I paesi nordici in un mondo in crisi

Johan Galtung

Colloquio al Parlamento dei Paesi Nordici a Jondal, Norvegia

Cominciamo dalla crisi. Non è una crisi mondiale ma occidentale. La radice è semplice: il Resto del mondo sta rincorrendo, e in parte sorpassando l’Occidente; la Cina sta avvicinandosi, e in parte superando gli USA – recuperando rispetto al colpo ricevuto attorno al 1500 dai portoghesi e dagli inglesi, che distrussero un millennio di commercio buddhista-musulmano dalla Cina orientale alla Somalia passando per il resto dell’Asia; e che si stabilirono in Macao-Hong Kong (non ci sono enclave cinesi in Portogallo-Inghilterra).

L’Occidente è superato in quanto a concorrenza. La crisi è in parte economica e in parte un disperato sforzo occidentale, in realtà di Obama, di mantenere l’egemonia.

Sapendo che India e Cina possono coprire da sole la domanda mondiale di beni industriali con migliori rapporti qualità/prezzo, e che il Sud è in grado di soddisfare la domanda mondiale di risorse e prodotti agricoli, un approccio occidentale è stato quello di passare dall’economia reale a quella finanziaria. Estendendo le vecchie tradizioni della City di Londra/Wall Street nella tecnica bancaria privata e nell’uso dei vincoli debitori a fini di potere. Un altro approccio è stato quello dei crediti a buon mercato e della speculazione, ma questo è stato controproducente. Comunque sia, la “austerità” serve a smantellare i diritti allo stato sociale USA e a lanciare guerre per mantenere il dollaro come valuta mondiale.

Ma, se se c’è un paese con servaggio da debiti, sono proprio gli USA, verso la Cina, il Giappone e l’UE. Gli USA non pagheranno mai quel debito, né la Cina pretenderà che lo facciano, avendone probabilmente già avuto anche più in cambio con l’accesso al mercato USA. La pressione USA per l’aumento del valore dello yuan può anche rendere qualche prodotto made in USA competitivo, ma a danno del 90% meno abbiente della popolazione USA che dipende dai prodotti economici made in China. Ciò si ripete in UE, con la Germania nel ruolo della Cina e i membri periferici UE indebitati nel ruolo degli USA; e viene replicato a livello mondiale, con la Banca Mondiale che fa altrettanto nei confronti del Sud del mondo. In tutti e tre i casi la soluzione sta nel condono del debito e nell’auto-sufficienza della periferia.

Ma l’Occidente ha tuttora un evidente potere militare, e una NATO promossa a braccio militare ONU da Ban Ki-Mon, oltre 800 basi USA, compreso l’arcipelago delle Svalbard.

Prendiamo come esempio l’Afghanistan. L’invasione dell’Afghanistan era stata programmata molto prima dell’11 settembre come base in una futura guerra con la Cina e per un oleodotto dal mar Caspio all’oceano Indiano; serviva solo un pretesto irrefutabile. D’altro canto c’era il regime del mullah Omar intento ad atrocità del tutto inaccettabili e ci serviva un intervento esterno – in quale forma, come, è questione tuttora aperta.

Il risultato finale fu l’invasione e l’occupazione; quindi il cambio di regime adottando un consiglio di Machiavelli al Principe: governo mediante una gerarchia locale, capeggiata da Karzai. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU (UNSC) hanno un’illegittimità incorporata: l’Islam/OIC-Organizzazione della Cooperazione Islamica, il massimo polo di un mondo multipolare, non ha diritto di veto. L’Occidente ne ha tre e usa l’UNSC per intervenire nei paesi musulmani, sostenuto dalla paranoia occidentale e dall’incapacità di riconoscere il proprio terrorismo di stato quale causa principale del terrorismo. L’Occidente parla di una guerra di 30 anni in Afghanistan, a contare dalla terribile invasione sovietica, lasciando perdere le guerre del Regno Unito del 1842-1878-1919, e l’anche più terribile linea Durand. L’Occidente usa costrutti come “talibani” e “signori della guerra” come schermo per la resistenza e la diversità per un paese molto lontano da uno stato nazionale occidentale. Una ragione, per nulla valida, per questa scarsa comprensione intellettuale è che gli alleati sono lì per compiacere gli USA in quanto capo della NATO, non perché minacciati dall’ Afghanistan. Uccidono più di quanto proteggano; e sono sconfitti militarmente. Una crisi.

