Dossier Siria: una guerra civile e gli sforzi per uscirne

Gianmarco Pisa

A mo’ di introduzione. Per una soluzione politica al conflitto in Siria

L’iniziativa del movimento per la pace sulla Siria è stata, nel corso dell’ultimo anno, molto incerta e problematica. Da una parte, le profonde divisioni che si sono prodotte all’interno del movimento stesso, testimoniate dalla moltiplicazione, in rete e non solo, di appelli e prese di posizione alternativi e talvolta contrapposti, dei quali, per naturale conseguenza, solo alcuni sono riusciti a raccogliere un certo consenso; tra questi, sostanzialmente divergenti per profilo di analisi e obiettivi di iniziativa, il c.d. “appello degli arabisti” (che si può rintracciare al sito: appellosiria.wordpress.com) e la piattaforma-appello “Giù le mani dalla Siria” (presente sulla piattaforma: napolinowar.wordpress.com/2012/07/05/giu-le-mani-dalla-siria) finora sottoscritta da ca. quaranta tra associazioni, comitati e organizzazioni. Dall’altra, la significativa difficoltà, per il movimento per la pace e contro la guerra, di promuovere un’iniziativa autonoma, non inquinata da “contaminazioni” o “infiltrazioni” di soggetti del variegato campo dell’ “antimperialismo nazionalitario”, capace di segnalarsi per una, almeno potenziale, vocazione di massa, in grado di confermare quelle che sono le coordinate decisive per un’azione di pace conseguente, vale a dire il rifiuto di ogni intervento militare esterno, sotto qualsiasi veste mascherato, il rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli e la tutela del principio di giustizia internazionale che dovrebbe portare tutte le soggettività democratiche, pacifiste e nonviolente a rifiutare ogni, sia pur implicita, legittimazione del “doppiopesismo” che troppo spesso contraddistingue l’azione delle potenze occidentali sullo scenario mondiale.

Abbinare ad un’analisi credibile e conseguente, una proposta politicamente lucida ed efficace non sempre è facile, certo diventa ancora più difficile quando si è costretti a muoversi tra campagne di disinformazione e propagande di guerra che alimentano la confusione, arano terreni di discredito e mistificazione e servono, esclusivamente, per i modi come sono realizzate e per i precedenti cui si ispirano, a condizionare e preparare le opinioni pubbliche occidentali ad accettare o persino a sostenere l’ingerenza umanitaria o l’intervento esterno per il rovesciamento del tiranno di turno. Davvero ci sarebbe da dire a proposito di “doppiopesismo”: men che velato appoggio a regimi teocratici e liberticidi, vere e proprie tirannie petro-monarchiche, come Qatar o Arabia Saudita; minacce, blocchi ed embarghi contro tutti quanti possano costituire una minaccia o un problema all’ordine mondiale vagheggiato dall’imperialismo occidentale, tra cui difficile, per retroterra storico e collocazione strategica, non collocare la Siria (che, pur con tutte le sue contraddizioni politiche e tutto il peso dei suoi apparati repressivi, rappresenta un contesto sovrano, laico e multi-confessionale). Sono, questi, alcuni dei presupposti della rassegna di eventi, mobilitazioni ed iniziative che si è tenuta a Napoli tra il 24 e il 31 Luglio 2012, che è culminata negli eventi tenuti rispettivamente il 24, il 27 e il 31 del mese, e che è stata denominata “Sette Giorni per la Siria”; alla quale ha fatto seguito, lo stesso 31 Luglio, la mobilitazione presso l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America a Roma da parte del movimento romano contro la guerra (contropiano.org/it/news-politica/item/10433-siria-i-no-war-simobilitano-in-italia). La rassegna si è mossa su due binari: il primo, quello di attivare le forze di società civile più conseguenti intorno all’esigenza di una vera campagna di sensibilizzazione e informazione circa la precipitazione degli eventi in Siria, dove è già in corso una vera e propria guerra civile e per procura come tante fonti anche occidentali, non ultima il “New York Times”, vanno documentando (www.nytimes.com/2012/07/30/world/middleeast/assyrian-war-drags-on-jihad-gains-foothold.html); il secondo, quello di portare alla pubblica attenzione il “dietro le quinte” di una diplomazia popolare “dal basso” che pure sta dando vita a prove assai significative nel Paese, che agisce talvolta, nei teatri dei più accesi combattimenti tra le Forze Armate siriane e il sedicente “Free Syrian Army” (Esercito Libero Siriano), da vera e propria forza di inter-posizione nonviolenta, e che sta costruendo importanti tentativi di dialogo e di riconciliazione di ispirazione inter-confessionale, contro il settarismo e la minaccia di smembramento del Paese. Uno dei punti all’ordine del giorno della piattaforma del movimento democratico, pacifista e nonviolento è il sostegno a “Mussalaha”, progetto inter-confessionale di riconciliazione dal basso animato da esponenti laici e religiosi di società civile, per sostenere quanti in Siria operano per la pace e il dialogo. In fondo, anche lo scopo di questo dossier, proposto nell’occasione della rassegna vicentina “Un’Altra Festa”, corrisponde a questa esigenza: che un’alternativa è praticabile, che il movimento per la pace, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, non è azzerato, che non serve schierarsi “da tifosi” da una parte o l’altra e non aiutano le mistificazioni e le demonizzazioni, infine, che la soluzione al conflitto, per essere sostenibile e costruttiva, non potrà che essere negoziale e politica.

Siriana, la guerra

di Tommaso Di Francesco (il manifesto, 16 Giugno 2012)

Parliamo di Siria (e di Libia se possibile). Parliamone, perché dentro la caotica e drammatica crisi del capitalismo globalizzato viene a situarsi una nuova esplosione sanguinosa, ancora una volta nell’area del Medio Oriente. C’è da chiedersi se il futuro prossimo, di settimane se non di giorni, sarà caratterizzato o meno da un’altra guerra propagandata come umanitaria che andrà, tragicamente, a sommarsi a quella che c’è già sul campo. Perché le  Nazioni Unite ormai dichiarano che in Siria è «guerra civile». Se non è una ammissione d’impotenza della missione degli osservatori inviati a Damasco sotto la guida dell’ex Segretario dell’ONU Kofi Annan, poco ci manca. Inoltre è sempre più evidente il ruolo degli «attori esterni» più volte denunciato dagli stessi osservatori. Così il Segretario di Stato, Hillary Clinton, accusa Mosca di avere fornito ad Assad gli elicotteri impegnati nella repressione; la Russia ricorda come gli Stati Uniti nel fronte dei cosiddetti «Amici della Siria» hanno da tempo deciso per il sostegno massiccio in armi, equipaggiamenti e fondi agli insorti; e le Nazioni Unite denunciano del resto nuove ingenti forniture di armi pesanti arrivate da finanziamenti di fonte saudita. E il Consiglio di Sicurezza già discute dell’istituzione di una «no-fly zone». Mentre sul campo il regime di Assad e l’opposizione armata non recedono d’un passo dai loro intenti. Damasco rilancia offensive militari di repressione e attacco nelle zone insorte, i ribelli armati contrattaccano mentre si alimenta una nuova scia di attentati che adesso tutti – CIA compresa – attribuiscono ad Al Qaeda. Ha fatto scalpore, ma non ha fatto riflettere, la lettera di un mese fa di Kofi Annan che metteva in guardia con parole difficilmente equivocabili: «Si è insediata in Siria una forza terrorista» ostile ad ogni mediazione. Il precipizio di un nuovo conflitto internazionale è aperto. Ma sull’orlo del baratro, mentre il sangue dei civili viene sprezzantemente versato, nulla accade. Silenzio. Va in onda sullo sfondo «Siriana», il bel film Premio Oscar nel 2005 che metteva in parallelo geopolitica, spie e vite personali. «Siriana», appunto. Se esistessero le Nazioni Unite e non fossero state da più di venti anni esaurite e ridotte al rango di assistenza e surroga alle tante, troppe guerre disseminate dai Paesi occidentali nel mondo, sarebbe ragionevole sperare nell’attivazione subito di un rafforzamento della missione di Kofi Annan, fino a corridoi umanitari per mettere in salvo i civili, intrappolati negli scontri e, se necessario, ad una vera e propria forza di interposizione di caschi blu. Per fermare intanto il dilagare del confronto armato siriano negli altri Paesi, com’è già evidente in Libano e nell’Iraq stremato dagli attentati. Perché quel che accade in Siria è parte di una resa dei conti finale tra schieramenti sciita e sunnita ampiamente cercata dalla petro-monarchia dell’Arabia Saudita. Ma per una iniziativa autonoma delle Nazioni Unite mancano volontà e schieramenti. Con la Lega Araba ridotta, dopo la deriva delle primavere arabe, a cassa di risonanza-ricatto dei ricchi Paesi del Golfo; con gli Stati Uniti, pure alle prese con la necessità di uscire dal pantano sanguinoso dell’Afghanistan e fino in fondo dal disastro dell’Iraq, certo preoccupati del pericolo evidente che ormai corre Israele ma pronti solo a sfruttare l’occasione «umanitaria» di un intervento elettorale, che intanto isoli ancora di più l’Iran. E tutti pensano a fare come si è fatto in Libia. Contraddetti almeno da due ragioni. La prima, scontata, è che la Siria non è la Libia, per collocazione strategica e ruolo storico.

Rappresenta al contrario lo snodo delle più infuocate questioni mediorientali, dalla «sicurezza» d’Israele (vuol dire diritto ad occupare militarmente la Palestina), al mai pacificato Libano e al mai finito conflitto in Iraq, dalle mire egemoniche della Turchia (membro della NATO), al nucleare dell’Iran. Un intervento militare in Siria, ancorché motivato, secondo copione, da ipocriti falsi pretesti (l’ultima più cruenta strage di civili, la più profonda delle fosse comuni, un coinvolgimento dell’esercito atlantico di Ankara etc.), farebbe esplodere subito questo scenario delicato.

Ma la seconda ragione è proprio quel che è accaduto con l’intervento «umanitario» in Libia nel Marzo del 2011. Se l’obiettivo era far cadere la dittatura di Muhammar Gheddafi per avviare il Paese verso una nuova era di pace e democrazia, siamo invece a una realtà di caos istituzionale che mette paura. Con un CNT che sfiducia un governo ad interim e viceversa, con le elezioni rimandate di mese in mese – dovrebbero tenersi il 7 Luglio, ma con quali garanzie democratiche e quali prospettive, visto che si annuncia la vittoria elettorale di islamici più integralisti dei Fratelli Musulmani?; con la Cirenaica che annuncia la secessione, con le milizie armate che ancora combattono in battaglie con centinaia di morti e spadroneggiano arrivando a rioccupare l’aeroporto di Tripoli e a prendere a cannonate la sede del Governo. E dove i diritti umani vengono violati, le carceri sono un inferno, con la caccia all’immigrato «nero» che continua; fino all’episodio clou di questi giorni: l’arresto da parte dei miliziani di Zintan, legittimato dalle autorità di Tripoli, di cinque inviati del Tribunale Penale Internazionale (TPI) dell’Aja arrivati a rivendicare la potestà del processo al figlio di Gheddafi Seif al Islam che, invece, le nuove autorità vogliono processare in Libia. È per questo risultato che la NATO ha bombardato per mesi, con decine di vittime civili, denuncia un rapporto dell’ONU? Comunque è questo risultato che impedisce una soluzione «simile» in Siria, dove gli effetti sarebbero deflagranti. Non basterebbe a quel punto nemmeno la fitta coltre di silenzio e omertà stesa dai media internazionali, dopo tanto protagonismo di carriera, sulla realtà della «nuova» Libia. Alla fine l’unica «legittimità» di un intervento occidentale rischia di essere quella di fermare la «deriva afghana»: da giorni i media mediorientali scrivono che la «Siria è il nuovo Afghanistan», per la presenza armata di milizie salafite e di Al Qaeda.

Un Afghanistan nel Mediterraneo. Il cerchio si riapre: per uscire dalla guerra post-11 Settembre al terrorismo islamico e dal sostegno al corrotto Karzai a Kabul, gli Stati Uniti e la NATO probabilmente riapriranno l’agenda di guerra ma non a sostegno di un regime (come a Kabul) ma dei «terroristi» insorti, selezionando attraverso milioni di finanziamenti in armi, fondi ed equipaggiamenti, i “buoni” dai “cattivi”. La domanda è se la nuova guerra che si annuncia sarà o meno forma e contenuto di una risposta alla crisi. Comunque sia sarà «democratica», viste le parole, gli atti e le aspettative elettorali, la sosterranno sia Francoise Hollande sia Barack Obama e sarà «mirata e sociale», perché darà contenuto alle politiche di spesa militare dentro la crisi come in-put al mercato delle armi per «risollevare l’economia», dando finalmente senso alla distruzione di risorse (dieci miliardi di euro solo per l’Italia) per acquistare novanta cacciabombardieri F-35 e per trasformare (con milioni di euro) Sigonella nella base internazionale dei droni. Insomma, sarà una guerra per schermare – come mai prima d’ora di «distrazione di massa» – la crisi economica del mondo occidentale solo per l’occasione finalizzato e ricompattato.

Siria: menzogne e verità su una guerra sporca
di MAIO Project, Marinella Correggia, Alessandro Marescotti (maioproject, 10 Febbraio 2012)

È molto difficile districarsi fra le notizie provenienti dalla Siria. Mentre tutti i media parlano della “strage peggiore perpetrata da Assad a Homs” (davvero masochista, quel regime, a tirarsi addosso altre accuse proprio mentre all’ONU la sua sorte è appesa a un filo) e naturalmente nessuno riporta la smentita dell’agenzia ufficiale (che attribuisce i morti agli scontri e quelli civili all’azione di oppositori armati), consigliamo di leggere questa piccola indagine qui di seguito. Invitando a riflettere sulla facilità con cui fondazioni, associazioni e movimenti occidentali legati a George Soros e ad altri amici di grembiule, riescano a manipolare i media e i “pacifisti” di mezzo mondo.

INTRODUZIONE – Il rapporto degli osservatori internazionali in Siria.

Non ne parla nessuno, nessuno lo traduce in italiano. Eppure gli osservatori hanno controllato sul campo quello che ci è stato spacciato per verità. Questo rapporto dà fastidio e viene tenuto nel cassetto perché ha svelato varie menzogne di guerra. Il rapporto degli osservatori internazionali è su: www.innercitypress.com/LASomSyria.pdf.

“La missione ha notato che varie parti riportavano che erano scoppiate esplosioni di violenza in molte località. Quando gli osservatori sono andati in queste località, essi hanno trovato che queste informazioni erano infondate”.Tanto si legge nel punto 28 del rapporto degli osservatori internazionali in Siria. Il rapporto completo in inglese  in: www.innercitypress.com/LASomSyria.pdf o columbia.edu/~hauben/Report_of_Arab_League_Observer_Mission.pdf.

Il copione è davvero identico a quello libico, speriamo non l’esito. Qui di seguito il link alla conferenza stampa del capo sudanese degli osservatori della Lega Araba (missione fatta fallire da Qatar e altre petro-monarchie): www.infosyrie.fr/actualite/le-general-al-dabi-chef-de-la-mission-dobservation-arabe-en-syrie-la-violence-des-forces-delordre-est-une-riposte-aux-attaques-de-lopposition (afferma che la violenza dell’esercito siriano è una risposta alla violenza dell’opposizione). E qui il testo del rapporto di missione (con i commenti di Michel Chossudovsky, animatore del sito di documentazione Global Research): www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=29025.

