Il muro – Pietro Polito

Il conflitto tra conservazione e alternativa naturalmente non è solo italiano, è europeo; non è solo europeo, riguarda l’intero Occidente; non è solo occidentale, è globale.

È un conflitto aspro, sordo, che sembra non avere mediazioni possibili, senza esclusioni di colpi, a ben vedere è un conflitto antico, non nuovo, nella storia ben conosciuto, è il conflitto tra chi ha e chi non ha, chi sta sopra e chi sta sotto, chi è dentro e chi è fuori, tra gli emersi e i sommersi.

La conservazione e l’alternativa sono separate da un muro.

Alla caduta dei più celebri dei muri, il muro di Berlino, non è seguita quella dei tanti muri eretti durante il “secolo breve”: lungo la frontiera degli Stati Uniti, dell’Europa, tra le frontiere europee, tra palestinesi e israeliani, dentro di noi tra la conservazione del nostro benessere e l’alternativa a uno stile di vita che consuma la parte migliore di ciascuno.

Non è un muro metaforico. Un muro reale, per quanto a volte invisibile e non di pietra, eppure impenetrabile, si estende lungo le coste italiane, spagnole, greche, avamposto inespugnabile, espugnabile solo di strage in strage.

Gli ultimi migranti caduti sono quelli morti giovedì 6 settembre 2012 di fronte all’isola di Lampione a 12 miglia da Lampedusa.

Quest’ultima tragedia (annunciata) è una delle più grandi del Mediterraneo.

Il Mediterraneo è diventato lo spazio virtuale e reale tra inclusi ed esclusi, “noi” chiusi nelle nostre case dentro i confini di un’Europa trasformata in una fortezza, e “loro”, i migranti, i dannati della terra.

Dice Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: “Non c’è un’emergenza sbarchi, ma un’emergenza per le troppe morti in mare nel Mediterraneo. La vera emergenza sono le morti in mare che restano molte e che si potrebbero arginare. Al di là delle responsabilità specifiche dei singoli naufragi, su cui è di primaria importanza fare chiarezza per evitare che il Mediterraneo diventi una sorta di terra di nessuno dove vige l’impunità, vi è una responsabilità collettiva legata all’indifferenza e al considerare tutto ciò ineluttabile, anziché cercare soluzioni concrete per evitare che ciò si ripeta”.

Ciò che si consuma nel nostro mare sotto i nostri occhi ormai abituati all’orrore è un crimine, un altro “misfatto occidentale”.

Il Ministro della giustizia, Paola Severino, in una lettera al “Corriere della Sera”, 9 settembre 2012, ha manifestato “orrore”, “raccapriccio” per “quell’esercito di annegati nel Mediterraneo che negli anni si sono affollati intorno a un sogno impossibile”.

Per il ministro “il vero cuore del problema dell’immigrazione” è “stroncare la tratta di migranti nei Paesi d’origine” colpendo con efficacia i criminali senza scrupoli che organizzano uno spregevole commercio di esseri umani. Questa è la via, secondo il ministro (ma è così?), per “far ridiventare il Mediterraneo quel «mare nostrum» che accompagnava genti e popoli diversi e non un luogo in cui si consumano orrendi crimini in danno dei più deboli”.

Mi trovo più in sintonia con Giusi Nicolini, neoeletta sindaco di Lampedusa:: “Il mare – afferma il Sindaco – che inghiotte la vita di un essere umano, il naufragio, sono concetti universali che lasciano il segno nel cuore”.

Non può essere sottaciuta la responsabilità dell’Europa, e del nostro Paese, che chiudono le porte all’Africa. “Queste morti – continua il Sindaco – non si possono evitare alzando muri, anzi, accade il contrario. Senza un cambio radicale delle politiche dell’immigrazione non se ne esce, non possiamo continuare a chiudere gli occhi davanti a questa tremenda ordinarietà”.

Non basta lo sdegno, deve seguire una solidarietà concreta, che, per esempio, il Ministro Severino potrebbe concretamente esprimere, rispondendo positivamente alla lettera aperta di Raffaele K. Salinari, Presidente di “Terre des hommes”, una associazione che opera in favore dei minori stranieri non accompagnati che sbarcano a Lampedusa (“il Manifesto”, 5 settembre 2012).

Ai minori, denuncia Salinari, inizialmente veniva data una sistemazione separata dagli adulti. Attualmente essi sono di nuovo costretti in una promiscuità inaccettabile con gli adulti con la conseguente privazione di diritti fondamentali sanciti a protezione dell’infanzia.

Il Ministro, il nostro Paese, consentendo il lavoro di “Terre des hommes” a Lampedusa e assumendo la tutela dei diritti dei minori che si trovano nei campi come un punto qualificante della nostra politica dell’immigrazione, può dare all’Europa un inequivocabile e importante segnale di civiltà giuridica

www.terredeshommes.it/guida-giuridica-per-operatori/index.html

Postilla

Perché si muore nel Mediterraneo?

Laura Boldrini (La guerra agli scafisti non basta, dall’Europa soluzioni concrete, “l’Unità”, mercoledì 12 settembre 2012) spiega lucidamente perché le stragi di migranti non sono né una fatalità né un fatto ineluttabile:

1. perché le imbarcazioni sono fatiscenti;
2. perché i soccorsi tardano;
3. perché ci sono persone che si girano dall’altra parte ignorando l’urlo di disperazione;
4. perché un maggior coordinamento tra chi opera in mare servirebbe a ridurre i rischi;
5. perché non si cercano soluzioni concrete per limitare il ripetersi di tali eventi.

La politica europea dell’immigrazione, specialmente quella italiana, pare troppo condizionata dalla “suggestione dell’invasione” alimentata da alcuni gruppi politici e da parte dell’informazione. Tale politica si risolve quasi esclusivamente in “misure di contrasto come unico antidoto ai naufragi”.

Il perseguimento di soluzioni concrete richiederebbe “misure alternative” lungo la via maestra della legalità, come, per esempio, la predisposizione di quote annuali di ingressi legali da parte dei vari paesi europei.

Quale disincentivo maggiore alla roulette russa nel Mediterraneo cui sono costretti ora i migranti?

Non è fantapolitica. Stati Uniti, Canada, Australia nel 2011 hanno dato la possibilità a 80.000 rifugiati di trasferirsi regolarmente nei loro territori.

 

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