La teologia della liberazione e teologia politica di Lanza del Vasto: un confronto sintetico

Antonino Drago

1. Introduzione

Come è noto, la teologia politica può assumere molti significati1. Intanto la sola teologia può essere dogmatica o pastorale; ed in ambedue i casi, o “negativa” o positiva. Nel seguito considererò il caso di una teologia pastorale negativa. Anche in questo caso essa può esprimere una ortodossia (orto=vero; doxa=, opinione, idea) o una ortoprassi; nel seguito la teologia sarà intesa in maniera particolare: come una riflessione sulla fede contestualizzata nella società, in funzione di un impegno per gli altri.

D’altra parte, la politica può essere vista dall’alto delle sue istituzioni più importanti, nella società e nella storia; per cui i suoi punti focali sono la sovranità e la spregiudicata lotta per le gestione dei vertici; oppure dal basso dei movimenti sociali, nei quali addirittura la testimonianza può diventare il primo impegno politico e (secondo la novità del XX secolo, la nonviolenza) i conflitti vengono risolti senza violenza.

Nel seguito considererò2 la teologia politica di Lanza del Vasto (LdV); essa è di tipo pastorale, negativa, movimentista e nonviolenta; e, secondo l’esempio del suo maestro Gandhi, basata sulla unità di fede e politica nella ortoprassi. Essa appare nuova anche perché, a differenza delle usuali teologie politiche basate su concetti (o religiose: ad es.: Dio, l’incarnazione; o politici: ad es.: la sovranità, la liberazione), essa ha un carattere, come vedremo, strutturale.

Qui esporrò succintamente le sue idee fondamentali (par. 2) per passare poi ad un confronto con la teologia della liberazione, il quale sarà molto utile per evidenziare la rilevanza della prima (par. 3).

2. Le idee fondamentali della teologia politica di Lanza del Vasto

La concezione politica di LdV è espressa soprattutto nel libro I Quattro Flagelli3. Ha per base teologica (cap. 1°) le originali interpretazioni (anche letterali) di Genesi3 e Apocalisse6 e 13; questi testi rappresentano a diverse scale sociali i mali fatti “da mano d’uomo”; che cioè gli uomini stessi si infliggono, perseguendo un fatalismo attivo (in Occidente) o passivo (in Oriente). Questi testi sacri sono del Cristianesimo; ma lui li sa vedere in maniera universale, trovandone gli analoghi in tutte le grandi religioni4; quindi li considera come espressioni di una religiosità universale, o anche di una sapienza plurimillenaria che non ha necessità di riferirsi esplicitamente a Dio, così come è tipico della nonviolenza di Gandhi; la quale non é una particolare religione, né una nuova religione, né una super religione, ma è pre-religiosa; cioè, è alla base di tutte le grandi religioni5.

Lanza del Vasto non legge questi testi mediante concetti singoli o mediante analogie; invece ne cerca i collegamenti strutturali, secondo una precisa lettura sociale; che, per prima, fornisce in maniera circostanziata una analisi di tipo sapienziale della modernità occidentale6. Da essa ricava una condanna della civiltà occidentale, in particolar modo della sua Scienza e Tecnica. Con questa ispirazione egli poi costruisce una analisi antropologica (cap. 2°), economica (cap. 3°) e politica (cap. 4°) della civiltà occidentale. In particolare, ha definito per la prima volta il concetto fondamentale della teoria politica nonviolenta: le quattro sovranità (cap. 4°, par. 60); concetto che permette una nuova visione politica, di tipo essenzialmente pluralista, giusto il carattere basilare della teoria della nonviolenza. Nel cap. 5° poi egli invita a scegliere la migliore tra queste sovranità. Riprendendo il filo del discorso teologico-sapienziale, indica la fuoriuscita dal Male al Bene mediante una conversione che, come indicano le Beatitudini, sia fuoriuscita dalle strutture sociali subite o lotta contro di esse, per costruirne di nuove; in particolare, per costruire la sovranità della società nonviolenta: la comunità, che nella forma di “comunità dell’Arca”, è di sua concezione.

In conclusione, la sua teoria teologico-politica è di tipo strutturale, sia per aver derivato il suo pensiero teologico da strutture cruciali delle grandi religioni, sia per aver riferito la sua analisi storica alle più importanti strutture sociali; sia per aver proposto una precisa struttura sociale alternativa all’interno di una teoria politica basata sul concetto strutturale delle quattro sovranità.