Come c’entrano i paesi nordici in tutto ciò, e che cosa possono fare? Hanno una buona reputazione. Ma attenzione: essendo stati nazionali eccezionalmente omogenei, è stato facile introdurre la democrazia (eppure la Norvegia non ha la sensibilità di concedere ai Sami un seggio parlamentare). Forti movimenti operai con una certa simpatia per il comunismo e impegno per elevare i più poveri dalla miseria alla dignità – anche un principio cristiano – mentre contemporaneamente una parte dell’Occidente capitalista superò il dilemma stato/capitale producendo lo stato sociale. C’era empatia per l’URSS pur ricusando lo stalinismo. Per l’Islam, solo ignoranza.

Qual è il modello Nordico? È tripartito, lavoro-capitale-stato. La base comune, l’ideologia condivisa, è la crescita economica; una torta che cresce può essere tagliata e spartita più facilmente di una sempre uguale o peggio ancora che rimpicciolisce. Se su questo sono d’accordo i tre attori più forti della società, così sia, senza badare agli studi sull’opinione pubblica che mostrano altro, per esempio che la maggioranza dei norvegesi non vuole più denaro, bensì più tempo libero per la crescita personale e sociale d’ogni tipo. Domina il potere -”makta rår“.

Tutti i cinque paesi nordici e le loro tre dipendenze (Åland, Faroer, e Groenlandia) si sentono attaccati agli USA; solo piccole minoranze alla Germania nazista e all’URSS bolscevica. Al tempo stesso sono condannati alla crescita dal loro modello. Sicché la Norvegia – nonostante le preoccupazioni climatiche – procede a una sempre maggiore estrazione di petrolio, e vara come nuova industria la produzione su vasta scala di missili e droni, mettendo in riga i clienti. Tutti i paesi hanno estremisti di destra anti-immigrati; ma solo la Norvegia ha prodotto un Breivik. La loro omogeneità li rende attori poco importanti in un mondo che va globalizzandosi e che sarà per necessità multi-razziale e multi-culturale. Per questa stessa ragione, i paesi nordici possono non essere dei bravi mediatori: troppo estranei a mentalità non-occidentali, troppo fissati sui diritti umani individuali, sulla democrazia della maggioranza, e sul diritto occidentale focalizzato sugli atti di commissione – lo stato di diritto. Diritti dei popoli, dialogo per il consenso, e atti di omissione sono preminenti in altre culture.

Cionondimeno, si può fare molto. Un’azione congiunta per democratizzare l’ONU abolendo il diritto di veto e dell’Articolo 12A, un’AssembleaONU dei Popoli, e un’UnioneDifensiva Nordica indipendente dalla NATO – non però attribuendo a ciascuno qualche compito NATO – sono proposte quanto mai sensate. Una Zona Nordica denuclearizzata, come nel tentativo dell’ASEAN-Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico. Una Federazione Nordica aldilà dell’attuale Comunità Nordica, Nordisk Råd, democratica, come la federazione svizzera, e in linea con la tendenza a una crescente regionalizzazione.

Abbiamo bisogno di una rinascita nordica. L’apertura al mondo intero e dialoghi con gli immigrati – una benedizione sotto mentite spoglie – possono essere valide guide. Usiamole.


EDITORIAL, 6 Aug 2012 | #229 | Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Sereno Regis

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