A smentire che l’Esercito Libero Siriano faccia ricorso ad azioni militari solo per autodifesa sono tutti i fatti che vengono riportati nel rapporto stilato a seguito della missione degli osservatori internazionali. Citiamo alcuni passi. A Dera’a e Homs, la missione ha visto gruppi armati commettere atti di violenza contro le forze governative, causando morti e feriti nelle loro file. In certe situazioni, le forze governative hanno risposto agli attacchi condotti con forza contro di loro. Gli osservatori hanno notato che alcuni gruppi armati stavano usando razzi e proiettili perforanti. A Homs, Hama e Idlib, le missioni degli osservatori hanno assistito ad atti di violenza commessi contro forze governative e civili, che hanno causato diversi morti e feriti. Esempi di tali atti includono il bombardamento di un autobus di civili, che ha ucciso otto persone e ferito altri, tra cui donne e bambini, e il bombardamento di un treno che trasportava gasolio. In un altro incidente a Homs, un autobus della polizia è stato fatto saltare in aria, uccidendo due ufficiali di polizia. Sono stati bombardati anche una conduttura di carburante e alcuni piccoli ponti. Sono tutte invenzioni degli osservatori internazionali o manipolazioni del loro capo missione?

SIRIA. GUERRA PSICOLOGICA E MENZOGNE MEDIATICHE

1. Come si usano i neonati di Homs

La tempesta mediatica imperversa sulla Siria. I cosiddetti Comitati di Coordinamento Locale (LCC), appartenenti all’opposizione, hanno detto alla tivù del Qatar Al Jazeera che almeno 18 neonati sarebbero morti nelle incubatrici dell’ospedale pediatrico al Walid perché i colpi di artiglieria pesante dell’esercito siriano contro il centro di Homs avrebbero causato un black-out elettrico, togliendo l’alimentazione agli apparecchi. Il governo nega e sostiene che gli ospedali funzionino correttamente; anzi, insieme a molte altre denunce circa atti di violenza e sabotaggio compiuti da gruppi armati, riferisce che l’ospedale al Naimi in provincia è stato preso di mira da gruppi armati che l’hanno saccheggiato. Ma la notizia dei neonati di Homs ha avuto grande risonanza soprattutto in Italia. È lecito sollevare più di un dubbio. E non solo perché nemmeno i regimi più brutali avrebbero interesse a colpire neonati e ospedali. La fonte (gli LCC) è di parte e non dà alcuna prova. Oltretutto, tutti gli ospedali hanno generatori; se c’è un black-out elettrico funzionano quelli. Succedeva perfino in Iraq e nella Libia sotto le bombe, dove l’elettricità andava a singhiozzo. Poi l’accusa di tagliare la spina alle incubatrici ha più di un precedente e non solo in Siria.

Sempre smentito. La scorsa estate i social network (Twitter a partire dal 30 Luglio 2011) diffondono l’atroce notizia: tutti i bambini prematuri sono morti nelle incubatrici ad Hama perché gli shabiba (milizie di Stato) hanno tagliato l’elettricità durante l’assalto alla città. Si parla di quaranta in un solo ospedale; senza precisare quanti sarebbero negli altri. Il 7 Agosto 2011 la CNN riferisce: l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani di Londra denuncia l’assassinio di otto bambini prematuri, “martiri” nell’ospedale al Hurani, sempre a causa dei black-out.

Ovviamente nessuna notizia circa il lavoro dei generatori… Una foto corredava la denuncia: un gruppo di neonati, arrossati, tutti insieme in un unico lettuccio. Dopo qualche tempo viene fuori che la foto era stata pubblicata mesi prima sul giornale egiziano “al Badil al Jadid” e si riferiva a un problema meno grave ed egiziano: un ospedale sovraffollato di Alessandria. I bambini erano rossi e vivi, anche se in spazi ristretti. Del resto, chi non ricorda l’altro falso, datato 1990? Gli invasori iracheni avevano rubato le incubatrici negli ospedali pediatrici, causando la morte di diversi bambini prematuri. Venne poi fuori che il tutto era stato orchestrato dall’ambasciata kuwaitiana negli USA, che agiva sotto le mentite spoglie del Comitato “Citizens for a Free Kuwait” e con l’assistenza da parte dell’agenzia di public relations “Hill & Knowlton” (www.hkstrategies.com) – per la modica cifra di un milione di dollari. Del resto anche l’ultima denuncia dell’UNICEF riguardo alla Siria (400 morti fra i minori) è molto vaga quanto alle fonti; si riferisce a “media presenti a Homs” e a “rapporti” (all’UNICEF internazionale abbiamo chiesto più dettagli, finora invano; cfr: www.sibialiria.org/wordpress/?p=6).

2. La fonte principale sui morti in Siria: chi è l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani?

Ultime denunce diffuse da tutti i media e provenienti come sempre da fonti dell’opposizione siriana (la Reuters almeno dice di non poter verificare): l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani di Londra (SOHR), i Comitati di Coordinamento Locale (LCC), il CNS (Consiglio Nazionale Siriano) e i Fratelli Musulmani parlano di un “massacro di civili” a Homs (1-2 Marzo 2012), con oltre duecento morti e centinaia di feriti, vittime dei colpi di artiglieria e mortaio dell’esercito nei quartieri presi dagli insorti, soprattutto Khalidya; si riportano le voci di alcuni “residenti”. L’agenzia nazionale Sana nega i bombardamenti e afferma che i video di corpi morti sono di gente uccisa dalle squadre armate, le stesse che compiono rapimenti di civili e attentati contro infrastrutture civili.

Il fatto certo sono gli scontri fra armati dell’opposizione e l’esercito. Un contesto di guerriglia urbana dove certamente la popolazione è esposta. In conferenza stampa, il capo degli osservatori della Lega Araba, il generale sudanese al-Dhabi, ha affermato che soprattutto a Homs “la violenza delle forze dell’ordine è una risposta agli attacchi dell’opposizione”. Ma quel che è interessante è la lotta intestina nel principale informatore dei media occidentali e arabi in materia di morti in Siria: il già citato SOHR di Londra. Un’inchiesta pubblicata sulla versione inglese di “Al Akhbar” rivela l’inattendibilità di quella che è la fonte principale dei media rispetto alla “conta dei morti e degli assassini” in Siria. Il famoso Osservatorio Siriano per i Diritti Umani SOHR ha infatti due teste ora platealmente in lotta fra loro e due siti con “notizie” divergenti. I due siti sono: www.syriahr.org e www.syriahr.net (o anche: syriahr.com). Il primo si definisce “sito ufficiale dell’Osservatorio”. Il secondo… anche, precisando di essere “l’unico sito ufficiale”. Su www.syriahr.org è in bella evidenza dal 17 Gennaio una lettera collettiva firmata da siriani dell’opposizione che sconfessa Rami Abdul Rahman (alias Osama Ali Suleiman), il “direttore” dell’Osservatorio stesso, con accuse anche piuttosto classiste (è “poco istruito”). Scusandosi con i lettori per la possibile “confusione”, i firmatari, capitanati da un medico residente a Londra, Azzawi, affermano di aver chiesto tempo fa allo stesso “direttore” di lasciare perché egli scriveva anche di vittime fra le forze di sicurezza nazionali e altre notizie “non verificabili” oltre a non dare i nomi dei morti. Hanno poi aperto un loro sito, www.syriahr.org.

Dietro la rottura c’è il fatto che Suleiman è vicino all’opposizione del NCB (National Coordination Body for Democratic Change in Syria) di al-Manna che vuole una soluzione interna e negoziale alla crisi e condanna la lotta armata e violenta, mentre gli altri sono del CNS di Ghalioun, filo-Occidente, finanziati dai Paesi del Golfo e collaboratori del c.d. Esercito Libero Siriano che conta parecchi arruolati da altri Paesi. Ovviamente, i media e i Governi occidentali e arabi danno molta più eco al CNS. Suleiman ha denunciato le pressioni da parte degli altri membri (quelli pro-CNS), i quali gli hanno intimato di schierarsi per un intervento NATO e di non parlare dei morti fra i soldati siriani. Entrambi gli «Osservatorio Siriano» sostengono di avere centinaia di “attivisti” in Siria dai quali ricevono video e notizie. Ma le verifiche? Le notizie più efficaci propagate dalle due teste del SOHR sono quelle sui “martiri bambini” e sulle famiglie massacrate. Mère Agnès-Mariam de la Croix, superiora palestinese del monastero siriano di San Giacomo, che sta diffondendo dal canto suo liste di vittime delle bande armate, ha fatto ricerche su un caso recente che ha fatto il giro del mondo: la mattanza nel quartiere Nasihine di Homs di dodici membri della famiglia Bahadour fra cui vari bambini. Gli assassini, ha raccontato a “Le Monde” un vicino che avrebbe visto tutto… praticando un buco fra i muri, sarebbero “sette uomini in divisa, lealisti del regime, che poi, protetti dai cecchini dell’esercito, sono saliti su un blindato”. Giorni dopo la storia è ripetuta dalla CNN. Ma la religiosa si è messa in contatto con la famiglia: “Abdel Ghani Bahader era fratello di Ghazouan Bahader, autista dell’ufficio del Governatore di Homs. Egli ci ha riferito quanto segue: «Siamo una famiglia sunnita che lavora per lo Stato. Vogliamo essere neutri. Ma gli insorti ci hanno attaccati più volte tanto che mio fratello voleva spostarsi altrove dopo aver rifiutato l’invito a unirsi all’Esercito Libero Siriano. Ma non ha fatto in tempo». (Cfr. www.sibialiria.org/wordpress/?p=10)

3. La conta dei morti che nessuno fa: gli uccisi da bande armate

Il monastero di San Giacomo di Qara sta diffondendo le liste di “civili morti e feriti per opera di bande armate e non nel corso di proteste”, frutto della “violenza cieca di un’insurrezione sempre più manipolata”. Nomi, cognomi, età, indirizzo e circostanze. Le fonti sono gli ospedali, le famiglie e la Mezzaluna Rossa Siriana (il cui Segretario Generale Abd al-Razzaq Jbeiro è stato ucciso mercoledì 29 Febbraio 2012). Ecco i numeri. Fra i primi di Marzo e i primi di Ottobre, la lista dei morti civili comprende 372 nomi, fra cui diversi bambini (il più piccolo era Moutasim al-Yusef di tre anni, morto ad Haslah), donne (fra le quali Sama Omar, incinta, uccisa a Tiftenaz).

La lista dei feriti per il solo mese di Ottobre e per la sola provincia di Homs vede 390 nomi fra cui diversi bambini; il più piccolo, Ala Al Sheikh di Qosseir aveva un anno e mezzo). Fra gli ultimi uccisi, il curato greco-ortodosso del villaggio di Kafarbohom. I cristiani starebbero abbandonando interi quartieri soprattutto a Homs e Hama. Fra la pittura delle icone per la sopravvivenza del monastero, l’aiuto a famiglie in difficoltà e le preghiere quotidiane, la superiora Madre Agnès-Mariam de la Croix sta pensando a un “bollettino settimanale che risponda con fatti e nomi di vittime alle false liste di propaganda dell’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani basato a Londra”.

Quest’ultimo per la conta dei morti è – insieme ai c.d. Comitati di Coordinamento Locale – la fonte quasi unica della stampa internazionale e dello stesso Commissariato ONU per i Diritti Umani, che diffonde la cifra di cinquemila morti attribuendoli alla repressione governativa. Qualcuno comincia a dubitare dell’osservatorio londinese che, dice la Madre, “spesso non dà nomi e quando li dà non precisa che si tratta di uccisi da bande armate”. Secondo le cifre governative, sono stati uccisi duemila fra poliziotti e soldati. Palestinese di nazionalità libanese, Agnès-Mariam de la Croix si è attirata gli strali della stampa francese (lei è francofona) che la accusa di essere pro-regime. Vede l’urgenza della verità, per contrastare “un piano di destabilizzazione che vuole portare a uno scontro confessionale e alla guerra civile, gli uni contro gli altri, in un Paese che è sempre andato fiero della convivenza”. Nei mesi, il conflitto sembra essere passato “da una rivendicazione popolare di riforme e democrazia a una rivoluzione islamista con bande armate” (sostenuta dall’esterno, petro-monarchie, Occidente, Turchia). La Madre ha ospitato nel monastero una riunione di oppositori disponibili a un dialogo nazionale e ha anche mediato con l’esercito perché allentasse la pressione sugli abitanti di un villaggio. Un gruppo di giovani siriani ha iniziato un analogo lavoro di indagine e contro-informazione. Hanno creato un “Osservatorio Siriano sulle Vittime della Violenza e del Terrorismo” (SOVVT) e faranno indagini sul campo per preparare dossier. Fanno strage, oltre ai colpi di arma da fuoco, gli ordigni esplosivi. Come quello che tra Ariha e Al Mastouma (provincia di Idlib) ha ucciso sei operai tessili ferendone altre sedici mentre viaggiavano sull’autobus aziendale. Vari altri cittadini sono rimasti vittime di un ordigno vicino a Majarez. Colpita alla testa su un altro autobus aziendale un’ingegnere di Maharda è morta per le ferite. Undici passeggeri sono morti e tre sono rimasti feriti su un autobus civile a Homs, attaccato da armati.

L’agenzia – stampa ufficiale Sana riferisce quotidianamente di agenti uccisi o feriti, rapimenti, esplosioni di ordigni, disinnesco di esplosivi e sequestri di armi pesanti. (Cfr. www.sibialiria.org/wordpress/?p=15)

4. Chi è davvero e cosa chiede il CNS (Consiglio Nazionale Siriano)?

E’ stato il nuovo Governo della Libia, frutto della guerra della NATO, il primo a riconoscere già in Ottobre 2011 come “legittimo rappresentante del popolo siriano” il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), in inglese Syrian National Council (latimesblogs.latimes.com/world_now/2011/10/syria-libya-opposition.html). Il CNS a sua volta aveva riconosciuto il CNT libico già prima della conquista di Tripoli. Basato in Turchia (ma il suo leader Bhouran Ghalioun vive a Parigi da decenni; sostiene però di rappresentare l’80% dei siriani), il CNS, attraverso i suoi “osservatori sui diritti umani” da Londra e i cosiddetti “Comitati di Coordinamento Locale”, è la fonte quasi esclusiva delle notizie pubblicate sui media che accreditano la versione di una “rivolta a mani nude contro il dittatore”. Peraltro c’è uno scontro interno fra “attivisti” che si accusano reciprocamente. A differenza dell’altra opposizione che vuole il negoziato e non accetta la lotta armata né l’ingerenza straniera, il CNS rifiuta ogni negoziato e mediazione (come il CNT libico, a suo tempo). Non ne ha bisogno, perché ha trovato alleati fra i Paesi occidentali e petro-monarchici, ai quali ha chiesto da tempo l’imposizione di una no-fly zone “per la protezione dei civili” (in Ottobre: globalpublicsquare.blogs.cnn.com/2011/10/11/time-to-impose-a-no-fly-zone-over-syria; e in Gennaio: wallstreetitalia.com/article/1307700/siria-opposizione-invoca-intervento-onu-serve-no-fly-zone.aspx).