3. Confronto con la teologia della liberazione

Per una valutazione complessiva della teologia politica di LdV è utile un rapido confronto con quella della liberazione, molto più famosa7. Ambedue le teologie:

– corrispondono a quello che Gandhi aveva chiesto alle religioni: ridurre la tradizionale attenzione alle loro affermazioni di fede, per invece dimostrare nella prassi sociale la loro capacità di realizzare il bene degli uomini. Quindi in teologia mettere da parte le mediazioni filosofiche8, per invece porsi come teologie post-idealistiche9: l’ortoprassi, più che la ortodossia; darsi una vocazione pastorale invece di quella dogmatica, in modo da valorizzare soprattutto la etica. Di fatto questo cambiamento costituisce una conversione della tradizionale religiosità10.

– Contestualizzano la fede; in particolare, interpretano dei testi sacri in termini sociali: la prima interpreta tre testi biblici riferendosi ai mali fondamentali della civiltà alla quale si appartiene; la seconda la intera Bibbia riferendosi alla povertà nella realtà sociale, locale e internazionale.

– Sono di tipo cosiddetto “negativo”; LdV denuncia il Male (in tutte le sue forme, specie quelle più aberranti) per ricavarne la direzione positiva11; la teologia della liberazione accoglie il grido dei poveri in miseria, per lottare contro di essa in vista di un processo di liberazione.

– Risultano essere delle riflessioni su una fede che è inserita nella storia, che ne sa caratterizzare le strutture portanti, e che porta a compiere una conseguente prassi sociale.

– Condividono tre livelli di discorso: teologico, antropologico e sociopolitico.

– Sono di tipo strutturale, nel senso che si basano su una analisi sociale (che in alcuni teologi può essere quella marxista) delle strutture istituzionali e propongono cambiamenti sociali che riguardano quelle strutture, al fine di costruire nuove strutture.

– Il cambiamento sociale proposto è basato sulle comunità volontarie (parrocchiali nel secondo caso).

la Tabella seguente presenta un confronto sintetico che, per chiarezza, segue volutamente la sequenza definitoria dei concetti della Teologia della liberazione, quelli maggiormente noti 12.

Tab. 1: CONFRONTO TRA LA TEORIA DI LANZA DEL VASTO E LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

Progressione della TdL

Teologia della liberazione (dal 1973)

Teologia politica di Lanza del Vasto (1959)

*Realtà negativa… Miseria (economica e politica) dei poveri Miseria, Servitù, Guerra, Sedizione; fino a Due Bestie che dominano l’umanità con la Bomba
causata da il capitalismo in generale, Paesi oppressori peccato originale come peccato strutturale (universale per le organizzazioni)
(?)… dal quale si fuoriesce con una… scelta personale per: i poveri (per sé) e la loro liberazione collettiva conversione personale e strutturale
*La teologia è una riflessione critica sulla prassi… sociale dei popoli oppressi storica delle civiltà umane
(?)… alla luce della parola di Dio: i brani della Bibbia nei quali Dio sceglie i poveri Genesi 3, Apocalisse 6 e 13
*… intesa… in prospettiva cristologica in maniera universale (interreligiosa)
(?)… per vedere Come Dio opera positivamente nella storia come gli uomini operano nella storia nel Bene e nel Male
*… con la mediazione della analisi storico-politicastrutturale… sostanzialmente del Marxismo economicista che è stata costruita da LdV, negli aspetti antropologici economici e politici, e che è critica del Marxismo, inteso come teoria generosa ma inadeguata perché segue il progresso hegeliano della storia e il progresso della scienza13
*…al fine di proporreuna prassi… politica collettiva spirituale e politica, personale e collettiva
(?)…nel risolvere i conflitti… con tutti i mezzi nonviolentemente
(?)… fino a portare a (anche) la rivoluzione violenta la rivoluzione nonviolenta personale e sociale
facendo base su le comunità di base le persone convertite e le comunità
(?)… col risultato sociale finale di la società liberatoria per i poveri una federazione di comunità
(?)… che avrà compiuto un incremento storico anche materiale, favorito dal progresso della scienza e della tecnologia occidentali nei rapporti interpersonali, emancipati dalla civiltà occidentale

Legenda: * maggiore generalità in LdV; (?) differenza essenziale.

