L’Italia di Gobetti, l’Italia della seconda Repubblica – Pietro Polito

Il giovane Gobetti si sarebbe messo le mani nei capelli arruffati, disperato, se si fosse trovato a scrivere la storia della lotta politica in Italia negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica (1992-2012).

Non è possibile alcun paragone tra il materiale incandescente che

Gobetti descrive nel suo capolavoro politico, La Rivoluzione Liberale in Italia (1924) e il materiale decadente (e scadente) che si sarebbe trovato di fronte nel passaggio dal vecchio al nuovo secolo.

Gli attori, le forze come amava dire Gobetti della lotta politica in Italia, quando il giovane liberale scrive il suo libro erano i liberali e democratici, i popolari, i socialisti, i comunisti, i nazionalisti, i repubblicani.

I protagonisti (li chiamo così per celia) della lotta politica in Italia oggi sono, andando da destra a sinistra, La Destra (Domenico Storace), La Lega (?), il movimento Cinque Stelle (Beppe Grillo), il Partito della Libertà (?), Futuro e Libertà (Gianfranco Fini), l’Unione di centro (Pier Ferdinando Casini), l’API (Francesco Rutelli), l’Italia dei Valori (Antonio di Pietro), il Partito Democratico (?), Sinistra e Libertà (Nichi Vendola), Rifondazione Comunista (Paolo Ferrero).

Come non farsi prendere dallo sconforto?

Apro La Rivoluzione Liberale, il libro secondo passa in rassegna le forze politiche del tempo, illustrando l’azione politica di ciascun protagonista.

Per i liberali e democratici: Stefano Iaccini, Giustino Fortunato, Gaetano Mosca, Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Mario Missiroli, Giovanni Giolitti, Sidney Sonnino, Antonio Salandra; per i popolari: Giuseppe Toniolo,Filippo Meda, Luigi Sturzo; per i socialisti: Antonio Labriola, Rodolfo Mondolfo, Enrico Leone, Arturo Labriola, Gaetano Salvemini, Filipppo Turati; per i comunisti: Antonio Gramsci e il gruppo de “L’Ordine Nuovo”; per i nazionalisti: Alfredo Rocco; per i repubblicani: i “più dignitosi, come il Ghisleri e il Facchinetti” e “alcuni giovani come Zuccarini, Conti, Schiavetti e Bergamo.

Gobetti svolge a parte il discorso sul fascismo. Per quale ragione?

In un discorso sulla lotta politica, dal punto di vista di Gobetti il fascismo non trova un suo posto perché non è un fenomeno politico, né prepolitico, come si direbbe oggi è un fenomeno antipolitico. Il fascismo nasce da una crisi della politica con lo scopo precipuo di abolire la politica. Se per politica si intende gobettianamente la lotta tra i partiti, i movimenti e le elite, il fascismo, come è evidente è l’antitesi della politica.

Torniamo ad oggi .

L’ultimo ventennio (più o meno) della storia nazionale è stato più volte paragonato al ventennio fascista e il condottiero della stagione odierna da cui siamo appena usciti è stato accostato all’“eroe rappresentativo” di quella stagione (con cui non abbiamo mai veramente fatto i conti una volta per tutte).

Entrambi i paragoni, credo, sono impropri se non per un aspetto.

Il berlusconismo come il fascismo è un fenomeno di immaturità politica.

Laddove la fine della politica avviene attraverso la soppressione brutale e autoritaria dei partiti, nel caso del berlusconismo, lo stesso scopo viene raggiunto attraverso lo svuotamento progressivo delle stesse ragioni fondative dei partiti che da strumenti attraverso i quali si organizza la lotta politica si vengono (si sono venuti) trasformando in comitati elettorali, macchine di raccolta del consenso al servizio allora del Duce, oggi di un Sultano, il presunto Capo di una presunta nazione, un ex magistrato, spiace dirlo di un politico poeta, di un tribuno del popolo. In questo senso l’accostamento riguarda la psicologia dei due condottieri e il loro rapporto con i sudditi.

Valgono per il Duce come per il Sultano le parole di Piero Gobetti: entrambi irrompono nella scena politica “in un’ora di sospensione e di incertezza” ponendo termine “alla tensione degli Italiani” e compromettendoli “in una banale palingenesi di patriarcalismo quando la solennità della crisi imponeva ai cittadini l’imperativo categorico della coerenza, della libera lotta politica, dell’autogoverno.

Parafrasando liberamente Gobetti il dubbio che egli ha rispetto a Mussolini si può estendere a Berlusconi: “Chi vorrà essere così ottuso da ricercare nel Sultano come nel Duce uno sviluppo, e delle ragioni ideali di progresso?”. Il giovane Gobetti ci ha insegnato a non confondere “un problema politico” con “un fenomeno di psicologia del successo.

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