Del resto come vari analisti hanno spiegato, anche nel caso siriano la no-fly zone non avrebbe senso e dovrebbe piuttosto sfociare in un vero e proprio sostegno aereo anti-governativo o CAS (Close Air Support). Il CNS ha stretto in Dicembre un patto di collaborazione (www.nytimes.com/2011/12/09/world/middleeast/factional-splits-hinderdrive- to-topple-syrias-assad.html?_r=1&pagewanted=all) con il cosiddetto Esercito Libero Siriano (Free Syrian Army). Il rappresentante del CNS in Italia e organizzatore della manifestazione a Roma del 19 Febbraio 2012 (che ha avuto diverse adesioni italiane, tra cui: Tavola della Pace, Libera, Articolo 21, CGIL, ARCI, ACLI, FOCSIV, CNCA, Rete della Conoscenza [Unione degli Studenti e LINK – Coordinamento Nazionale Universitario], Beati i Costruttori di Pace, Terra del Fuoco: www.lettera22.it/showart.php?id=12074&rubrica=95) è Mohammed Noor Dachan. Sul sito Syrian National Council risulta affiliato alla Muslim Brotherhood Alliance (syriancouncil.org/en/members/item/241- mohammad-nour-dachan.html). Egli sostiene che l’Esercito Libero Siriano è composto di “soldati, sotto-ufficiali e ufficiali che hanno scelto di rifiutare di sparare alla gente disarmata e non è un esercito di guerra, bensì ha solo l’obiettivo di difendere le manifestazioni”.

La realtà appare molto diversa. Il c.d. Esercito Libero Siriano appare responsabile di uccisioni di soldati e civili siriani (ci sono elenchi nominativi documentati) e atti di sabotaggio e terrorismo (di recente decine di morti in esplosioni ad Aleppo). Accanto all’Esercito Libero Siriano, l’intervento armato occidentale e petro-monarchico c’è già e da tempo. Non sotto forma di bombardamenti ma di finanziamenti e invio di armi, consiglieri e mercenari.

In appoggio a gruppi armati anti-Assad, che il CNS avalla e con i quali collabora. Mentre la Turchia offre la base logistica al Free Syrian Army, Qatar e altri Paesi non fanno mistero del loro appoggio “diplomatico”, finanziario e in armi; a metà Gennaio 2012 lo sceicco Bin Khalifa Thani ha dichiarato la volontà di mandare truppe. Inglesi e francesi hanno confermato di aver mandato unità ad assistere i rivoltosi. Sono state scoperte armi inglesi avviate clandestinamente. A Homs truppe inglesi e qatariote dirigono l’arrivo di armi ai ribelli e consigliano sulle tattiche di battaglia, secondo il sito israeliano “Debka-file” (www.debka.com). Da tempo l’opposizione siriana ottiene partite di armi (rt.com/news/syria-opposition-weapon-smuggling-843). Obama chiede apertamente di sostenere gli armati anti-Assad e pensa di replicare i successi libici: nessun uomo, nessun morto, ma consiglieri e soldi. Fonti americane rivelano al “Times” un piano in fase di elaborazione da parte di Stati Uniti e alleati per armare i ribelli. Indiscrezioni che si incrociano con quelle del “Guardian” sulla presunta presenza di reparti speciali britannici e americani al fianco degli insorti, così come quella del detto sito israeliano “Debka-file” su una infiltrazione sul terreno, a Homs, di consiglieri militari sia britannici sia qatarioti. A queste indiscrezioni, la Russia ha reagito affermando che si tratta di informazioni ”allarmanti”, secondo il portavoce del Ministero degli Esteri, Aleksandr Lukashevich (blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/siria-homs-strage-senza-fine-times-piano-1113360 e peacelink.it).

Poi ci sono i mercenari libici. A Dicembre 2011 il Presidente del Consiglio Nazionale Siriano Burhan Ghalioun incontra a Tripoli i nuovi dirigenti. E scatta il piano che porta diverse centinaia di volontari libici in Siria, tra Homs, Idlib e Rastan (corriere.it/esteri/12_febbraio_10/olimpio-siria-insorti_a9528996-53da-11e1-a1a9-e74b7d5bd021.shtml).

La missione è coordinata dall’ex qaedista Abdelhakeem Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati. Intanto il sito di petizioni “Avaaz”, dopo avere diffuso per la Libia notizie di bombe su civili (avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu), in seguito ampiamente smentite, invita alla “battaglia mondiale” per la Siria affermando: «Questo è il culmine della primavera araba e della battaglia mondiale contro i despoti sanguinari». (Cfr. www.sibialiria.org/wordpress/?p=18).

5. Addendum:

Innumerevoli precedenti ci portano a vedere come plausibile lo scenario sin qui descritto. Lo schema dello scontro non sembra essere “tiranno vs. pacifici dimostranti”, bensì una partita in cui si confrontano strategie militari complesse, con molte armi in mano a milizie spietate, spalleggiate da chi non vuole vedere spiragli di dialogo e vuole il regime change costi quel che costi. Con voci di un diretto coinvolgimento di forze straniere in Siria sempre più accertate e insistenti (controlacrisi.org/notizia/Politica/2012/2/9/19570-siriaesempi-di-manipolazionemediatica- recente/#.TzPTzX_Iyec.emai; ermeteferraro.wordpress.com/2012/02/04/psy-ops-quando-la-guerra-si-fa-conle- parole; sulle truppe UK e Qatar che si preparano per una secret war: rt.com/news/britain-qatar-troops-syria-893).

La strada per la Persia
Aisling Byrne (“Asia Times”, 5 Gennaio 2012)

In Siria stiamo assistendo ad una deliberata e pianificata campagna il cui obiettivo è quello di abbattere il governo di Assad e sostituirlo con uno “più compatibile” con gli interessi statunitensi in Medio Oriente. La traccia seguita per l’iniziativa è rappresentata da una relazione prodotta dal “Brookings Institute”, organizzazione di orientamento neo-conservatore, per il rovesciamento del Governo iraniano nel 2009. La relazione “Quale strada per la Persia? (brookings.edu/~/media/Files/rc/papers/2009/06_iran_strategy/06_iran_strategy.pdf) è ad oggi quella che guida l’approccio strategico generale delle iniziative di rovesciamento di governi medio-orientali capeggiate dagli Stati Uniti.

Rileggerla, insieme alla più recente “Verso una Siria del dopo Assad” (foreignpolicyi.org/files/uploads/images/FPIFDD% 20Joint%20Syria%20Paper_1.pdf) – che adotta lo stesso linguaggio e la stessa prospettiva ma è centrata sulla Siria – mostra in che modo gli avvenimenti in Siria sono stati modellati secondo l’approccio per passi successivi definito in “Quale strada per la Persia?”, e con lo stesso obiettivo rappresentato dal rovesciamento del Governo.

Tra gli autori di queste relazioni figurano, tra gli altri, John Hannah e Martin Indyk, entrambi ex funzionari neo-con dell’esecutivo Bush, fautori del regime change in Siria (brookings.edu/opinions/2011/0819_assad_syria_indyk.aspx). Non è questo il primo caso in cui è dato assistere a una stretta alleanza tra neo-conservatori britannici o statunitensi da un lato e islamici dall’altro con l’intento di cooperare per rovesciare il Governo di uno Stato “nemico”. […]

Nel caso della Siria invece assistiamo a qualcosa di esattamente opposto: la maggioranza delle produzioni mediatiche del main-stream occidentale, insieme a quelle dei media che fanno capo agli alleati medio-orientali degli Stati Uniti (Al Jazeera e Al Arabiya), stanno fattivamente collaborando alla narrativa favorevole al regime change e alla relativa agenda, riportando senza alcuna verifica informazioni fornite da organizzazioni e media finanziati o detenuti dagli Stati Uniti, dagli europei o dai loro alleati nel Golfo Persico.

Le asserzioni che parlano di “massacri”, “campagne mirate di stupri contro donne e ragazze nelle città sunnite” (nytimes.com/2011/10/13/opinion/preventing-a-syrian-civil-war.html) “torture” e “violenze sessuali su bambini” (guardian.co.uk/commentisfree/2012/jan/01/nick-cohen-intervene-in-syria) sono riportate da una stampa internazionale che si basa su due fonti – l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, nel Regno Unito, ed i Comitati Locali di Coordinamento (LCC) – e che opera su di esse verifiche assolutamente minime.

Il terzo capitolo di “Quale strada per la Persia?” tratta della Siria: si tratta di pagine molto rilevanti perché sono praticamente una guida che spiega passo dopo passo come istigare una sollevazione popolare, come ispirare un’insurrezione e/o istigare un golpe. Del testo fa parte anche una sezione che passa in rassegna i pro ed i contro: «Una insurrezione è spesso più facile da fomentare e sostenere dall’estero… Fomentare un’insurrezione richiede un impegno economico poco oneroso… sostenere di nascosto l’insurrezione consentirebbe agli Stati Uniti di poter negare in modo plausibile di averlo fatto, riducendo i contraccolpi sul piano diplomatico e politico… Dopo che il Governo sarà per alcune volte finito sotto scacco, ci sarà anche il pretesto per agire.

Secondo questa relazione l’intervento militare dovrebbe essere intrapreso solo dopo il fallimento di ogni altra opzione: davanti a questi fallimenti la “comunità internazionale” – messa davanti al fatto compiuto – riterrebbe che è stato il Governo a “tirarsi addosso l’attacco militare” dopo aver rifiutato ogni miglior via d’uscita. Le questioni fondamentali nell’istigazione di una sollevazione e nella costruzione di una “insurrezione a tutti gli effetti” balzano agli occhi, se si considera l’evolversi degli eventi in Siria. Questi punti chiave contemplano:

– “Finanziare ed aiutare l’organizzazione dei gruppi interni al Paese contrari al Governo”.
– “Incrementare le capacità di opposizioni effettive con cui lavorare per mettere in piedi una leadership alternativa”.
– “Fornire equipaggiamenti e sostegno coperto a questi gruppi, armi comprese, direttamente o indirettamente”.
– Stabilire e rafforzare i canali di comunicazione esistenti tra gli attivisti dell’opposizione.
– Mettere in piedi una narrativa “con il sostegno dei mass media sostenuti dagli Stati Uniti”.
– Stanziare grosse cifre per finanziare una costellazione di iniziative guidate dalla società civile.
– Realizzare un corridoio sul campo per “sostenere lo sviluppo di un’infrastruttura a sostegno delle operazioni”.

“Al di là di questo, la pressione esercitata dagli Stati Uniti a livello economico (forse anche a livello militare) può screditare il Governo, rendendo la popolazione ben disposta nei confronti di una leadership opposta ad esso”. […] Tutto questo non significa che in Siria non esista un’autentica richiesta popolare di cambiamenti, diretta contro un apparato statale repressivo ed ossessionato dalla sicurezza, né che non siano state commesse in Siria massicce violazioni dei diritti umani, sia da parte delle forze di sicurezza sia da parte degli insorti, così come da parte di una misteriosa “terza forza” che agisce fin dal principio e comprende insorti (euobserver.com/24/32544) che sono per lo più jihadisti, provenienti tra l’altro dall’Iraq e dal Libano, ed in epoca più recente anche dalla Libia. Solo che ad un certo punto le proteste popolari, inizialmente centrate su questioni locali (compreso il caso dei ragazzi torturati a Dera’a dalle forze di sicurezza siriane), sono state dirottate da questo progetto strategico per il regime – change.

Siria: “Mussalaha” (riconciliazione) unica via
di Giovanni Sarubbi (il dialogo, 2 Agosto 2012)

Il “Corriere della Sera” di oggi (2 Agosto) e tutti i TG nazionali hanno dato con grande evidenza la notizia che il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha autorizzato la CIA ad aiutare in Siria i ribelli anti-Assad. I TG, come ha fatto il TG 3, ha indicato anche la cifra di 25 milioni di dollari che il presidente Barack Obama ha stanziato come fondi destinati a tale operazione. La notizia ripresa dal “Corriere della Sera” è stata originariamente data dalla CNN americana, quindi da una fonte non sospettabile di simpatia per il governo siriano.

Questa notizia dice ufficialmente quello che noi e molti altri nel movimento per la pace e contro la guerra sosteniamo da tempo, cioè che in Siria è in corso una guerra per procura, finanziata dagli USA e diretta dalla CIA, con il supporto logistico di Qatar, Arabia Saudita, Turchia che stanno fornendo armi ed uomini ai ribelli. Proprio in questi giorni, fra l’altro, il quotidiano tedesco “Tagesspiegel” riporta la notizia sulla vendita al Qatar, che ha un ruolo determinante nella guerra in Siria, di 400 carri armati Leopard da parte della Germania. Se c’erano legittime aspirazioni di democrazia da parte di alcune componenti della società siriana che si opponevano al governo Assad, queste sono state distrutte e strumentalizzate brutalmente da chi paga mercenari e fornisce armi non certo per amore di libertà o di democrazia ma per impossessarsi di un Paese fondamentale nello scenario medio-orientale e mondiale. Questa notizia dice anche che la sconfitta del Governo siriano è vicina e gli USA vogliono far sapere al mondo chi è il padrone che ha pagato e diretto la guerra e con chi devono trattare la Russia e la Cina, che invero su questo non avevano alcun dubbio. Ci dispiace moltissimo per il popolo siriano e per quanti in buona fede avevano creduto e sostenuto la lotta armata e richiesto l’intervento militare straniero per liberarsi del governo Assad, vendicando magari antichi torti subiti e lunghe sofferenze patite in esilio. La guerra e l’intervento straniero non sono mai la soluzione giusta perché a rimetterci sono sempre i popoli e ad ingrassarsi sono sempre le industrie di armamenti che in Siria, come in altre parti del mondo, oggi stanno facendo lucrosi affari e speculano sulle condotte di guerra. Questa guerra per procura, che ha usato scientificamente tutte le contraddizioni esistenti nella società siriana, sta inoltre distruggendo il più antico e consolidato laboratorio di dialogo inter-religioso esistente da millenni al mondo, attizzando l’odio fra le varie etnie e religioni esistenti (una ventina) che finora vivevano in modo pacifico. Anche perciò siamo addolorati, specie per le tensioni che si stanno verificando, in Siria e non solo, fra cristiani e musulmani (nonché per le strumentalizzazioni che taluni gruppi vanno subendo, come gli alawiti).

Ma questa notizia dice anche che una guerra ad alta intensità su scala regionale nel Medio Oriente è alle porte. La conquista della Siria da parte del gruppo di Paesi facenti capo agli USA, di cui il nostro Paese è vassallo, è una ulteriore base per contrastare l’ascesa economica dei Paesi c.d. BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che con la loro crescita stanno per soppiantare a livello mondiale il potere economico nord-americano profondamente in crisi. Da parte nostra continuiamo a sostenere in Siria l’iniziativa chiamata “Mussalaha” (“riconciliazione”).