Si vede anche dalla Tabella che la seconda teologia si distingue dalla prima perché:

– deriva da testi sacri intesi come appartenenti non ad una particolare religione, ma ad una religiosità universale;

– attribuisce il male strutturale a tutti, poveri compresi;

– propone una alternativa al progresso occidentale, anche a quello ideologico, scientifico e politico; perciò intende superare anche il marxismo che è ristretto alla sola alternativa nella organizzazione sociale ed economica;

– al seguito dei testi sacri scelti, costruisce una analisi socio-politica ancora più estesa perché basata su due opzioni anche la opzione sul tipo di sviluppo);

– vede la lotta tra non solo alcuni gruppi sociali (cioè al livello solo meso della società), ma tutti i conflitti a tutti i livelli (micro, meso e macro)

– vuole risolvere i conflitti soprattutto con una conversione, che dal personale va a investire le strutture sociali;

– nonostante le forze oppressive esistenti al momento, propone la rivoluzione sociale subito, a partire da se stessi; al fine di ricostruire la vita associativa alla dimensione sociale del raggruppamento comunitario del tipo (tribù, villaggio) piccola città; mentre nella dimensione sociale più ampia conduce una lotta politica per cambiare le strutture negative e per stabilisce rapporti federativi con realtà simili alla sua;

– ammette mezzi di lotta solo nonviolenti (evangelici); quindi rifiuta il Machiavellismo in politica.

Si può anche dire sinteticamente che la teologia della liberazione è opera di teologi che accostano la (parte sostanziale della tradizionale) teologia alla teoria politica (quella tradizionalmente alternativa in Occidente, magari il marxismo) e ne fanno scaturire, con l’opera interpretativa delle comunità parrocchiali, il progetto della liberazione14; mentre invece la teologia politica di LdV parte come teologia da laici e, applicata alla realtà sociale e storica, ne fa scaturire una visione sapienziale che costruisce una nuova analisi storico-sociale-politica, che indirizza a fondare nuove comunità.

Si noti che si può sintetizzare il confronto di questo paragrafo anche in termini linguistici. Una prima doppia negazione è: la teologia di LdV indirizza l’attenzione della fede ai flagelli e invita a convertirsi da essi, sia a livello personale che strutturale, tanto da incominciare subito la nuova struttura sociale, la comunità una ulteriore doppia negazione è quella del suo metodo di azione: nonviolenza. Con queste doppie negazioni essa va a ragionare in maniera alternativa a quella affermativa classica occidentale. Invece la teologia della liberazione indirizza l’attenzione della fede alla ingiustizia della povertà; e vuole eliminarla con un processo storico popolare di fede; essa però non si riconosce in questa doppia negazione, perché si autodefinisce “teologia della liberazione”; dove la doppia negazione è diventata un termine (“liberazione”) che ha una sua astrattezza ed anche una sua equivocità (è il mondo occidentale che si autodefinisce “mondo della libertà”).

E’ sorprendente che la teologia politica di LdV è nata più di dieci anni prima di quella della liberazione, ma è stata ignorata da questa. Eppure la prima è anche più generale della seconda; la quale infatti sul tema Bene/Male considera solo il testo sacro Apocalisse6; e di tutti i flagelli sociali considera solo quello della povertà; inoltre, rispetto alla prassi delle Beatitudini, intese come conversione-trasformazione personale e sociale, questa teologia considera la liberazione dei soli poveri, cioè solo la prima e l’ultima beatitudine.

In alcuni punti poi la teologia della liberazione è anche divergente da quella di LdV: accetta la “modernità” (con la sua scienza e il suo progresso); inoltre ricorre ad analisi politiche (o correnti, o quella formulata quasi cento anni fa, la teoria politica marxista), nelle quali si parte da presupposti tutt’altro che religiosi e la categoria interpretativa della realtà sociale è solo il capitalismo. Mentre invece la analisi sociale di LdV è ricavata da presupposti teologici e filosofici sapienziali millenari aggiornati alla contemporaneità.

