Hamsun, Ibsen, e le loro utopie – Johan Galtung

Stiamo celebrando i due massimi poeti norvegesi in questa bella città che era loro comune. Knut Hamsun (1859-1952) aveva qui la sua fattoria, e Henrik Ibsen (1828-1906) era apprendista presso uno speziale. E voi mi avete conferito l’onore di concludere questo festival con qualche parola sulla loro rilevanza per il nostro mondo d’oggi.

Ibsen nacque in una famiglia doppiamente patrizia, ma suo padre, mercante, divenne un alcolista fallimentare che se la prendeva con moglie e figli. Hamsun nacque in gran povertà e sopravvisse con modalità proletarie, facendo anche per un paio d’anni il tramviere negli USA. Che siano diventati entrambi poeti preminenti in Norvegia e nel mondo, dando inizio al dramma e alla corrente di consapevolezza moderni, è un miracolo. M’inchino alla loro memoria, grato di essere parte della loro comunità linguistica.

Essi erano intenti all’edificazione della Norvegia, dandole un’anima. O due. Ibsen voleva un paese la cui gente potesse pensare in grande.

Erano entrambi molto critici dell’Inghilterra. Ibsen espresse ciò nel suo poema epico Terje Viken, il povero marinaio che ruppe il blocco navale inglese nel 1809, arrivando a remi in Danimarca per un barile di cereali, ma fu catturato dagli inglesi e imprigionato per 5 anni; tornò per finire in una tomba anonima, con sua moglie e i figli morti di fame.

E Hamsun scrisse sugli inglesi che uccidevano e rubavano, facendolo sembrare per il bene delle loro vittime. Egli difese il sultano d’Istanbul, alleato della Prussia e di Austria-Asburgo, i tre imperi che crollarono dopo la 1^ guerra mondiale. Insolito in Norvegia; consueto era un’altra vincitrice di premio Nobel, Sigrid Undset, con la sua accattivante saga medievale di Kristin Lavransdatter: al 100% anti-tedesca e altrettanto filo-anglo-americana.

In un mondo infestato dal colonialismo, dal bolscevismo, dal nazismo e dall’imperialismo, avevano tutti e due le loro utopie; la loro visione del mondo buono, quello che avrebbero voluto vedere; e, senza reciproca considerazione, le loro utopie avevano lo stesso nome: il Terzo Regno.

Per Hamsun un mondo pan-germanico con una posizione di favore per la Norvegia. Accolse bene l’occupazione tedesca della Norvegia. Scrisse un necrologio per Hitler: “Era un lottatore, un combattente per l’umanità, e un profeta del vangelo dei diritti di tutte le nazioni”. Beh, sì, per i diritti di Germania-Italia-Giappone, la classe degli stati-nazione unificatisi fra il 1861 e il 1871, da non essere offuscati da quelli più precoci, gli alleati, appunto. Il nemico del suo nemico era suo amico. E in New Earth [Terra nuova, ndt] l’istitutore Coldevin dice: “No, non perdonare, mai. Vendetta! Perdonare vuol dire stravolgere la giustizia. Ripaga il bene con altro bene, ma il male con la vendetta”.

Ammirava la Germania; lodava il paese che aveva accompagnato alla grandezza tanti artisti suoi conterranei. Ma ascoltiamo Nagel, il Superuomo nel dramma d’amore Mysteries (nessun triangolo, ma un esagono!): “Resto attaccato ai misteri – che cosa si guadagna a privare la vita di tutta la sua poesia, tutti i sogni, la bellezza, la mistica, tutte le menzogne –”.

Si appellò alla clemenza per i norvegesi condannati a morte, ed ebbe un incontro con Hitler perorando la rimozione di Terboven, il brutale governatore tedesco della Norvegia che rese la posizione di favore una menzogna. Come il re a Copenhagen andava del tutto bene, ma non il suo rappresentante in Norvegia (gestito per 400 anni da Copenhagen). Come l’URSS andava bene, il problema era Stalin. Come gli USA andavano bene, il problema era Bush. Ingenuità norvegese.