Caro Giovanni, la Siria …
di Hamza Roberto Piccardo (il dialogo, 2 Agosto 2012)

Dire che in Siria si sta combattendo una guerra per procura è ingiusto. Va da se che la partita è cruciale per molti attori extra-siriani ma comunque il problema di fondo è che quel regime è ormai insopportabile per la maggioranza della popolazione che sempre più si sta muovendo per abbatterlo e la guerra non è mai e non può mai essere bella e pulita. Nessuna rivoluzione o lotta di liberazione nazionale degli ultimi 50-60 anni (eccetto quella cubana) ha potuto fare a meno di un appoggio esterno, il Vietnam ad esempio, l’Afghanistan etc. Il problema dell’Occidente è d’impedire che il popolo siriano lo possa fare da solo e quindi decidere poi autonomamente del suo destino, forma di Stato e forma di Governo inclusa. Armi e mercenari (magari non tutti gli stranieri presenti sul terreno lo sono, non posso non pensare alla guerra di Spagna e alle Brigate Internazionale che colà combatterono) sicuramente vengono dai Paesi che hai indicato ma non è detto che alla fine siano determinanti. La preoccupazione USA è sempre Israele, quella dei signori del Golfo è sempre contenere (eventualmente distruggere) la minaccia sciita che ha stabilito un asse Iran – Mediterraneo passando per l’Iraq – che gli USA hanno consegnato loro – e Hezbollah – che controllano il Libano e hanno appoggi e legami in Palestina. Aderisco convintamente a “Mussalaha” ma credo che non sia cosa di domani e che ci vorranno molti anni perché possa realizzarsi. Purtroppo i maggiorenti delle minoranze religiose si sono addossati pesanti responsabilità nel sostegno a uno dei peggiori regimi che ha oppresso la stragrande maggioranza del popolo siriano e questo avrà inevitabilmente delle conseguenze. Mi adopero da mesi perché si possano dare a queste minoranze garanzie certe, ma temo che il livello raggiunto dagli scontri renda questo mio (e di altri musulmani europei) auspicio assolutamente inefficace.

Speriamo che il dialogo continui
di Giovanni Sarubbi (il dialogo, 2 Agosto 2012)

Caro Hamza,
converrai con me che gli USA non sono assolutamente impegnati a sostenere gli interessi dei popoli oppressi del mondo ma che al contrario sono i capofila del peggiore imperialismo che sia mai esistito. Sostengono solo il loro “modo di vivere” e difendono solo il loro livello di potenza, di benessere e di consumi. Credo anche che paragonare le Brigate Internazionali spagnole con gli agenti della CIA o i mercenari del Qatar, della Turchia, dell’Arabia Saudita e soci sia quanto meno azzardato. Questo premesso, converrai anche che avere gli USA alleati in quella che molti sostengono essere una lotta di liberazione del popolo siriano da un regime oppressivo pone non pochi interrogativi sulla reale natura di ciò che sta accadendo in Siria e su chi sono effettivamente le forze che stanno promuovendo il cambio di regime che, di fatto, sta già avvenendo sotto i nostri occhi. Io, e non da solo, penso che i siriani stiano quanto meno per passare dalla padella nella brace, come dimostra sia l’esperienza irachena, sia la tragica esperienza libica. Se ci si appoggia ad un regime imperialista come quello americano che in patria e all’estero è il peggio che mente umana possa concepire proprio sui temi dei diritti umani da essi sbandierati (purtroppo non sono mie fantasticherie) che speranza può derivare da ciò per il popolo siriano? Credo nessuna. Sconfiggere un regime, una dittatura ed una oppressione è innanzitutto un fatto politico. Se il governo Assad cadrà sotto i colpi dell’aggressione esterna diretta dalla CIA e appoggiata da Arabia Saudita, Qatar, Turchia, questo dimostra sicuramente la sua poca credibilità politica interna e di non avere quell’appoggio popolare che i suoi sostenitori vantano. Per il popolo siriano sarà comunque un disastro e nulla di positivo sarà costruito in Siria, in Medio Oriente e nel mondo. Solo l’abbandono delle armi può portare benefici al popolo siriano e al mondo intero. Mi auguro si continui questo dialogo per il bene dell’umanità. Ricambio gli abbracci sinceri con grande amicizia.

Resoconto della conversazione telefonica con Padre Michel Naaman di “Mussalaha”
di Marinella Correggia (il dialogo, 20 Luglio 2012)

Non è facile prendere la linea con Homs ma finalmente sono riuscita a parlare con p. Michel Naaman di “Mussalaha”. Su una delle sue azioni, la liberazione di decine di famiglie intrappolate nel centro vecchio di Homs, ho mandato il servizio di una tivù francese (youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=2C46PBC0P5o). Ho sottolineato le parti che risultano dalla mia conversazione telefonica con lui. Come vedete gli ho chiesto cosa pensa di eventuali delegazioni in supporto a “Mussalaha”. Non ne è entusiasta. Non ci crede. Il sostegno deve essere politico (parlarne intanto) e dall’esterno (sensibilizzazione ed azione politica). Padre Michel Naaman, sacerdote siro-cattolico, ex curato della cattedrale di Santo Spirito a Homs, è una delle anime di “Mussalaha”, il movimento informale al quale partecipano religiosi e laici, “anche dei capi tribali che sono venuti a farci visita da altre aree e ci stanno aiutando”. “Mussalaha” cerca di recuperare quella convivenza e solidarietà etnica e religiosa che hanno sempre caratterizzato la Siria e che adesso sembra potersi sgretolare nella frammentazione settaria. Gli incontri di pace a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana, stanca del conflitto, si accompagnano ad azioni di mediazione riuscite. In un servizio della tivù francese TF1 padre Michel Naaman è al lavoro per far uscire dal centro antico di Homs diverse famiglie intrappolate, cristiane e musulmane.

Tratta con l’opposizione che controlla i quartieri e alla fine riesce a ottenere l’OK alla liberazione di decine di persone stremate. Il Governatore della città, intervistato, spiega che la Mezzaluna Rossa siriana varie volte aveva chiesto di entrare, ma i ribelli avevano sempre negato l’accesso e l’evacuazione dei civili, per evitare l’assalto. La Croce Rossa ha confermato di non aver potuto entrare in Old Homs, senza indicare perché (“siamo neutrali”). Al telefono padre Michel Naaman a Homs è cautissimo, non parla di politica e rimane fermamente neutrale: “Una parola in più e qui si rischia la vita”. Ad esempio sui civili dei quali ha ottenuto la liberazione dice che “no, non erano scudi umani, ma, insomma, erano tenuti là dai ribelli a mo’ di protezione…”. Il padre ripete: “Vogliamo che le armi tacciano, per far parlare le persone. Ci lascino costruire la pace!”. Lasciare in pace significa anche non fornire più appoggio in armi dall’esterno? “Ovvio! Qui si soffia sulle polveri. A forza di parlare di guerra civile, di odio etnico, eccoli”. Quanto alle persone, sono in crisi di coscienza, diffidenti, più nessuno si fida di nessuno. Nel quartiere Hamidieh c’erano cinquanta mila cristiani, adesso sono un’ottantina i rimasti. Invece bisogna “aprire il cuore”. Cosa può fare la comunità internazionale per sostenere “Mussalaha”? “L’ONU, gli osservatori, le delegazioni, sono così burocratici. Stanno negli hotel”. Ma delegazioni di società civile? “Finché le armi sparano nessun gruppo internazionale potrà portare la pace. Sono i siriani a dover agire”. Ma un appoggio politico servirà.

L’irlandese Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976 con Betty Williams e leader del movimento “The Peace People” (www.peacepeople.com), ha espresso sostegno a “Mussalaha”. E così padre Gregorio III Laham, patriarca dei greco-melchiti di Damasco, che confida nella lunga storia di convivenza religiosa dei siriani.

Come ha scritto il patriarca, infatti, «la riconciliazione – “Musalaha” – è l’unica “scialuppa di salvataggio” ed è “la missione dei cristiani arabi”. Ma occorre una campagna internazionale a sostegno di questo movimento dal basso».

Siria. Betty Williams, Premio Nobel per la Pace, appoggia il movimento “Mussalaha”
di Marinella Correggia (sibialiria, 28 Giugno 2012)

Come una rosa (di Damasco) sbocciata nel sangue e nelle macerie di un Paese che potrebbe sfasciarsi, ci arriva la notizia vera di un tentativo di riconciliazione dal basso, un’iniziativa civile, popolare e nonviolenta, iniziata addirittura a Homs – città simbolo degli scontri – ma che prevede di espandersi in altre città e villaggi. Per dire no ad una guerra confessionale in Siria e no ad un intervento armato esterno sul genere Libia (e un destino analogo).

Ci stanno lavorando siriane e siriani, laici ma soprattutto appartenenti alle diverse religioni e comunità che, fino al 2011, convivevano in pace. Forse sono un buon riferimento per chi dai nostri Paesi vuole evitare in Siria un copione simile a quello in Libia o a quello che dal 2003 tormenta l’Iraq. Si chiama Mussahala: “riconciliazione” o “conciliazione” in arabo ( ?????? ). Ne riferisce la Radio Vaticana sulla base delle notizie dell’agenzia cattolica “Fides”. Sarebbe un miracolo, in un contesto di scontri sanguinosi fra esercito e gruppi armati, e atroci violenze settarie, che va avanti da mesi, grazie alle determinanti ingerenze di Paesi occidentali e del Golfo. “Mussahala” tiene a essere un tentativo del tutto siriano, senza manipolazioni esterne, improntato alla mediazione e al dialogo.

Ma è utile e sarebbe doveroso appoggiarlo. L’idea di base è: “siamo martoriati da mesi, non vogliamo la guerra e dobbiamo fare la pace”. Come scrive Radio Vaticana e come confermano fonti all’interno della Siria, “Mussahala” è “la dimostrazione, e anche la speranza, di una terza via, alternativa sia al conflitto armato sia ad un possibile intervento militare dall’estero, invocato dal Consiglio Nazionale Siriano”. L’agenzia cattolica “Fides” spiega che “Mussahala” “nasce spontaneamente dal basso, dalla società civile, da tutti quei cittadini, parlamentari, notabili, sacerdoti, membri di tutte le comunità etniche e religiose, che sono stanchi della guerra”. Fra i promotori e i maggiori sostenitori dell’iniziativa vi sono i cristiani di Homs di tutte le confessioni. Si sono esposti personalmente soprattutto due preti greco-cattolici, padre Michel e padre Abdallah, il siro-cattolico padre Iyad, il maronita padre Alaa, il siro-ortodosso padre Khazal. Nei giorni scorsi a Homs si sono svolti due incontri con una straordinaria partecipazione popolare. Membri di tutte le comunità che compongono la società siriana: alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi sono arrivati a dichiarazioni comuni, con abbracci e impegni solenni, per la riconciliazione fra gruppi, famiglie e comunità alawite e sunnite – protagonisti principali del conflitto in corso – che si sono pubblicamente impegnate a “costruire una Siria riconciliata e pacifica”, in nome del rispetto reciproco. “Mussalaha” si appella a tutte le parti in lotta e a tutti i leader in campo per restituire “pace e sicurezza al Paese e alla popolazione”. Il tutto avviene in un clima mediatico intossicato ai massimi livelli e che come già in passato (Libia, Iraq, Jugoslavia) vede i media mainstream e perfino i rapporti dell’ONU (fuori dalla Siria) e di organizzazioni umanitarie (come Amnesty International e Human Rights Watch) riferirsi a “fonti” di parte. Così, i massacri e le violenze vengono invariabilmente attribuiti a una delle due parti, accelerando la costruzione del consenso necessario a un’altra azione militare stile Libia oppure ad accentuare lo scenario di guerra civile e per procura già in atto nel Paese. Il contrario di ciò che occorrerebbe per un vero negoziato di pace e un dialogo nazionale. Mentre l’integralismo religioso e le divisioni settarie giocano un ruolo di propulsore nella tragedia siriana, ecco che altri gruppi religiosi operano per la pace. Occorrerebbe sostenerli, specie in Italia, fronteggiando le dichiarazioni bellicose del Ministro degli Esteri Terzi (che ha definito, il 15 Agosto 2012, “necessità improrogabile” «una assunzione di responsabilità della comunità internazionale per accelerare l’avvio di un processo di transizione politica in Siria»: www.esteri.it). E il coro assordante dei media e dei nuovi media. Qualcuno oserà boicottare anche “Mussalaha”?

Intanto, nuovi incontri e iniziative per il movimento popolare interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”), che propone una “riconciliazione dal basso” a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana, stanca del conflitto. Mentre il Paese è dilaniato dal conflitto, iniziative e incontri di pace si stanno moltiplicando, nascendo in modo del tutto spontaneo e indipendente: nei giorni scorsi un nuovo incontro che ha visto coinvolti leader civili, leader religiosi moderati, cristiani e musulmani, leader tribali, cittadini sunniti e alawiti del mosaico che compone la società siriana, si è tenuto a Deir Ezzor, nella provincia di Djazirah. Il movimento intende dire no alla guerra civile e rimarca che “non si può continuare con un bilancio che si attesta fra 40 e 100 vittime al giorno. La nazione viene dissanguata, perde i giovani e le sue forze migliori”. Per questo urge una iniziativa nuova che viene da persone “che desiderano una vita dignitosa, rifiutano la violenza settaria e il conflitto confessionale, le contrapposizioni ideologiche e politiche precostituite”. In molte città siriane, dove da un lato vi sono scontri e vittime “crescono gesti di amicizia e di riconciliazione, offerti da leader civili moderati verso rappresentanti di comunità considerate ostili (accade fra alawiti e sunniti), nello spirito di garantire sicurezza, diritto e pace grazie alla società civile”. Il movimento spera di trovare un riferimento istituzionale nel Ministro per la Riconciliazione, il socialista Ali Haider, nominato nel nuovo esecutivo e proveniente dal partito di opposizione “People’s Will Party”. Ma intanto sta trovando sostegno anche all’estero: l’irlandese Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976 con Betty Williams e leader del movimento “The Peace People”, in un comunicato inviato a “Fides” dice “No alla guerra in Siria” e afferma: “Dobbiamo metterci nei panni del popolo siriano e trovare vie pacifiche per fermare questa folle corsa verso una guerra che le madri, i padri e figli della Siria non vogliono e non meritano”. Il testo aggiunge: “Urge sostenere quanti lavorano per la pace in Siria e che cercano un modo di aiutare i 22 milioni di siriani a risolvere il loro conflitto, senza promuovere il caos o la violenza”. La Premio Nobel invita le Nazioni Unite a “essere un forum dove tali voci siriane siano ascoltate”, le voci di “persone che hanno lavorato per l’idea della Siria come paese laico, pacifico e moderno”. Anche Papa Benedetto XVI ha detto che chiede a Dio “la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, mediante la riconciliazione, per una soluzione politica”. (Cfr. www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39402&lan=ita).

“Continuare a cercare una soluzione politica” dicono fonti da Aleppo dopo la rinuncia di Annan

«Abbiamo paura che si ripeta quello che è successo a Homs quando la gente si è rifugiata nei quartieri abitati dai cristiani, che sono a loro volta diventati il campo di battaglia tra le due parti. Questo ci preoccupa anche se occorre dire che al momento i quartieri cristiani sono calmi», dicono a “Fides” fonti locali da Aleppo, dove si fronteggiano truppe governative e quelle dell’Esercito Libero Siriano. “Vediamo che vi sono preparativi dappertutto per continuare la battaglia per il controllo di Aleppo. Non si sa cosa potrà capitare nelle prossime 48 ore”, aggiungono le fonti. Le varie comunità cristiane (cattolici, ortodossi e protestanti) hanno creato un ufficio di coordinamento per aiutarsi a vicenda. “Chiediamo le preghiere di tutti e lanciamo un appello agli Stati europei se sono veramente interessati ad aiutare il popolo siriano, a fare pressione su coloro che istigano alla guerra e a spingere le due parti al dialogo.