Inoltre la teologia della liberazione ha una prospettiva storica molto diversa: prospetta la liberazione-rivoluzione come un evento non immediato, ma da preparare per il momento storico opportuno, da realizzare mediante movimenti collettivi (in particolare quello operaio) che dovranno eliminare il gruppo sociale che causa il conflitto sociale; infine, benché sviluppi, come la teologia di LdV, la sovranità della comunità (sia pur solo parrocchiale), vuole passare a quella sovranità che già è stata sperimentata da vari Paesi del mondo (socialismo in vista del comunismo): in termini di Galtung, il modello di sviluppo rosso.

LdV non ha mai scritto sulla teologia della liberazione, salvo un commento al discorso di Papa Giovanni Paolo II a Medellin nel 1979 su quella violenza che, in quel tempo veniva sostenuta da molti cattolici del tempo nella forma della insurrezione armata15. LdV mantiene una netta presa di distanza da essa:

Dichiarando, al congresso di Medellin, che “la violenza non è cristiana”, il Papa non fa che enunciare una cosa evidente. Che la sua parola abbia fatto una specie di scandalo, anche nella Chiesa, è un segnale sinistro. [Purtroppo] L’assemblea dei Vescovi dell’America Latina ha tranquillizzato gli spiriti spiegando che il rifiuto della violenza “è un ideale”. In uno stile più cattivo, è quello che altre volte si diceva quando tutto quello che nel Vangelo non è conforme alla morale del mondo veniva definito come “consigli evangelici”, dando [così] la libertà a ogni cristiano di non tenerne alcun conto.

In un’epoca in cui la dottrina della “guerra giusta” comincia a cadere in discredito, quella che nella cristianità si può chiamare l’ala sinistra cerca di reclamare il diritto alla violenza rivoluzionaria. In Francia, un certo Padre Cardonnel insegna e predica una “teologia della violenza”, richiamandosi a maestri spirituali [!] come Castro, Torres, Che Guevara e Mao.

E ‘ precisamente contro questa corrente che Paolo VI pone la sua dichiarazione; il che è giusto; ma insufficiente, e per di più, inefficace. Perché è vano condannare la violenza se non si predica la nonviolenza. Perché essere nonviolenti è altra cosa che non essere violenti; e il dire all’oppresso o allo sfruttato di non essere violento, è semplicemente abbandonarlo nella mani dell’oppressore. Al che si replicherà che il discorso del papa in Colombia è una diatriba veemente contro la miseria, la ingiustizia e lo sfruttamento. E’ vero, ma altra cosa è dire al primo “Non ti rivoltare” e al secondo “Il tuo regime è rivoltante”, e altra cosa è mostrare la maniera di uscire da uno stato di ingiustizia senza commettere ingiustizia16.

La sua posizione sulla lotta di classe è espressa sinteticamente nel seguente brano:

Noi non intendiamo associarci con gente i cui fini non sono i nostri e di cui non condividiamo i mezzi. Siamo anche contrari alla guerra civile come alle altre guerre, alla « dittatura del proletariato », come alle altre dittature. Desideriamo non la vittoria e l’estensione del proletariato, bensì la soppressione del proletariato, del salariato e delle altre forme di servitù./ Ci auguriamo di avere un giorno dei Compagni preparati e chiamati alla missione nelle fabbriche, e non certo per incitare gli operai a votare i loro deputati o a far sciopero per avere migliori salari. Il loro compito sarà dire ai loro compagni; « Uscite di là. Perché volete rimanere schiavi? Venite con noi! Vi mostreremo come si lavora liberamente per sé e per i propri fratelli e non per un padrone o per lo Stato »./ Quello che abbiamo costruito con l’Arca è una società senza classi, dove ognuno lavora secondo le proprie forze, i propri talenti, i propri gusti e riceve secondo i propri bisogni./ E tutto ciò senza ammazzare nessuno17.

Qui appare la grande novità della teoria politica di LdV tra le tante altre teorie politiche. Il punto fondamentale di scontro o incontro con altre teorie è quello del conflitto. Le teorie occidentali (compresa la teologia della liberazione) hanno tutte concepito il conflitto come irrisolvibile in extrema ratio; da qui il frequente ricorso alle guerre. Mentre invece per LdV, nonviolento come Gandhi, il pluralismo è sempre essenziale.18

Per terminare questo confronto non si può ignorare che i popoli della rivoluzione mondiale del 1989 hanno dimostrato caduca la prospettiva politica del socialismo (senza critica del progresso), mentre invece si sono ispirati alla ideologia della prima teologia: la nonviolenza..

