se non si vuole camminare a cercarlo e accoglierlo. Il pensiero responsabile vuole far fronte alla «sproporzione tra la potenza dell’ordine costituito e la debole soggettività degli individui» (p. 36), per umanizzare la società secondo la dimensione di giustizia, inscritta e attesa, di cui l’umanità è degna.

Salvo mio errore, nell’analisi del male, non ho visto qui il problema del male non voluto – il male di Giobbe, non quello compiuto da Caino – su cui si è interrogato angosciosamente Norberto Bobbio.

Oggi, nella società fatta onni-mercato, mercato-crazia, totalitarismo finanziario, «l’economia è la prima causa della miseria» (Horkheimer, citato a p. 39). Infatti, c’è una miseria umana comune ai sazi, ai troppo ricchi, ai derubati ed espulsi, umiliati e offesi. Questa verità è indicata dal pensiero responsabile, che demitizza l’ideologia economista. «Solo in piccola parte l’economia è produzione, distribuzione, consumo; essa assume le vesti della razionalità e della civiltà, vale come una metafisica e una spiritualità, seppure perverse e rovesciate». La società moderna è «proprietà del mercato» (p. 175-6). Una razionalità scaltra e calcolatrice, «disinteressata agli esseri umani, ha instaurato l’economia come la forma più efficace che conviene al male» (p. 179).

Filosofia per la liberazione

La “crisi”, che è oggi sulla bocca di tutti, e naviga come corsara sulla vita dei popoli-oggetto, è tragica. Ma il pensiero non indica solo la tragedia: esso pensa la liberazione. La filosofia è filosofia se è dedita al fine della liberazione. Una riflessione come questa di Mancini ci aiuta a camminare e operare tra il catastrofismo, che ci rende sciacalli a caccia dei resti, e il facilismo illuso, che promette l’uscita dal tunnel con gli stessi mezzi che ci hanno infilato dentro.

Male è il dominio: né il denaro, né il sesso, né la politica, né la religione sono male, ma il dominio degli uni sugli altri con queste cose, o simili armi. Mi pare di ricordare che alla domanda su quale sia il male maggiore, il cardinale Martini abbia risposto: l’ingiustizia. Non qualche piccola truffa o diseguaglianza, ma ogni offesa alla dignità umana, metro della giustizia. Dio è offeso perché si identifica con l’uomo offeso. Il dominio è il farsi “signore” (dominus) di altri, conculcarne la libertà e la vita, e con ciò è anche bestemmia, idolatria (egolatria), cioè “il” peccato.

Risveglio dalla “stupidità”

L’Autore indica alcuni progetti di ricerca, coi quali il pensiero critico impegnato contro il male può individuare strade di liberazione: il rapporto tra libertà e sistemi sociali; la ricostruzione delle dinamiche educative; la liberazione dall’angoscia che produce competitività, aggressività, possessività nella vita interiore e collettiva; le condizioni per rafforzare la partecipazione politica. Così, la teoria critica del male, denunciando la natura “sistemica” della “crisi” attuale, con le migliori letture “spirituali” della storia, indica risorse e percorsi di rinascita etica della società. Il risveglio dalla “stupidità” (nel senso di Bonhoeffer) è l’evento necessario per la rinascita, perché «la globalizzazione è in effetti la globalizzazione della stupidità». «Ciò che chiamiamo crisi è la protratta esperienza della disintegrazione» (p. 186) dei rapporti personali, sociali, naturali, spirituali. Per capire questa realtà occorre riprendere la teoria dell’alienazione. Il soggetto “liquido” non può resistere alla forza del male, come può il soggetto integro, ristabilito in quell’insieme di relazioni che Panikkar chiama “realtà cosmoteandrica”: il mondo naturale, Dio, l’umanità stessa.

L’etica è ricerca

L’etica è relazione maieutica, generativa. Nasce «con il riconoscimento di ciò che è valore, di ciò che è buono e giusto» e «implica di opporsi a quanto minaccia o nega il valore, il buono, il giusto» (p. 187). La motivazione etica non è riducibile alla repressione di istinti e passioni. L’etica ha una funzione euristica, di ricerca, al di là dell’esistente, di un ordine umano più buono e più giusto. Questa dinamica integra i soggetti nella coscienza della propria e altrui dignità.

L’etica ha bisogno di schiudersi alla relazione con Dio? «L’umanità deve comunque tendere le sue mani verso una mano che si protende verso di lei. Non è affatto obbligatorio chiamare “Dio” colui che ci tende la mano» (p. 190). C’è realmente un invito che viene da altri: può essere Dio, o la vita, o il bene, o il senso, o comunque l’altro che incontriamo, il povero, lo straniero, la vittima. L’etica umana è la via d’uscita e di salvezza da ogni sistema di male indurito e fissato, perché è l’organo di una trascendenza vitale, di rigenerazione continua, che non permette ad alcuna forza di farsi padrona, “signora”, dominio, cioè male contro la vita.

Dialogo anti-dominio

Il cammino di questa liberazione è il dialogo – l’opposto del dominio -, in cui ogni persona, ed ogni forma di vita umana, sono chiamate, invitate, attirate, a relazioni di crescita con altra umanità. La relazione etica con il bene è inclusiva: «significa imparare a non escludere gli altri» (p. 193). Questa è la medicina riumanizzante, nella società disintegrata sotto l’idolo economicista. Questa medicina opera in quanto ognuno si prende cura di sé con gli altri, anche passo passo; in quanto non identifica il bene e il male coi buoni e i cattivi, ma si conforma alla «giustizia della misericordia, combattendo le logiche del male», e non si riduce a «criticare il male smarrendo la trascendenza del bene» (pp. 195-196).

Con «l’intelligenza della speranza» possiamo scorgere e sostenere un «movimento per la giustizia intera», dove intera non vuol dire integralista, ma composta da tutti gli apporti plurali, che son pure vivi, e molti, sotto la cenere dell’incultura rassegnata al dominio: un movimento consanguineo al movimento per la pace, il quale, con alti e bassi, non cessa di produrre anticorpi, fermenti attivi, anche inattese primavere, a incrinare la presunta fatalità delle logiche e delle storie di dominio. Le frontiere di quel movimento di giustizia, indicate dall’Autore, sono: la rivoluzione umana del sistema educativo e del sistema mediatico, la politica di alternativa al capitalismo, l’economia democratica.

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