Pensiamo che il dialogo sia ancora possibile, ma abbiamo bisogno di raggiungere subito una soluzione perché le conseguenze per la popolazione siano meno dannose” aggiungono. Sul piano diplomatico, l’ex Segretario Generale ONU, Kofi Annan, ha rinunciato al suo incarico di mediatore nella crisi siriana per conto delle Nazioni Unite e della Lega Araba, dopo cinque mesi di tentativi infruttuosi per trovare una soluzione politica. “Avevamo sperato molto nella missione di Annan, e continuiamo a sperare in una via di uscita onorevole per entrambe le parti. Se si vuole aiutare veramente il popolo siriano l’unica soluzione è quella politica, la guerra non porta da nessuna parte”.

Siria: la lotta armata, una trappola. Risposta alla “Lettera Aperta” sulla Siria
di Patrick Boylan (peace link, 11 Agosto 2012)

Nel suo “Altro Editoriale” su “peacelink” del 25 Luglio, Enrico De Angelis ipotizza, con un’angoscia che si legge tra le righe, l’esito più probabile di una caduta del regime siriano di Bashar al-Assad qualora, nonostante i massicci aiuti militari russi, egli fosse inaspettatamente sconfitto sul campo. Questo esito sarebbe la presa del potere – non da parte dei giovani “rivoluzionari” siriani che lottano da 15 mesi contro il regime – ma da parte di quelle forze militari, molte delle quali armate e stipendiate dall’estero, che operano in Siria palesemente da ben 13 mesi (dunque quasi sin dall’inizio della rivolta) e clandestinamente da anni. Se vincono, addio rivoluzione. Tra queste forze militari d’opposizione, la principale è il c.d. Esercito Libero Siriano, l’ESL, il cui scopo, secondo Wikipedia, sarebbe quello di “proteggere i civili”. In realtà, come dimostrano in questi giorni gli assalti a Damasco e Aleppo, dove i civili non hanno nessun bisogno di “protezione”, il vero scopo è un altro: … conquistare il potere in Siria.

Per conto di chi?

Oltre ai disertori dalle forze militari governative, l’ESL conta un gran numero di reclute libiche, pakistane, etc. fatte venire in Siria… dalla CIA. L’ESL è diretto – ufficialmente – da un colonnello siriano disertore, ma, in pratica, da un centro Command and Control turco-saudita in Turchia che risponde… alla CIA. Negli scontri importanti sul terreno, gli ordini ai guerriglieri dell’ESL vengono dati dai commando britannici e francesi infiltrati in Siria d’intesa con… la CIA. (Non ci sono commando USA perché, in un anno elettorale, Barack Obama ha preferito l’outsourcing al rischio di perdere vite americane). Ovviamente le dinamiche nell’ESL sono molto più complesse di quanto esposto qui – basta pensare alla frammentazione dei gruppi armati o alle lotte per il potere da parte dei Fratelli Musulmani. Ma è scontato che, durante le eventuali trattative per un governo transitorio “dopo Assad”, l’ESL parlerà per Washington. Ecco perché se vince l’ESL, addio rivoluzione. In pratica, dunque, si annuncia per la rivolta in Siria lo stesso esito delle rivolte in Libia, in Egitto e, in parte, in Tunisia. In questi tre Paesi, i giovani “rivoluzionari”, dopo aver sacrificato le loro vite (1000 i morti in Piazza Tahrir), sono stati subito emarginati dal potere. Ad esempio, in Egitto e in Libia a contendersi le elezioni presidenziali sono stati non un rappresentante della “rivoluzione”, ma un esponente del vecchio regime, appoggiato da Washington, ed un esponente dei Fratelli Musulmani, appoggiato da Washington anche lui (i Fratelli Musulmani sono infatti il nuovo gendarme occidentale in Medio Oriente). “Quale che sia l’esito, abbiamo vinto noi!”, ha esultato Hillary Clinton prima del voto. E difatti subito dopo le elezioni, sia la Libia (vittoria del vecchio regime) sia l’Egitto (vittoria dei Fratelli Musulmani) hanno confermato la loro lealtà occidentale. I veri perdenti sono stati i “rivoluzionari”, ma per loro neanche una lacrima da parte dei media occidentali che tanto li avevano osannati quando servivano come carne da macello per giustificare il regime change che l’Occidente stava meditando da tempo. Ora si profila lo stesso esito in Siria. Ecco perché “peacelink” ha ribadito che è stato un errore anche politico, da parte dei “rivoluzionari” siriani, trasformare le proteste pacifiche iniziali in lotta armata. Se parlano le armi, vince non chi ha più ragione, ma chi ha più forza.

“Ma – si obietterà – il ricorso alle armi era necessario per proteggere i manifestanti!” Non è vero.

Infatti, per “proteggere i manifestanti” bastava non manifestare, ricorrendo invece alla lotta clandestina, come hanno fatto i giovani anti-fascisti italiani quando si sono trovati sotto il tallone nazista. Nell’Italia del dopo 1943 non si protestava in piazza per mandar via le truppe naziste, sparandogli addosso “per proteggere i manifestanti”: farlo sarebbe stato innescare una strage e basta! Come si è visto in Siria. Ma questo errore i giovani siriani l’hanno commesso, anche perché incitato a commetterlo dalla quinta colonna americana operante in Siria dal 2006, dalla TV siriana della CIA e dall’ambasciatore americano Ford che si è recato personalmente a Homs per incoraggiare i rivoltosi. E dai mass media occidentali. E dai blog di tanti giovani occidentali, entusiasti della “rivoluzione”. E in particolare dagli arabisti occidentali che, attraverso chat, Twitter e Skype, hanno espresso solidarietà ai loro amici siriani che inneggiavano alla lotta armata. C’è chi ha incitato alla lotta armata di proposito: 1. per provocare dei massacri da dare in pasto ai media, così da giustificare un intervento esterno stile Libia oppure, fallendo il tentativo per via dei ripetuti veti russi e cinesi all’ONU, 2. per trasformare le proteste iniziali in guerra civile così da far vincere un ESL piglia-tutto. Ma c’è anche chi vi si è prestato ingenuamente perché imbevuto del mito romantico della “rivoluzione popolare armata”. Questi ultimi dovrebbero ora farsi un bell’esame di coscienza. Infatti, basta uno studio storico spassionato, anche sommario, per sfatare il mito romantico della “rivoluzione popolare armata” tanto caro agli adolescenti di tutte le età. I regimi dittatoriali possono solo raramente, in determinate congiunture storiche, essere abbattuti con le armi per lasciare poi posto alla democrazia. In tutti gli altri casi, invece, le rivoluzioni armate portano solo a nuove forme di repressione: o da parte dello Stato autoritario, per difendersi o, se cade, da parte degli stessi “liberatori”. Infatti, la Rivoluzione (armata) Francese ha portato non alla democrazia oltralpe bensì a due dittature (Robespierre e Napoleone) e infine al ritorno del re (Luigi XVIII): è stato quindi un fallimento totale. I francesi si sono liberati definitivamente dai Re per instaurare la democrazia solo un secolo dopo, nella seconda metà dell’800, attraverso lotte pacifiche e quasi senza sparare un colpo. La Rivoluzione (armata) Russa ha portato anch’essa ad un capovolgimento del sistema politico (dal feudalesimo proto-capitalista al socialismo) e, finché rimaneva in vita Lenin, la dittatura del proletariato era davvero del proletariato, quindi sostanzialmente (se non formalmente) democratica; ma con Stalin lo Stato è ridiventato “zarista”: non si cambia la cultura di un popolo con un semplice assalto al Palazzo d’Inverno. Due rivoluzioni, dunque, che sono servite a risvegliare sì le coscienze ma, solo in parte, a rovesciare i reali rapporti di forza tra classi sociali.

Antonio Gramsci, studiando come i francesi e i russi hanno spodestato i loro regimi monarchici-dittatoriali e con quali esiti, ha teorizzato un metodo più lento ma più sicuro di presa del potere sotto una dittatura. Invece di fare una “guerra di movimento” (con l’uso delle armi e assalti al Palazzo), gli oppressi, scrive Gramsci, dovrebbero fare una “guerra di posizione” (niente assalti, devono ergere una contro-cultura egemonica che mini il regime autoritario e vaccini contro i ritorni di autoritarismo). Molti Paesi latino-americani hanno seguito gli insegnamenti di Gramsci – l’autore italiano più tradotto e più letto in questi Paesi – per instaurare società democratiche e (in parte) socialiste: Bolivia, Ecuador, Argentina e altri. Tutti questi Paesi avevano dittature più o meno mascherate: quella argentina era così spietata che ha dato al mondo la parola “desaparecidos”. Ma i boliviani, gli ecuadoregni, gli argentini e gli altri hanno saputo rovesciare i loro dittatori senza ricorrere alle armi. E oggi hanno economie fiorenti e società progressiste. Certo, la storia cubana e quella statunitense delle origini dimostrano che una società con aspirazioni progressiste può nascere anche da una rivoluzione fatta con le armi: ma solo in congiunture storiche molto particolari e quindi estremamente rare. Dunque il ricorso alle armi da parte dei giovani siriani “rivoluzionari” non era né necessario né avveduto ed è stato senz’altro “un fatto negativo”. Ovviamente il regime “non sarebbe mai caduto solo attraverso le manifestazioni”, ma sollevare una simile obiezione è pretestuoso: nessuno sostiene che bastino le manifestazioni! Occorre, come si è appena detto, fare una “guerra di posizione” gramsciana, un lavoro meticoloso di costruzione di nuovi blocchi sociali e di nuove egemonie culturali – di cui i giovani siriani, impazienti, evidentemente non hanno voluto sapere. Con i risultati che vediamo.

Ed ora?

Cosa possiamo fare ora, noi osservatori occidentali della crisi siriana, per essere di aiuto ai siriani impegnati a promuovere la pace e la giustizia nel loro Paese? Anzitutto possiamo assecondare, pubblicizzandole, quelle iniziative in Siria che puntano sulla ricomposizione sociale anziché sulla guerra civile, come il movimento “Mussalaha”. In Italia possiamo promuovere incontri tra i protagonisti siriani nonviolenti, come quello della Comunità S. Egidio (santegidio.org/pageID/3/langID/it/itemID/5387/Siria_appello_per_una_soluzione_politica_della_crisi.html). Infine, possiamo denunciare le carenze dei reportage in TV sulla Siria, tutti faziosi e interventisti. Come? Fornendo articoli di contro-informazione a siti come peacelink e, tramite i blog, documentando le bufale nei reportage e soprattutto le colpevoli omissioni. Infatti, per anni i mass media istituzionali hanno taciuto quanto stava succedendo in Siria, lasciando agire nell’ombra la CIA e lo State Department. Oggi i media parlano della Siria ma focalizzano l’attenzione sulla superficie del conflitto attuale (“un popolo oppresso che lotta contro un dittatore spietato”), oscurando la guerra per procura tra gli Stati Uniti e la Russia che cova sotto (quanti sanno del duello virtuale tra le portaerei dei due Paesi avvenuto sulle coste siriane il Dicembre 2011?) e, soprattutto, oscurando la guerra al popolo siriano che l’allora Presidente americano Bush ha dichiarato nel 2005, finanziando una quinta colonna insurrezionale in Siria e inviando, nel Paese levantino, degli squadroni della morte sauditi. Guerra che il suo successore Obama prosegue oggi, smistando armi pesanti tra le forze ESL e, per consentire loro di conquistare il potere, sabotando i tentativi di Kofi Annan di negoziare una tregua. Quindi bisogna denunciare la faziosità dei media istituzionali e in particolare la loro copertura compiacente degli attori occulti del conflitto siriano. Il cast di attori è sterminato: russi, iraniani, cinesi, israeliani, qatarioti, italiani (Finmeccanica) etc. Ma spiccano sopra tutti gli USA, che fomentano l’insurrezione in Siria da ben sette anni (prima solo per tenere Assad in scacco, ora per impossessarsi del Paese). Per questo la Rete NoWar ha svolto martedì 31 Agosto 2012 una manifestazione davanti all’ambasciata degli Stati Uniti a Roma per dire allo Zio Sam: “Ti abbiamo scovato! Basta con l’acuire la guerra civile! Basta con le armi dall’estero! Basta con il silurare i negoziati! Sì al piano di pace di Kofi Annan!”.

Kofi Annan si arrende: pace impossibile
di Alberto Negri (Il Sole – 24 Ore, 3 Agosto 2012)

Kofi Annan, inviato dell’ONU e della Lega Araba in Siria, si è dimesso da un incarico che era già morto con il fallimento del suo piano di pace che non è stato attuato, a partire dal cessate il fuoco, neppure per un giorno. Un fiasco dell’ ex Segretario Generale, che si accompagna alla liquidazione della missione degli osservatori ONU, che fanno le valigie mentre intorno ad Aleppo infuria la battaglia decisiva. Il Segretario Generale Ban Ki-Moon, esprimendo «gratitudine» per gli sforzi di Annan e «rammarico» per la sua rinuncia, ha annunciato che sono in corso consultazioni con il capo della Lega Araba Nabi al Araby per nominare un sostituto. Per fare che cosa, non si capisce, se non trovare un qualunque figurante che garantisca una presenza ONU sulla scena di una guerra civile che nessuno vuole fermare. Che anzi viene continuamente alimentata dagli sponsor degli insorti e da quelli del Governo. Questo è un “conflitto per procura” che si prepara a sconvolgere le carte medio-orientali, come ha dimostrato la visita a sorpresa del Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu a Kirkuk, centro petrolifero conteso tra il governo del Kurdistan Iracheno e quello centrale di Baghdad. È alta tensione tra Turchia e Iraq, che giudica la mossa di Ankara una «provocazione». I turchi cercano inedite alleanze coi curdi iracheni e siriani, sostenuti da Erbil, per frenare le simpatie curdo-siriane nei confronti della guerriglia del PKK e hanno avviato nuove manovre militari ai confini con la Siria. In questo scenario, Kofi Annan non poteva che dimettersi. In una conversazione di poche settimana fa aveva detto impossibile raggiungere una tregua: «Circolano troppe armi per convincere le parti a rinunciare alla guerra». Quello che continua a stupire, fino a un certo punto, della diplomazia internazionale è l’ipocrisia persistente che circonda la questione siriana: ci siamo già dimenticati di quanto è accaduto a Ginevra. Il 7 Luglio i membri del Consiglio di Sicurezza avevano dato il loro assenso a un accordo, annunciato dallo stesso Annan, per un piano di transizione in sei punti che includeva il cessate il fuoco, il tavolo negoziale e «un governo di unità nazionale con esponenti del Governo, dell’opposizione e di altri gruppi». Il documento non faceva cenno al destino di Assad ma pochi minuti dopo averlo approvato il Segretario di Stato americano Hillary Clinton dichiarava che Assad aveva i giorni contati. Un ottimo metodo per avviare un negoziato. Washington non ha fatto altro che sabotare la mediazione di Annan, approvando aiuti ai ribelli e sostenendo le posizioni di Turchia, Qatar e Arabia Saudita. In quelle ore a Damasco si combatteva e l’esercito stava facendo terra bruciata nel quartiere di Douma dove si innalzavano colonne di fumo: neppure i lealisti mostravano la minima intenzione di volere inviare un segnale di disponibilità. Il piano Annan si è esaurito ancora prima che l’inchiostro si asciugasse sulla dichiarazione di Ginevra. Dopo sono arrivati i veti di Russia e Cina alle risoluzioni ONU che condannavano il Governo mentre il mandato degli osservatori era rinnovato soltanto per un mese, il tempo di smobilitarli. Annan è stato lasciato solo con il suo piano, naufragato – come ha dichiarato – «a causa della militarizzazione dell’opposizione e delle divisioni della comunità internazionale». Di seguito un’agenzia Reuters.