D’altronde è stato lungo il cammino on il quale la Chiesa cattolica ha dato importanza al concetto di nonviolenza. Nel 1965, dietro sollecitazione di vari nonviolenti (tra i quali 20 donne internazionali in digiuno per 10 giorni a Roma), il concilio Vaticano II con la Gaudium et Spes (n. 78) ha dichiarato che “non possiamo non lodare coloro“ che seguono l’insegnamento della nonviolenza. Finalmente nel 2007 Papa Benedetto XVI ha definito le Beatitudini la Magna Carta della nonviolenza cristiana: il concetto è di LdV19.

Ma la Chiesa Cattolica ha molta difficoltà ad accettare la nonviolenza di LdV. Con il Concilio i teologi “incarnazionisti” (cioè quelli che sostengono che non bisogna creare distacchi dal mondo) hanno prevalso, accettando in toto la scienza e la tecnica (tanto che la proibizione di Paolo VI alla pillola sorprese tutti, compresa la sua commissione consultiva) e poi ha fatto scuola la frase “il nuovo nome della pace è il progresso”(Populorum progressio, 1968, n. 82). Successivamente non c’è stato un ripensamento globale, salvo impuntarsi su particolari aspetti paradossali della scienza (aborto, cellule staminali dei feti, ecc.).


Note

1 Per una rassegna vedasi ad es. M. Scattola: Teologia Politica, Il Mulino, Bologna, 2007, o il Blackwell Companion on Political Theology, Blackwell, London, 2004; in particolare, per una analisi dei contenuti della teologia politica M.A. Hewitt: “Critical Theory”, 454-470, pp. 454-61. Per la sua attualità, G. Coccolini: “Il ritorno della teologia politica”, Rivista di Teologia Morale, 42, n. 165 (2010) 45-55. Nessuno di questi autori ricorda quella di LdV, né quella di Gandhi.

2 Per una introduzione al suo pensiero si veda la piccola antologia Lanza del Vasto: Lezioni di Vita, LEF, Firenze, 1976. Per una prima caratterizzazione dal punto di vista teologico, vedasi D. Abignente e S. Tanzarella (edd.): Tra Cristo e Gandhi.L’insegnamento di Lanza del Vasto alle radici della nonviolenza, San Paolo, Milano, 2003. Per una introduzione al suo pensiero filosofico, A Drago e P. Trianni (edd.): Tra Oriente ed Occidente. La Filosofia di Lanza del Vasto, Il grande Vetro/Jaca book, Milano, 2007. Un ulteriore esame del suo pensiero, anche politico, è il libro A. Drago (ed.): Il pensiero di Lanza del Vasto. Una risposta al XX secolo, Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010.

3 Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli (orig. 1959), SEI, Torino 1996. In Id La Montée des Ames Vivantes, Denoël, Paris 1968, p. 260, si dà il merito di aver collegato per primo i quattro flagelli con il peccato originale; in realtà, li collega anche con Apocalisse 13 e con la conversione indicata dalle Beatitudini. In Id.: L’Homme Libre et les Anes Sauvages, op. cit., cap. III par. 7 indica un altro percorso biblico che gli permette di ripetere il percorso storico della crescita del Male nel mondo. Parte dall’identificazione del peccato originale con “il peccato del mondo” secondo 1 Gv 2, 16 (“avidità… e orgoglio”), prosegue con le storie di Babele (Genesi 2, 1-9), Babilonia, la Grande Babilonia di Apocalisse 18 e la “Massima Babilonia” della “civiltà” moderna.

