Pillole alfabetiche. K come Kilometro

0, come zero, ovviamente, per chiarirci un po’ le idee.

Lo studio dell’impatto ambientale del trasporto, imballaggio, confezionamento degli alimenti risale al 1992, quando Tim Lang, docente di «Food Policy» alla City University di Londra escogitò un sistema per calcolare il consumo di carburante di una cassetta di verdura.

Sembrava l’attività fantastica di uno scienziato pazzo e invece niente di più realistico e veritiero. Già la Svezia per prima si è mossa a favore del pasto «a Km 0» al suono di «sì ad alimenti locali» suscitando il disappunto della Commissione Europea che teme un eccesso di protezionismo. Ora ci prova anche l’Italia, con una proposta di legge in 7 articoli presentata da alcuni deputati (di tutti gli schieramenti politici): prevede benefici e privilegi anche nella ristorazione collettiva a chi opti per alimenti prodotti in un raggio di 70 km.

Occhei… ma mentre aspettiamo che la «proposta» di legge diventi legge, possiamo già fare noi qualcosa, nel nostro – mica tanto – piccolo.

Visitiamo le bancarelle al mercato (possibilmente nell’area dei «produttori»), a volte mostrano, appeso da qualche parte, un cartello con il nome e l’indirizzo dell’azienda agricola, a volte le foto, spesso i chilometri di distanza dalla città. Cominciamo col scegliere quella più vicina a noi. Poi guardiamo che verdura/frutta ha sul banco: se a giugno ha pochi – e semi-verdi – pomodori, vuol dire che i molti, rossissimi pomodori che abbiamo intravisto in un’altra bancarella (magari nell’area dei commercianti) vengono da lontano, da un paese dove fa già caldo da molto e i pomodori hanno avuto il tempo di maturare. Facile, no?

E vale per tutto ciò che cresce dalla terra! Ci sono i banani in Piemonte? No. E allora significa che le banane hanno fatto un lungo viaggio per arrivare fin qua, e per non marcire nel tragitto saranno state raccolte immature e irrorate con prodotti chimici antimuffa eccetera durante il trasporto nella stiva di una nave, no?

Sarà sufficiente anche osservare come si comportano le verdure e la frutta che abbiamo in casa. Se la tendenza naturale della patata è quella di germogliare, se non lo fa è molto probabile che sia stata irraggiata; se in natura tagli l’insalata e quella appassisce dopo poche ore, se non lo fa vuol dire che le hanno fatto qualcosa…; avete visto senz’altro le famose piante «stabilizzate» no? Sono vive, ma non hanno bisogno di acqua, né di luce… mistero? No, chimica!

Allora, guardando la bancarella di un produttore locale sapremo che cosa comprare e quando per spendere meno e fare una spesa «a chilometro zero» (o quasi). Il vero chilometro zero sarebbe solo se abitassimo in campagna e avessimo l’orto a 800 metri dalla casa… ma il fatto che non l’abbiamo non ci autorizza a voler mangiare i pomodori a marzo (che nel nostro orto a chilometro 0,800 metri non ci sarebbero) e le fragole a ottobre (con lo champagne a chilometro «dallaFranciaaTorino», altro che zero!).

Come sempre non cediamo alla tentazione che «siccome non si può far tutto allora non faccio nulla». Tanto per ricordarcelo, in questo periodo, se avessimo un orto a chilometro 0,800 metri, ci sarebbero le zucchine (con i loro magnifici fiori), le insalate, comincerebbero ad esserci poche, piccole melanzane, pochi piccoli e verdi pomodori, le costine, i cipollotti, i ravanelli e, se siamo stati molto bravi come agricoltori, gli asparagi (che comunque sono molto più buoni quelli selvatici che crescono spontanei arrampicati su reti e arbusti. Vitalbe le chiamava mio padre, e le raccoglieva a tarda primavera per fare la frittata). Poi potremmo raccogliere l’ortica (e qualche contadino ne porta un po’ sulla sua bancarella). Potremmo trovare qualche ciliegia, qualche nespola, qualche fragolina di bosco. Poca roba dite? Ci sono decine di modi per cucinare le zucchine, da quando sono piccolissime a quando diventano grandissime e sono piene di semi… e poi che c’è di male se per venti giorni mangiamo solo zucchine e poi cominciano ad esserci le melanzane e per venti giorni mangiamo quasi solo zucchine e melanzane (altre decine di modi per cucinarle, comunque) e poi cominciano a maturare i peperoni e per venti giorni… la caponata!

Forse, e dico forse, avremmo più voglia di mangiare le zucchine in giugno/lugliio se non le avessimo mangiate mai per tutto il resto dell’anno, anzi magari diremmo «wow! Ci sono le zucchine!» dopo un inverno trascorso a mangiare zucche e cavoli… non so… so però che ho una nostalgia inguaribile di quando avevo l’orto ed era la terra a decidere che cosa cucinare…

Lo studio dell’impatto ambientale del trasporto, imballaggio, confezionamento degli alimenti risale al 1992, quando Tim Lang, professore della City University di Londra di food policy escogitò un sistema per calcolare il consumo di carburante di una cassetta di verdura.

Sembrava l’attività fantastica di uno scienziato pazzo e invece niente di più realistico e veritiero.

Già la Svezia per prima si è mossa a favore del pasto a Km 0 al suono di “sì ad alimenti locali” suscitando il disappunto della Commissione Europea che teme un eccesso di protezionismo.

Ora ci prova anche l’Italia.

C’è in Commissione Agricoltura una proposta di legge in 7 articoli di alcuni deputati di tutti gli schieramenti politici che prevede benefici e privilegi anche nella ristorazione collettiva a chi opta per alimenti prodotti in un raggio di 70 Km.

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