Le forze armate del governo siriano, le milizie filo-governative note come shabiha, ma anche i ribelli anti-regime, hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità sui civili siriani. È quanto ha concluso una commissione nominata dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, secondo cui il governo e le milizie hanno ucciso oltre cento civili, di cui quasi metà bambini, nel villaggio di Houla a Maggio. Intanto le violenze nel Paese non si fermano. In serata i caccia dell’esercito di Damasco hanno bombardato la città di Azaz in mano ai ribelli, vicino ad Aleppo, uccidendo almeno 23 persone, tra cui un bambino, e ferendone oltre duecento, secondo quanto riferisce l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. Il raid ha danneggiato molti edifici e diversi feriti sono stati portati in auto al confine siriano, a 6,5 chilometri a nord. Gli omicidi, le torture, le violenze sessuali e gli attacchi indiscriminati, si legge nel rapporto della commissione diffuso il 15 Agosto 2012, di oltre 100 pagine, “indicano il coinvolgimento ai più alti livelli delle forze armate, delle forze di sicurezza e del Governo”. La commissione indica però che anche i gruppi armati anti-governativi hanno commesso crimini di guerra, tra cui omicidi, assassinii extra-giudiziali e torture, ma su minore scala. Da quando è scoppiata, scrive ancora la commissione, la crisi si è trasformata in una guerra civile che coinvolge “tattiche più brutali e nuove capacità militari da entrambe le parti”. Per condurre l’indagine, la commissione ha coperto un periodo compreso tra il 15 Febbraio e il 20 Luglio, effettuando interviste sul campo e a Ginevra con rifugiati siriani fuggiti dalle violenze. In tutto la commissione ha condotto 1.062 interviste, ma ha sottolineato la difficoltà di portare avanti le indagini. Il gruppo è stato guidato dal diplomatico brasiliano Paulo Sergio Pinheiro e includeva anche Karen Koning Abu Zayd, cittadina statunitense ed ex capo dell’UNRWA, l’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. Il rapporto, le cui conclusioni sul massacro di Houla sono più complete rispetto alle precedenti indagini, potrebbe essere utilizzato dalle potenze mondiali per giustificare un’azione contro la Siria o per rafforzare le richieste di un’indagine internazionale e azioni legali per crimini di guerra e contro l’umanità. È la prima volta che la commissione del Consiglio per i Diritti Umani utilizza l’espressione “crimini di guerra” nelle sue conclusioni. E questo è stato possibile anche dopo la valutazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che a Luglio aveva fatto sapere di considerare il conflitto in Siria come una guerra civile in piena regola. Nel frattempo, il diplomatico algerino Lakhdar Brahimi ha accettato di assumere l’incarico di nuovo mediatore dopo il forfait di Annan, chiedendo ” sostegno” dal Consiglio di Sicurezza. (Cfr. it.reuters.com/article/topNews/idITMIE87G00A20120817 e in generale search.it.reuters.com/query/?q=Siria&s=IT).

“Siano Benedetti i Costruttori di Pace”
di Gregorio III, Patriarca di Antiochia (Patriarcato Greco-Melchita, 3 Agosto 2012)

Con queste parole il Signore esalta gli operatori di pace, dicendo che “essi saranno chiamati figli di Dio”. (Matteo 5: 9). Attraverso queste parole del Vangelo, vorrei spiegare l’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle voci sempre più diffuse sui cristiani in armi, soprattutto a Damasco:

1. Nessun funzionario ci ha parlato o ci ha contattati circa il fatto che i cristiani prendano le armi.
2. Non abbiamo mai contattato alcun funzionario e non abbiamo mai chiesto di essere armati o di prendere le armi per la difesa dei nostri bambini, a Damasco o in qualunque altra parte del Paese.
3. Non abbiamo mai preso in considerazione – e non lo faremo mai – l’ipotesi di prendere le armi noi stessi.
4. Inoltre, riteniamo che il tentativo di armare cristiani, da qualunque parte provenga o sia tentato, comporta un rischio di conflitto settario ed espone quartieri prevalentemente cristiani ad attacchi di origine sconosciuta.
5. Facciamo appello a tutti i fedeli, in tutte le parrocchie, di rifiutare le offerte di armi. Ricordiamo loro gli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo, “Quelli che mettono mano alla spada periranno di spada” (Mt. 26: 52) E: “Beati i miti perché erediteranno la terra. Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. (Mt. 5: 5 – 9).
6. Ricordiamo loro altresì gli insegnamenti di S. Paolo: “Se fosse possibile, per quanto giace in voi, vivete in pace con tutti gli uomini”. (Romani 12: 18). Il nostro ruolo di cristiani è quello della mediazione, della riconciliazione e della pace: di essere costruttori di ponti tra i figli della stessa patria. Questa è la missione più bella che abbiamo potuto svolgere per il nostro Paese, la Siria, per il nostro fratello e la nostra sorella, in Siria, concittadini di tutte le denominazioni, a prescindere dal partito politico, dall’origine etnica, la tribù, la regione o la convinzione politica.
7. Non abbiamo smesso di rivendicare questa posizione, a partire dallo scoppio della crisi nel Marzo 2011. Questo è il ruolo della Chiesa e dei suoi pastori – Patriarchi, Vescovi, Preti – monaci, monache e laici, persone coinvolte in vari settori di attività e servizi della Chiesa. Le nostre chiese, scuole, istituzioni e confraternite sono tutte scuole di pace, fede, virtù, amore e sinceri compagni di cittadinanza, di convivenza e di rispetto per tutti.
8. Ricordo ancora un detto del Patriarca Atenagora, fine ecumenico di Costantinopoli: “Non ho più paura, perché ho messo giù le mie armi!”

Il Signore ci chiama nel Vangelo, “Sono io, non abbiate paura!” (Mt. 14: 27; Mc. 6: 50; Gv. 6: 20) E ancora: “Siate di buon animo, io ho vinto il mondo!”. (Gv. 16: 33) e Giovanni ci dice: “Questa è la vittoria che vince il mondo, anche la nostra fede”. (1 Gv. 5, 4) Si aggiunga: la fede nei nostri fratelli, la nostra patria e i nostri sinceri, umani, valori nazionali. Noi preghiamo affinché Dio si degni di riportare l’amore per i cuori di tutti i siriani, in modo che essi non abbiano bisogno di armi o abbiano paura di massacri, perché sapranno vivere insieme, figli della stessa famiglia e della stessa patria. Noi lo imploriamo: Dio della pace, dona la pace nel nostro Paese. I cattolici hanno iniziato il 1° Agosto il digiuno per la dormizione della Vergine fino al 15 Agosto. Esso coincide in parte col Ramadan (20 Luglio – 18 Agosto). Le funzioni religiose e i momenti di astinenza si tengono in contemporanea nelle chiese e nelle moschee. Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia, invita cristiani e musulmani a usare il periodo per ritrovare i valori della carità, dialogo e riconciliazione (pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Blessed-are-the-peacemakers).

Appello del Patriarca: «La riconciliazione – “Mussalaha” – è l’unica “scialuppa di salvataggio” e la missione dei cristiani arabi».
di Marinella Correggia (sibialiria, 2 Settembre 2012)

Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia, ha inviato una lettera “a tutte le persone di buona volontà nel mondo”, “a tutte le chiese del mondo” e a tutti i Governi delle nazioni affinché aiutino il dialogo, la riconciliazione, l’incontro nella martoriata Siria. È’ “il cammino più difficile ma l’unico ragionevole. La Chiesa in Siria è chiamata al ministero della riconciliazione civile e sociale, “Mussalaha”, con tutti i mezzi disponibili”. E il patriarca chiede aiuto per questa impresa: …”Occorre una campagna internazionale per realizzare la riconciliazione in Siria. Se tutto il mondo chiedesse con una sola voce e ogni giorno la riconciliazione, tutto cambierebbe”. E’ indispensabile, perché la riconciliazione è “l’unica scialuppa di salvataggio per la Siria”. Alle chiese del mondo e ai religiosi il patriarca chiede che si facciano portatori di “Mussalaha” presso le diverse istituzioni governative quanto presso i fedeli. Ai cristiani siriani il patriarca chiede di “non emigrare: il ritorno sarà più difficile e anche i Paesi di accoglienza non saranno disponibili a lungo. Faremo il possibile per assistere i bisognosi e gli sfollati”. A loro volta, impegnandosi in ogni luogo della Siria, con ogni interlocutore possibile, i cristiani arabi compiranno una grande missione rispetto al loro Paese. La loro missione è invitare tutti al dialogo”. A tutti i siriani, il patriarca comunica la grande speranza che “insieme i siriani, tutti sofferenti in questa situazione tragica, troveranno un’altra strada rispetto alla violenza, alle armi e alla distruzione, perché nella violenza non ci sono vincitori ma solo perdenti. Ripeto il mio appello, fondato su un’esortazione del Corano: «Arriviamo a un linguaggio comune fra noi e voi» (Aal Imran 3:64) e su una del Vangelo: «Beati i costruttori di pace» (Matteo 5:9)”. Il patriarca si appella al mondo: “Speriamo che il nostro messaggio sia ricevuto dai re, dagli emiri e dai presidenti arabi e dai capi di tutte le nazioni del mondo, in America del Nord e del Sud, in Europa Occidentale ed Orientale, in Asia, in Africa ed Australia. E da tutte le chiese e le comunità cristiane, dalle organizzazioni non governative e dagli intellettuali, dai costruttori di pace, dai Premi Nobel per la Pace”. Gregorio III precisa che “sul campo, in Siria, è attivo il ministero della riconciliazione. E d’altro canto, ci sono gruppi all’opera, formati da capi tribù, persone influenti, che sta avendo successo nella soluzione dei conflitti in diverse località, operando per ristabilire la pace. Chiediamo ai nostri amici di sostenere il lavoro di questi gruppi e della Chiesa di Siria che si consacra a questo compito di riconciliazione”. Per questo “ministero di riconciliazione” il patriarca si dice disposto a offrire la vita. Il patriarca è originario di Daraya dove nei giorni scorsi si sono susseguiti violenti scontri, con molte vittime; egli ha invitato alla riconciliazione anche “le sorelle e i fratelli di Daraya”, là dove è cresciuto in un clima di grande concordia fra cristiani e musulmani, e dove adesso i cristiani sono stati presi di mira “da alcune fazioni degli insorgenti, alcuni dei quali arrivati da fuori e affiliati con organizzazioni terroriste”. Con queste e con chi le sostiene, la riconciliazione appare ardua come scalare le montagne. Ma “Mussalaha” sta andando avanti. È uno sforzo comunitario, un’iniziativa nonviolenta nata a Homs, centro di scontri fra l’esercito siriano e i gruppi armati. Coinvolge membri delle comunità etniche e religiose stanche della guerra. Si propone come “terza via” alternativa al conflitto armato e vuole scongiurare anche un intervento armato dall’esterno (anche se quello indiretto c’è già da tempo). Dice “no” alla prosecuzione delle violenze, “no” alla guerra civile e “no” alle violenze settarie. Ci sarebbe (stato) un ruolo per gli stessi osservatori dell’ONU, avevano iniziato un processo per arrivare a livello locale a dei micro – cessate il fuoco “dal basso” in alcune località, con una sorta di processi diplomatici guidati fra responsabili locali dell’esercito e dei gruppi armati dell’opposizione. Nella città di Deir ez-Zor, per un po’ queste tregue dal basso hanno funzionato.

In effetti, suggeriva la TV russa RT, il mandato degli osservatori sarebbe dovuto spostarsi dal semplice monitoraggio di un cessate il fuoco nazionale – che non c’è – al favorire piccole tregue locali in grado poi di espandersi, partendo dal basso. Quindi, processi negoziali su piccola scala, comunità, villaggi, città. La cosa migliore che la comunità internazionale possa fare sarebbe sollecitare l’ONU a giocare questo ruolo anziché essere la foglia di fico del multilateralismo per coprire decisioni unilaterali di potenze esterne. “Mussalaha” conta sull’appoggio, fra gli altri, di Mairead Maguire, irlandese, Premio Nobel per la Pace: “Dobbiamo sostenere con urgenza chi lavora per la pace in Siria e per aiutare i 22 milioni di siriani a risolvere pacificamente il conflitto, anziché promuovere la violenza”. Madre Agnès-Mariam de la Croix, superiora palestinese-libanese del monastero Der Mar Yacoub a Qara (Siria), impegnata nel movimento “Mussalaha”, ha incontrato nei giorni scorsi la Premio Nobel irlandese proprio per esplorare la possibilità di una delegazione internazionale in sostegno politico al movimento di riconciliazione.

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“Un S.O.S. dalla maggioranza silenziosa e pacifista della Siria”

di P. Daniel Maes o.p. Mar Yakub Qâra, Qara, Siria (Testimonianza di Daniel Maes, 27 Agosto 2012)

I nostri media di solito raccontano una rivolta pacifica della popolazione siriana repressa in modo sempre più sanguinoso da parte del regime, che la comunità internazionale intende far pressione sul regime e sull’opposizione perché fermino lo spargimento di sangue e sulla Russia e sulla Cina perché inducano questo regime sanguinario a rinunciare. Il parere generale, confezionato sulla base di mezze verità e bugie, non solo mette in pericolo, sulla base di ciò che sta realmente accadendo in Siria, quanti operano per la conservazione di questo Paese, ma inoltre accende e provoca ancora di più lo spargimento di sangue. Gli interventi stranieri non sono la soluzione, ma sono la causa della violenza. La gente vuole la pace. Sostenete “Mussalaha” o “riconciliazione”.

Una rivolta pacifica? Si può osservare l’inizio della rivolta nel nostro villaggio di Qara, con i suoi 25.000 sunniti e quasi 500 cristiani. Siamo stati ospiti regolari presso il nostro collega Georges Abouna, il sacerdote bizantino, e sono stati accolti calorosamente da famiglie cristiane e altrettanto da famiglie musulmane. Abbiamo apprezzato la forte tradizione di libertà, di uguaglianza e di convivenza e la convivenza pacifica con il popolo siriano è stato un modello. La violenza e il furto non abitano qui, non c’erano poveri e c’era abbastanza ricchezza quasi per tutti.