4Ha collegato le religiosità d’Oriente e d’Occidente tra i primi, cominciando col libro sul suo viaggio in India (1937-38): Pellegrinaggio alle Sorgenti (orig. 1943), Il Saggiatore, 20066. Egi vede il peccato originale anche nell’induismo, nell’insegnamento della “ignoranza” (avidya); d’altronde anche Gandhi credeva nel peccato originale; ha scritto all’inizio del cap. X di Hind Swaraj, Amhedabad, 1909 (tr. it.: Vi spiego i mali della civiltà moderna, Ed. Gandhi, Pisa, 2009): “Le nostre difficoltà sono una nostra creazione [fantasiosa]. Dio ha posto un limite all’ambizione motoria dell’uomo quando ha dato forma al suo corpo. L’uomo si è dato immediatamente da fare per scoprire il modo di oltrepassare quel limite. Dio ha offerto all’uomo l’intelletto affinché potesse conoscesse il suo Creatore. L’uomo ne ha abusato affinché potesse dimenticarsi del suo Creatore.” LdV (La Montée des Ames Vivantes, Denoël, Paris, 1968, p. 244) indica di essere stato preceduto in parte:da A. Toynbee (La civiltà nella Storia, op. it., p. 101: un “tirare a sé” la vita circostante); ma in realtà da N. Cusano, così come è stato ricostruito da G. Cuozzo: “Nicola Cusano”, in G. Riconda et al. (edd.): Il Peccato Originale nel Pensiero Moderno, Morcelliana, Brescia, 2009, 129-151: “abusando della libertà volle introdursi di propria iniziativa nella scienza. E volle sapere, anziché credere”, p. 132, per “conoscere da se stesso il bene e il male.”; p. 130) e da Gandhi (come già notato). Come spiega bene C.L. Rossetti (“Peccato originale e pensiero politico. Machiavelli e l’antropologia cristiana”, Gregorianum, 90 n. 3 (2009) 510-532) la teologia cattolica è legata alla interpretazione del peccato originale come peccato, nella sua motivazione, di superbia, quindi relativo al rapporto con Dio. Invece Machiavelli, Toynbee, Gandhi e LdV lo vedono nei rapporti con gli altri e con la natura (come d’altronde 1 Gv 2, 16): la insaziabilità dell’uomo, che si esprime negativamente come ingratitudine verso la propria origine infinita in Dio, e positivamente come ambizione verso il superuomo. Alla luce del “666…”, così come è interpretato da LdV (espansione illimitata dell’uomo sul piano animale), non c’è contrapposizione: anche la superbia verso Dio è un voler tendere all’infinito (come nel caso della torre di Babele, Genesi, 11, 1-9); inoltre sia Gandhi che LdV non dimenticano il rapporto con Dio, perché essi trattano del dono ricevuto da Lui (la conoscenza). Quindi la lettura socio-fenomenologica (antropocentrica), indotta dalla esperienza sociale dei laici non de-teologizza o secolarizza il dato rivelato, anzi lo conferma. Il concepire il peccato originale passando al contesto politico non ne esclude la natura religiosa, piuttosto la invera nella storia umana attraverso la sintesi delle intuizioni di ciò che è avvenuto ed avviene nella vita politica; e, richiamandosi al testo biblico del peccato originale, sostiene che esso sempre varrà, anche nella storia umana futura. Anche i testi di Apocalisse 6 e 13 hanno corrispettivi nei testi o negli insegnamenti di quelle grandi religioni che mettono in guardia il fedele contro lo spirito dei tempi; Gandhi stesso, alla fine del cap. VI del precedente libro, ricorda che i Maomettani considerano “satanica” questa civiltà e gli Indù l’Età nera (Kali Yuga). Le Beatitudini esprimono l’insegnamento religioso universale della conversione. Una visione teologica nella stessa direzione di LdV (sul peccato originale, su Apocalisse 13, sulla critica radicale delle istituzioni occidentali, compresa la tecnica), ma di tipo anarchico, è quella di pochissimo successiva di Jacques Ellul (vedasi ad es. in internet la sua voce in Wikipedia versione inglese).

5 Lanza del Vasto: L’Arca aveva una vigna per vela (orig. 1978), Jaca book, Milano, 19952, cap. VI. Era A.J. Toynbee: La civiltà nella Storia, Einaudi, Torino 1950; Idem: Civiltà al paragone, Bompiani, Milano 20033 che prevedeva nel futuro dell’Occidente una super religione.