Sapeva dell’Olocausto? No, sì, forse, una mezza conoscenza repressa, come dei norvegesi che non vogliono saperne delle stragi di massa commessi dall’Impero USA. Un po’ di cautela nel giudicare Hamsun, prego.

La Norvegia trattò il suo caso dopo la guerra con la psichiatrizzazione, dichiarandone la capacità spirituale insufficientemente sviluppata e labile. Al che, egli scrisse uno dei suoi migliori romanzi, pubblicato quando aveva 89 anni.

Non era un nazista. Aveva una sua posizione, ingenua e disinformata, come peraltro la Norvegia sul colonialismo e l’imperialismo. E vinse: Hitler, non altrimenti che il Kaiser, voleva un’Europa gestita da Berlino con Bruxelles come capitale economica (Niall Ferguson). Ci siamo molto vicini, oggi.

Per l’acuto Ibsen, l’utopia era un mondo sia-sia dei due alberi del cristianesimo, l’Albero della Conoscenza del Vecchio Testamento – dal quale Adamo fu tentato a mangiare da una cospirazione guidata da Satana in guisa di serpente usando Eva come tentatrice [i] – e l’Albero della Croce nella storia della Passione del Nuovo Testamento. Ma dove?

Non nel suo poema Terje Viken, una splendida storia di perdono, quando il nocchiero che l’aveva arrestato se ne torna come mylord, con mylady e un bimbetto, quasi naufraghi, salvati da Terje il pilota assetato di vendetta, e che tuttavia perdona “per via di quel piccolino lì”. Il contrario di Coldevin. E di Hamsun in quanto a quello.

Non nella sua commedia Peer Gynt con un elemento centrale, quell’incredibilmente bel Sermone del Prete alla tomba del “piccolo guerriero nella guerricciola del coltivatore” che si era amputato un dito per essere esentato dal servizio militare, dedicandosi alla famiglia nelle condizioni più avverse, “perché c’è qualcosa al di sopra della legge, così come ci sono luci anche più alte al di sopra della montagna Glittertind”. Egli fu fedele alla sua vocazione, alla sua famiglia, alla sua fattoria, non solo a se stesso.

No, neppure nelle splendide donne di Ibsen che sopravanzano in scena l’enorme sfilza di banalità borghesi maschili con la luce, il motivo liberatorio; come un clarinetto, un oboe, un violino in assolo, un pianoforte in un concerto di Mozart.

In quello che Ibsen definì la sua opera maggiore, Imperatore e Galileo – dove l’imperatore era Giuliano l’Apostata (361-‘63), il nipote di Costantino il Grande che fece del cristianesimo la religione dell’impero romano, e il galileo era Gesù. Giuliano rigettò il monopolio [religioso, ndt] come Ibsen rigettava il monopolio evangelico-luterano in Norvegia. Giuliano era per l’ellenismo, per la verità e la bellezza, per il paganesimo, gli antichi dei greco-romani, l’ebraismo. E Ibsen anche per Gesù e 12 poveri pescatori in una vita di semplicità e compassione. Così Giuliano alla fine dice: “Hai vinto, galileo”.

Ibsen ha vinto: adesso abbiamo diritti umani, mutua tolleranza. Ma egli li voleva dentro di noi, ad arricchirci, una vera globalizzazione. Grazie, Henrik.

NOTA:

[i]. Vedi H. Paul Jeffers, History’s Greatest Conspiracies: 100 Plots, Real and Suspected, [Le più grandi cospirazioni della storia: 100 complotti, effettivi e sospettati] New York: Fall River Press, 2004. Questo è il complotto n° 1; in altri si tratta degli assassinii di Lincoln e di Kennedy, dei sovietici a Cuba, della CIA a Santo Domingo, dei falsi Protocolli degli Anziani di Sion, ecc.

20 agosto 2012

da Grimstad, Norvegia

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

Titolo originale: Hamsun, Ibsen, and Their Utopias

http://www.transcend.org/tms/2012/08/hamsun-ibsen-and-their-utopias/

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