Ogni donna e ogni ragazza poteva andare vestita come voleva. Uomini e donne di qualsiasi gruppo etnico, nazionale o religioso, possono occupare tutti i posti nella sfera pubblica. La Siria ha dato a quasi due milioni di rifugiati una casa accogliente e l’uguaglianza di fronte alla legge e allo Stato, quale non esiste in nessun’altra parte del mondo arabo. E la vita della popolazione siriana è passata da 56 anni (nel 1970) a 72 anni (nel 2006). Chi ha interesse a che si verifichi l’interruzione di quanto è stato realizzato nel Paese? Improvvisamente, radicalmente, è cambiata la società. Il Grande Inquisitore dei Fratelli Musulmani Muhammad Al-Ryad Shaqfa ha chiamato dagli Emirati Arabi Uniti e dallo Yemen i musulmani di tutto il mondo per combattere contro la Siria. Ha urlato perché si realizzasse un intervento militare dall’esterno. Da Qara partivano – dall’Aprile 2011 – tutti i Venerdì sera i giovani alla moschea (un tempio pagano, dopo la Chiesa di S. Nicola) per manifestare contro il Governo e il Presidente con manifestazioni e cortei guidati da sconosciuti. Come sobillatori nei nostri villaggi, nessuno li voleva veramente o aveva intenzione di sostenerli, in quanto questo gruppo non è stato supportato da nessuno del villaggio. Tuttavia, questo gruppo è cresciuto. È venuto per provocare un incendio doloso e la violenza armata. Il sacerdote è stato aggredito, derubato e costretto sfuggire ad uno strangolamento da parte di uomini mascherati con uno strano accento. E per noi non era più una piacevole visita a Qara. Amici ci hanno detto che in altri luoghi è andata più o meno nello stesso modo. Una “opposizione” organizzata aveva manifestato quando e dove i negozi stavano chiudendo. A Homs e Quosseir erano figli di famiglie cristiane o musulmani moderati a essere minacciati e persino uccisi a causa di una manifestazione anti-governativa cui si erano rifiutati di partecipare. Se la popolazione di Aleppo ha detto che l’arcivescovo Jean Bart, nell’Agosto 2012, si era messo contro queste bande e aveva aiutato blandamente l’esercito, la città era presa il giorno dopo. Ciò non ha nulla a che fare con un’”insurrezione pacifica”.

Chi è questa “opposizione”? Fin dall’inizio ci sono stati molti gruppi di opposizione con i loro leader. Il CNCCD (Comité National de Coordination pour le Changement Démocratique) è il più antico e molto diviso. Vuole prendere lo Stato ma non vuole nessun intervento straniero. Il gruppo di opposizione più moderato comprende il Partito Nazionale Siriano, il Partito di Iniziativa Curda, il Partito Comunista Siriano (quello all’opposizione) e molti altri.

Vogliono un dialogo con il Governo e rifiutano qualsiasi intervento straniero. Il terzo gruppo di opposizione è il gruppo di opposizione all’estero, il cui asse è il CNS (Conseil National Syrien), dominato dai Fratelli Musulmani (diretto da Washington, Londra, Bruxelles). Questi estremisti religiosi indicano il dialogo civile e le riforme democratiche, ma chiedendo una jihad armata in Siria per riportare il Paese ad un rigoroso islamismo. Il CNS continuerà a porsi come rappresentante ufficiale della “Siria”, ma è in realtà una vergogna per la popolazione.

Gode del sostegno di USA, Inghilterra, Francia, Turchia, milizie libanesi, Giordania e, naturalmente, Arabia Saudita e Qatar. Dentro e fuori questi gruppi operano bande sempre più criminali che abusano della crescente insicurezza della popolazione e della sostanziale impunità delle milizie. Aerei NATO, oltre ad un battaglione di 700 libici combattenti (al-Qaeda), sono stati spostati al confine settentrionale con la Siria (in Eskandarun, Turchia). Come un regalo di Natale, le milizie hanno ricevuto una massa di armi, rubate dai depositi di Gheddafi. Due giorni prima di Natale, hanno già iniziato un attacco a Damasco: più di 50 morti e oltre 200 feriti. Nel frattempo, anche il nostro Stato (il Belgio) è entrato in questione, perché sembra che i fondamentalisti musulmani del nostro Paese siano portati in combattimento in Siria da parte di Al-Qaeda! In breve, il tubare delle colombe pacifiche della “opposizione” siriana è soffocato dagli orrori incalcolabili compiuti da bande criminali che seminano il terrore in tutto il mondo. I giovani delusi, perché le potenze straniere dettano ora la loro agenda. I nazionalisti ingannati, perché i gruppi armati con la loro richiesta di un intervento militare straniero soffocano le loro rivendicazioni. I musulmani moderati ingannati, perché salafiti e fondamentalisti vogliono creare una dittatura totalitaria peggiore di qualsiasi regime la Siria abbia mai avuto. I cittadini delusi, perché vittime di bande armate.

“Il regime siriano” è da tempo caduto. Il 26 Febbraio 2012, si tiene un referendum su una nuova costituzione.

L'”opposizione”, con il sostegno di tutto il mondo occidentale, ha fatto di tutto per boicottare il referendum e per screditare le elezioni. In Yabroed c’erano scatole con le schede elettorali distrutte. Eppure c’è ancora il 57% della popolazione che ha votato e l’89% di quelli che hanno votato che ha accettato la nuova costituzione. È stato abolito il monopolio del “Baath” in favore del sistema multi-partitico. Nel frattempo, c’è anche un nuovo Parlamento in cui siedono trenta donne. Vivo insieme a quattro persone, tra cui dei libanesi testimoni della guerra in Libano.

Il regime siriano aveva da tempo perso ogni credibilità. Eppure sono il primo ad avvertire che la Siria deve sopravvivere, perché l’alternativa a quello che c’è adesso è molto peggio per tutti. Un amico sunnita, che per lungo tempo è andato proclamando ad alta voce la sua intenzione di decapitare personalmente Assad, di recente è venuto a chiedere di offrire una “novena”. Sapeva che i cristiani avevano speciali preghiere per le intenzioni particolari.

Una novena, perché? Perché da oggi voleva pregare tutti i giorni affinché Assad resistesse per le abominazioni che la sua famiglia aveva patito dall’”opposizione” e che erano peggiori dei torti subiti dal “governo siriano”. Un appello per la conservazione della Siria e l’attuale Governo non implica l’approvazione dei suoi errori, o dei suoi crimini o della sua corruzione. E’ la conclusione sobria per cui oggi in Siria non vi è un’alternativa accettabile.

Dobbiamo riconoscere che il popolo siriano stesso deve andare verso la riforma del Paese. Questo è il significato originale di democrazia: un popolo che si cerca di garantire autonomamente la parità di trattamento per tutti.

“La Russia agisce per interesse”. Di solito non ho grande fiducia nell’“orso russo” e nel “drago cinese”. Eppure da lì ora giunge a noi più sostegno per difendere la stabilità della Siria rispetto alle auto-proclamate nazioni degli “Amici della Siria”. L’Occidente, l’America con i suoi alleati europei e arabi, fin dall’inizio ha cercato di ottenere una “garanzia” in Siria e in Libia, nella collezione della primavera araba, attraverso un intervento militare. La Libia è stata “liberata” abbastanza velocemente, almeno del suo oro, del suo petrolio, della sua sovranità e di almeno 150.000 vite. Per la Siria, questo è stato fino ad ora impedito dalla unità del popolo siriano e da veti ripetuti nel Consiglio di Sicurezza. La Russia rimane ostinatamente a difesa della sovranità della Siria, indica lo squilibrio delle risoluzioni proposte al Consiglio di Sicurezza, nelle quali non si fa mai riferimento alle bande criminali presenti nel Paese. I Paesi che forniscono la maggior parte delle armi e degli aiuti a bande ribelli e criminali gridano più forte che lo spargimento di sangue deve essere fermato e che l’esercito deve fermarsi! La Russia dice no alle forze straniere, sono le persone che dovrebbero decidere da sole il proprio governo. Al secondo veto della Russia, Hillary Clinton ha definito l’atteggiamento della Russia “orribile”, perché, ha detto, non è, come loro, preoccupata per la libertà del popolo siriano. Non è questo un premio al valore di una vera e propria “ipocrisia senza frontiere”? Sì, la Russia ha interessi in Siria con la sua base militare di Tartus. Del resto, l’America non ha in 130 Paesi (ma non in Siria), una base militare? L’America non avrebbe alcun interesse in un Paese molto importante strategicamente come la Siria con una ricchezza di gas e un accesso diretto al Mediterraneo? Hillary Clinton non ha sin dall’inizio annunciato ad alta voce in tutto il mondo che: “Abbiamo bisogno di un nuovo Medio Oriente”? Una destabilizzazione per installare rapporti di forza nuovi? Dopo l’intervento militare sarebbe impossibile seguire gli omicidi, le devastazioni e l’odio settario che ne deriverebbero. L’Arabia Saudita e il Qatar intendono davvero aiutare la Siria nella sua crescita verso la democrazia o non vogliono piuttosto stabilire un Islam dittatoriale, simile al loro, in questo Paese, che resta il più laico del mondo arabo? È possibile, naturalmente, che in Arabia Saudita brogli elettorali non abbiano mai avuto luogo, ma è necessario aggiungere che non vi sono mai state elezioni libere in Arabia! L’Occidente si sente di sostenere questo abominio, e, dopo la distruzione del Paese, cavalcare la nuova distribuzione del potere nel cosiddetto “Nuovo Medio Oriente”?

“Mussalaha” o “la riconciliazione”. Nella regione di Qalamoun, tra Damasco e Homs (dove viviamo), alla fine del Luglio 2012 “Mussalaha” o “riconciliazione” è ormai accettata da tutte le parti. Gli “avversari” hanno deposto le armi e i prigionieri innocenti sono stati rilasciati. Il rapito Salim, figlio del segretario del Presidente e del secondo uomo forte di Deir Atieh, è stato rilasciato. Ognuno può liberamente protestare in maniera non violenta e promuovere le riforme. Purtroppo, pochi giorni dopo in Qara, ancora un uomo ucciso è stato aggiunto alla lista nera dei terroristi come pro-regime. La polvere deve avere tasche solo per la via della riconciliazione. “Mussalaha” è una terza via che non proviene dall’ “opposizione” e non proviene dal “regime”, ma in realtà nasce dal popolo.

In luoghi cruciali come Homs sono stati centinaia di giovani, i ribelli, che hanno deposto le armi e hanno optato per un dialogo interno. Kahlil Noe, il Presidente, esprime la visione di base di questo movimento, dicendo che la Siria è una famiglia, dove non c’è posto per la violenza e il razzismo, in cui i diversi popoli e gruppi vivono insieme in pace e tolleranza. Questo è il desiderio della maggioranza silenziosa del popolo siriano che vuole la pace.

I cristiani per diversi motivi hanno un ruolo speciale. Essi sono una popolazione indigena, che ha in gran parte contribuito alla “rinascita araba” e che ora porta una delle parti più grandi della sofferenza che si registra nel Paese. Infine i loro sforzi non sono volti in alcun modo ad ottenere un certo potere nel Governo. Così i cristiani sono oggi i più vulnerabili, ma sono anche il fattore di pace più rilevante in Siria. Il 27 luglio 2012 il patriarca greco – cattolico Gregorio III Laham (melchita) ha avanzato una richiesta di dialogo, di pace e di riconciliazione o “Mussalaha”.

La minaccia principale in Siria dopo l’anarchia è la mancanza di sicurezza causata da tanti attacchi. Non vi è in realtà una vera e propria guerra civile, non vi è un banditismo dilagante. Egli respinge l’accusa che i cristiani dal regime otterrebbe certi privilegi. Il Cristianesimo è semplicemente necessario nel mondo arabo. “Cristiani e Musulmani, siamo con loro e per loro come negli ultimi 1435 anni della nostra storia comune”. Inoltre, indica la fonte del male nel mondo arabo, vale a dire la divisione, e in specie il conflitto israelo – palestinese: “Il conflitto israelo – palestinese è il fondamento e la prima causa della maggior parte del male, della crisi e della guerra nel mondo arabo. “Bisogna fermare le forze straniere dall’imporre sanzioni che strangolino il popolo siriano. Per mesi abbiamo di nuovo ogni quattro ore un’interruzione di elettricità. Qousseir era prima grande produttore di frutta, ora non possono pagare neanche i raccoglitori, perché il mercato interno è crollato. In pratica, tutto il commercio è fermo (a parte il commercio internazionale di armi che sta vivendo una vera età dell’oro). E naturalmente, l’industria del turismo, pur in forte espansione, è stata immediatamente arrestata. Quale libertà e democrazia l’Occidente vuole darci? Inoltre deve fermare il sostegno alla “opposizione” all’estero e imporre che si ritiri anche in Siria. Terminerà così anche lo spargimento di sangue. La popolazione siriana è abbastanza matura da perseguire le riforme necessarie per scegliere una tradizione di tolleranza, come hanno dimostrato di sapere fare per decenni. Nel caso degli Stati Uniti, la NATO, l’Europa, l’Arabia e il Qatar per quanto destabilizzeranno ancora questo Paese, coi suoi decenni di relativa stabilità, pace, prosperità e la grande tradizione di tolleranza, fino al punto in cui non sarà raggiunto il “Nuovo Medio Oriente” della Clinton? La maggioranza silenziosa del popolo siriano vuole la pace: pace e riconciliazione. Tutto il resto è manipolazione e menzogna. Da questo desiderio, nella tolleranza reciproca con l’altro per vivere insieme, parla la vera grandezza del popolo siriano. E qui noi riconosciamo come cristiani, in ultima analisi, l’opera dello Spirito di Gesù Cristo che dice: “Se il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Gv. 8: 36). Io non sono uno specialista del Medio Oriente, ma un prete ordinario dell’abbazia. Voglio fare affidamento non su un mestiere giornalistico, una competenza politica o una sapienza diplomatica. Inoltre, io sono ancora vivo, dal 2010, nel convento di S. Giacomo (90 km. a nord di Damasco), dove sono responsabile per il seminario cattolico e il ramo maschile del chiostro (maryakub.org). Così sono stato un missionario fino ad oggi. Oggi viviamo con sette uomini nel primitivo ma accogliente ricetto della torre romana (probabilmente del 1° secolo). La comunità di suore ha quindici membri. Noi rappresentiamo insieme una dozzina di Paesi diversi. Inoltre, ci sono famiglie e bambini, sunniti e cristiani, alawite (finora ca. venticinque). Il nostro gruppo accoglie persone provenienti da quasi tutta la Siria. Ciò che scrivo è perché ho sperimentato o imparato da loro. Prima della crisi, ci sono stati molti visitatori dal Paese e all’estero, specie i giovani. Per loro è iniziata la costruzione di un centro di grandi dimensioni, le cui attività sono ferme e dove i rifugiati, per quanto possibile, sono accolti. (Cfr. belgicatho.hautetfort.com/archive/2012/08/20/syrie-de-stem-van-de-zwijgende-meerderheid-mussalahaof-verz.html). Si veda l’ulteriore traduzione in: oraprosiria.blogspot.it/2012/08/siria-la-voce-della-maggioranza.html.

***

Siria

di Johan Galtung (Transcend, 19 Marzo 2012)

Siamo tutti disperati nell’assistere alle orribili uccisioni, alla sofferenza di chi è privato di tutto, dell’intero popolo. Ma che fare?
Potrebbe essere che l’ONU, e i Governi in generale, abbiano la tendenza a ripetere sempre lo stesso errore di mettere il carro davanti ai buoi? La formula che usano generalmente è:

[1] Liberarsi del n° 1 come responsabile chiave, usando sanzioni; quindi
[2] Cessate – il – fuoco, appellandosi alle parti, o intervenendo, imponendo;
[3] Negoziato fra tutte le parti legittime; e quindi
[4] Una soluzione politica quale compromesso fra le varie posizioni.

Sembra così logico. C’è un responsabile-chiave, il presidente Assad, che ordina l’uccisione; liberarsi di lui con ogni mezzo. Quindi la tregua; poi negoziati, e infine emerge la soluzione. Logico, sì; ma forse non molto saggio.

Il n° 1, come identificato dall’interessato stesso, dall’esterno, e dai media, in una cultura occidentale orientata al n° 1, è certamente importante. Ma essendo importante, egli può anche possedere qualche chiave per le soluzioni.

Può anche dimettersi o essere rimosso in seguito, ma prima lo si ascolti.

Cessate – il – fuoco – perché non c’è in vista una soluzione accettabile? Non sarebbe una capitolazione, addirittura verso degli estranei? Utile come pausa nei combattimenti, riposo per i combattenti, dando tempo per schierarsi e riarmarsi; ma condizione né necessaria né sufficiente per una soluzione.

Negoziato, con una parte essenziale eliminata e una capitolazione di fatto monitorata? Quale agenda risulterà favorita? Una soluzione politica? Certo, ma con quelle tre condizioni il risultato è dato in anticipo.

Guardiamo la sequenza contraria: [4]-[3]-[2]-[1].

Cominciamo da una soluzione, poi un negoziato per i dettagli, se ha successo o se, addirittura, è trascinante, può emergere un armistizio. E allora, forse, il n° 1 si dimette, avendo fatto la sua parte nel lavoro.

Ma come è possibile, per chiunque, trovare una soluzione, quando la carneficina è in pieno svolgimento? Beh, la motivazione è alta. Stipulando una tregua, scema la motivazione, come si è visto in Sri Lanka. Il turismo ha ripreso, ma la ricerca di soluzioni è crollata a zero, e la tregua è stata usata da entrambe le parti per lo scopo citato.

Ma come può esserci una soluzione quando attori chiave hanno le braccia piene di armi? Chi ha detto che dovessero farlo? Hanno dei sostituti; inoltre, il Paese è pieno di gente che ha riflettuto sui problemi, non solo su chi è cattivo e chi è buono. E che non è solo orientata alla vittoria, ma anche alla soluzione.

La ricerca potrebbe essere rivolta alle soluzioni, non alla soluzione. Si facciano fiorire 1.000 dialoghi in ogni quartiere, ogni villaggio, arricchendo il prodotto ideale nazionale lordo, PINL. E facilitatori sostenuti dall’ONU, con conoscenza della mediazione, anziché muniti di armi e binocoli.

Per far questo si facciano parlare le parti, fuori e dentro la Siria. Le si lascino affermare i propri obiettivi, la Siria che vorrebbero vedere. In primo luogo, un’immagine degli obiettivi di alcuni contendenti esterni:

. Israele: vuole una Siria divisa in parti più piccole, distaccate dall’Iran, lo status quo per le alture del Golan, e una nuova mappa per il Medio Oriente;

. USA: vogliono quel che vuole Israele e il controllo su gas, petrolio, oleodotti;

. Regno Unito: vuole quel che vogliono gli USA;

. Francia: corresponsabile col Regno Unito della colonizzazione post-Ottomana nella regione, vuole un’amicizia confermata Francia – Siria;

. Russia: vuole una base navale nel Mediterraneo, e un “alleato”;

. Cina: vuole quel che vuole la Russia;

. UE: vuole sia quel che vogliono Israele e gli USA, sia quel che vuole la Francia;

. Iran: vuole il potere sciita;

. Iraq: a maggioranza sciita, vuole quel che vuole l’Iran;

. Libano: vuol sapere cosa vuole;

. Arabia Saudita: vuole il potere sunnita;

. Egitto: vuole emergere come gestore di conflitti;

. Qatar: vuole lo stesso che l’Arabia Saudita e l’Egitto;

. Stati del Golfo: vogliono quel che vogliono USA e Regno Unito;

. Lega Araba: vuole nessuna ripetizione della Libia, si cimenta con i diritti umani;

. Turchia: vuole affermarsi rispetto ai successori (Israele – USA) dei successori (Francia – Regno Unito – Italia) dell’Impero Ottomano, e una zona cuscinetto in Siria.

. ONU: vuole emergere come gestore di conflitti.

Al di sopra di ciò, incombe una nube fosca: la Siria è nella zona fra Israele – USA – NATO e la Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO), entrambe in espansione. Poi, un’immagine degli obiettivi di alcuni contendenti:

. Alawiti (15%): vogliono rimanere al potere, “per il bene di tutti”;

. Sciiti in generale: vogliono lo stesso;

. Sunniti: vogliono il governo della maggioranza, il loro governo, la democrazia;

. Ebrei, Cristiani, minoranze: vogliono sicurezza, temendo il governo sunnita;

. Curdi: vogliono un alto livello d’autonomia, qualche comunità con altri Curdi.

Ciascuna di queste affermazioni può essere messa in discussione. Ma supponiamo come esperimento mentale che questa configurazione con 16 contendenti esterni e 5 contendenti interni, sia più giusta che sbagliata. La terribile violenza del “terrorismo” esterno, o di quello interno “di Stato”, sono contro coloro che vogliono la democrazia?

Entrambe, ma non serve chiedersi chi sia più responsabile in una polveriera: il nitrato, lo zolfo, il carbonio, o l’esplosione, o chi ha costruito la polveriera (Francia). Piuttosto, c’è qualche soluzione in vista?

Non con la violenza. Chiunque vinca sarà profondamente inviso agli altri, in una casa e una regione così profondamente divisa contro se stessa.

Non con sanzioni, indipendentemente da quanto siano profonde e ampie, con la partecipazione di Russia e Cina. È come punire una persona con microbi e il suo sistema immunitario che sta lottando all’interno perché ha la febbre. Più il paziente è debole, più è contagioso.

Quel che viene in mente è una soluzione svizzera. Una Siria, federale, con autonomie locali, addirittura a livello di villaggio, con sunniti, sciiti e curdi che intrattengano rapporti con i propri affini attraverso i confini. Un peacekeeping internazionale, anche per proteggere le minoranze. E non-allineata, il che esclude basi straniere e flussi di armi, ma non esclude un arbitraggio obbligatorio per le Alture del Golan (e l’assetto post-giugno 1967), con lo status di membro ONU in gioco per Israele. Napoleone invase la Svizzera per controllarla nel 1798-1806, ma rinunciò. Faranno lo stesso gli attuali Napoleoni, Netanyahu – Obama? Le alternative sono altre due catastrofi: guerra aperta con Arabia Saudita – Giordania – Qatar; o c.d. “R2P” (“Responsabilità di Proteggere”) alla libica, con 7.700 bombe e missili. Il vincitore non sarà sopportato; e senza peraltro alcuna soluzione sostenibile in vista.

[Traduzione di Miky Lanza per il “Centro Studi Sereno Regis”, Torino: transcend.org/tms/2012/03/syria].

[Carta di L. Canali tratta da “Limes” 1/12 “Protocollo Iran”: temi.repubblica.it/limes/la-siria-etno-religiosa/32060]

Principali Partiti Politici e Organizzazioni Sociali in Siria

Fronte Nazionale Progressista: Partito Socialista Arabo “Baath”, Movimento Socialista Arabo, Unione Socialista Araba – Partito della Siria (nasseriano, 8 seggi), Partito Comunista Siriano – Khalid Bakdash (segretario Ammar Bagdash, 8 seggi, +3), Partito Comunista Siriano – Yusuf Faisal (segretario Hanin Nimir, 3 seggi, 0), Unionisti Socialisti (6 seggi) e Unionisti Sociali Democratici (0 seggi), Partito di Unità Democratica (socialista nazionale, 4 seggi), Partito Arabo di Unità Democratica (nazionalista, 1 seggio), Movimento Nazionale “Vow” (nazionalista, 3 seggi).

Fronte Popolare per il Cambiamento e la Liberazione: Partito Social-nazionale Siriano (nazionalista grande-siriano, 3 seggi), Partito Volontà del Popolo [“People’s Will”] (partito democratico sociale, 1 seggio). A questi si aggiungono i partiti legalizzati attualmente fuori dai due fronti (laici) prevalenti, trattandosi soprattutto di partiti di ispirazione islamica (Al Tadamon, Al Talia’, Al Shabab, etc.).

Terzo Settore: L’ultimo piano quinquennale (2006-2010) del Governo siriano, riconoscendo l’insufficienza del “ruolo delle associazioni civili e istituzioni socio-economiche”, prevede “cambiamenti radicali, al fine di migliorare le capacità della società civile nella prossima fase”. Questa nuova visione include l’ipotesi di nuovi partenariati tra i settori pubblico, privato e del volontariato, al fine di affrontare alcuni dei più gravi problemi socio-economici della Siria tra cui l’analfabetismo, la povertà e il degrado ambientale. Esistono ca. 1.400 associazioni ufficialmente registrate, la maggior parte enti caritativi, e pertanto il Governo considera ufficialmente positiva la creazione di nuovi organismi di sviluppo, del tipo delle moderne ONG, meglio in grado di soddisfare le esigenze della società siriana.

Per approfondimenti: www.syria-today.com/index.php/april-2011/771-politics/19490-political-renaissance.

***

Il quadro politico, la sinistra italiana e la guerra in Siria

Paolo Ferrero (Rifondazione Comunista): L’unica posizione sensata consiste nella condanna e nell’opposizione durissima di ogni interferenza esterna atta a fomentare le rivolte armate e nella richiesta di un intervento dell’ONU non di tipo militare ma atto ad intavolare trattative sul piano pacifico. Questa terza strada si oppone drasticamente ad ogni intervento militare mentre valorizza ogni forma di diplomazia dal basso e dall’alto. Per questo occorre essere duramente contrari alla porcheria imperialista che stanno mettendo in piedi per invadere la Siria, chiedere che l’ONU svolga un ruolo di mediazione contro la politica della NATO, senza perciò diventare tifosi del regime siriano. Fonte: facebook.com/pages/Paolo-Ferrero/88466229193.

Nichi Vendola (Sinistra Ecologia e Libertà): L’escalation militare nel pieno tumulto democratico che scuote l’intero Mediterraneo, può avere effetti collaterali di assoluta gravità, come quello di compromettere il profilo laico di una rivoluzione non inquinata dall’islamismo fondamentalista e non segnata dall’egemonia di ideologie anti-occidentali. La guerra è sempre una sconfitta: la dichiareremo anche alla Siria? Il passaggio dell’Italia dall’amore per Gheddafi alla scelta di bombardarlo è significativa di una Nazione allo sbando, in una Europa le cui classi dirigenti appaiono del tutto inadeguate ad affrontare le sfide in corso, del presente e del futuro. Fonte: nichivendola.it/sito/mcc/informazione/la-parola-alle-bombe.html.

Antonio Di Pietro (Italia dei Valori): Al Presidente del Consiglio dei Ministri (4-17085) – Per sapere – premesso che: l’11 Marzo 2010, è stata concessa al dittatore Assad la più alta onorificenza del nostro Paese – Cavaliere di Gran Croce … al merito della Repubblica italiana – apprezzando la laicità del suo governo; l’uso di artiglieria pesante nei confronti di manifestanti non violenti che chiedono libertà e democrazia al regime totalitario siriano è stata fortemente condannata a livello internazionale con risoluzioni di censura da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e con sanzioni economiche da parte di molti Paesi, compresa l’Italia; …: se non ritenga opportuno attivare le procedure necessarie volte a ottenere la revoca immediata dell’onorificenza al presidente siriano Assad. Fonte: parlamento.openpolis.it/atto/documento/id/85371.

Riccardo Nencini (Partito Socialista Italiano): E’ confermato l’impegno dei socialisti italiani affinché il nostro Paese si schieri senza tentennamenti dalla parte della popolazione siriana contro il governo di Assad. Lo scrittore Hamady Shady ha chiesto l’impegno di tutte le forze politiche e di tutte le istituzione democratiche italiane perché facciano sentire la loro voce e ci sia una forte iniziativa internazionale per isolare la dittatura siriana. “In Italia si parla della Siria solo quando ci sono massacri. Ma da settimane nel silenzio della stampa internazionale il popolo siriano subisce una repressione violenta e muore sotto i colpi dell’esercito siriano. Bisogna fare di più”. Fonte: partitosocialista.it/site/artId__3789/307/DesktopDefault.aspx.

Pierluigi Bersani (Partito Democratico): “Il PD è qui per dare voce al popolo siriano. Vogliamo dare voce a questa tragedia enorme che si sta svolgendo nel silenzio e anche nella disattenzione generale e vogliamo dire con nettezza che il massacro in Siria deve fermarsi, che l’opposizione siriana deve riunirsi e convergere, che Assad deve andarsene. Vogliamo anche che l’Italia, l’opinione pubblica e i governi italiano ed europeo seguano con grande attenzione questa crisi”. Così Pierluigi Bersani, segretario del PD, nel corso di un’intervista di Youdem TV a margine di una manifestazione del PD a favore dell’opposizione siriana il 27 Marzo presso il Pantheon (Roma). Fonte: youtube.com/user/pierluigibersani51 e youtube.com/watch?v=yZ8OCR64vcg.

Fonti generali di documentazione:

1. serenoregis.org/?s=Siria, sibialiria.org, nena-news.globalist.it/Detail_News_TopStories?news=0&CategoryID=329&Loid=200

2. reteccp.org/primepage/2012/syria12/syria12.html e reteccp.org/primepage/2011/democrazia/demo1/syria.html

3. fides.org/aree/news.php lan=ita&_qf__searchForm=&dal[d]=01&dal[M]=01&dal[Y]=2011&testo=Siria&btnSubmit=Search

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Indice

Introduzione – Per una soluzione politica al conflitto in Siria (Gianmarco Pisa)
Siriana, la guerra (Tommaso di Francesco)
Siria: menzogne e verità su una guerra sporca (MAIO Project)
La strada per la Persia (Aysling Byrne)
Siria: “Mussalaha” (riconciliazione) unica via (Giovanni Sarubbi)
Caro Giovanni, la Siria … (Hamza Roberto Piccardo)
Speriamo che il dialogo continui (Giovanni Sarubbi)
Resoconto della conversazione telefonica con Padre Michel Naaman di “Mussalaha” (Marinella Correggia)
Siria. Betty Williams, Premio Nobel per la Pace, appoggia il movimento “Mussalaha” (Marinella Correggia)
“Continuare a cercare una soluzione politica” dicono fonti da Aleppo dopo la rinuncia di Annan (Fides)
Siria: la lotta armata, una trappola. Risposta alla “Lettera Aperta” sulla Siria (Patrick Boylan)
Kofi Annan si arrende: pace impossibile (Alberto Negri)
“Siano Benedetti i Costruttori di Pace” – Appello per “Mussalaha” (Gregorio III, Patriarca di Antiochia)
“Un S.O.S. dalla maggioranza silenziosa e pacifista della Siria” (Daniel Maes, Sacerdote di Qara)
Siria (Johan Galtung)
La Siria “etno-religiosa”
Principali Partiti Politici e Organizzazioni Sociali in Siria
Il quadro politico, la sinistra italiana e la guerra in Siria
Fonti – Indice

“Un’altra Festa”: Festa dei Corpi Civili di Pace, Vicenza, 25-26 Agosto 2012 – www.reteccp.org

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