6 Gi studi su questo libro sono i seguenti: P. Ricci Sindoni: “Prefazione” alla traduzione italiano del libro, pp. xii-xxi; da un punto di vista teologico D. Abignente: “Il Male nella Storia. Lanza del Vasto legge Apocalisse 13”, inD. Abignente e S. Tanzarella (edd.): Tra Cristo e Gandhi, op. cit., pp. 85-101 e P. Trianni: “Nonviolenza come profezia politica e come lettura della storia di Lanza del Vasto”, in ibidem, pp. 235-294. Uno studio a carattere più generale è quella di A. Cozzo: “Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto”, in A. Drago (ed.): Il pensiero di Lanza del Vasto, op. cit., pp. 113-125. I miei studi sono: “L’autorità dei Libri Sacri e l’autorità della scienza moderna”, Progresso del Mezzogiorno, 26, giu-dic. 2002, 231-248; “Fondamenti spirituali della nonviolenza”, in D. Abignente e S. Tanzarella (edd.): Tra Cristo e Gandhi. op. cit., 139-179; “I Quattro Flagelli di Lanza del Vasto: le sue categorie politiche e intellettuali”, in A. Drago (ed.): Il pensiero di Lanza del Vasto, op. cit., 127-150; “Guida alla lettura de I Quattro Flagelli di Lanza delVasto”, in stampa su Arca Notizie.

7 Per una introduzione vedansi ad es. P.S. Vanzan: “Luci ed ombre della teologia della liberazione”, Civiltà Cattolica, II, 1975, 342-356; R. Gibellini: Il dibattito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Brescia, 19902; V. Falsina: Il nuovo ordine mondiale. Insegnamento sociale della Chiesa e teologia della liberazione, EMI, Bologna, 2006; R.S. Goizueta: “Gustavo Gutierrez”, in Blackwell Companion to Political Theology, Blackwell, London, 2004, 288-301

8 In LdV ciò ha significato mettere da parte la sua filosofia, formulata sin da giovane con la sua tesi di laurea: Approccio alla Trinità Spirituale, Università di Pisa, 1928. Rimaneggiata, è stata pubblicata molto più tardi: La Trinité Spirituelle, Denoël, Paris, 1971. Su di essa è stato pubblicato un poderoso studio; D. Vigne: La Relation infinie. La philosophie de Lanza del Vasto, Cerf, Paris, 2008 e 2010.

9 J.B. Metz (cit. in R. Gibellini: Il dibattito sulla Teologia della Liberazione, op. cit.: 119) distingue tre paradigmi nella teologia cattolica: quello neo-scolastico (di tipo pre-illuministico), quello idealistico trascendentale (secondo il razionalismo critico moderno) e quello post-idealistico, nel quale la teologia della liberazione fa la parte da leone.

10M.K. Gandhi: Antiche come le Montagne (orig. 1958), Ed. Comunità, Milano, 1963, pp. 87-97, in particolare i brani 17-28 e K.L.S. Rao, “Truth, Nonviolence and Ecumenism in Gandhian Thought”, in Gandhi Marg, 11 (1990), pp. 430-444 e R.K. Gupta: “On conversion”, Gandhi Marg, 21 (2000) 69-75. Sul collegamento con la teologia della liberazione può essere utile la lettura di I. Jesudasan: La teologia della liberazione in Gandhi, Cittadella, Assisi, 1986, benché per lo più descrittiva. Più interessante è il confronto di I. Harris: “Gandhi and Liberation Theology”, Gandhi Marg, 14 n. 3 (1992) 463-477.

11 Venti anni più tardi, anche la nuova teoria (non teologica) dell’etica sociale di H. Jonas: Il principio di responsabilità (orig. 1979), Einaudi, Torino, 20022, si è basata “negativamente” sulla “Paura per il suicidio dell’umanità”. Di solito si indica un indirizzo di pensiero (teologico, etico epistemologico,, ecc.) come “negativo” quando in realtà esso argomenta mediante non semplici negazioni, ma doppie negazioni che non sono equivalenti alle corrispondenti affermative. Vedansi i miei scritti: “Popper’s falsificationism interpreted by non-classical Logic”, Epistemologia, 30 (2007) 235-264 (con A. Venezia); “Dal problema energetico il suggerimento di una nuova morale: Jonas ed oltre”, Progresso del Mezzogiorno, 27, giu-dic. 2003, 85-106.

12 In particolare R. Gibellini: Il dibattito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Brescia, 19902.

13 Vedasi in particolare Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli, op. cit., parr. 21, 57-62.

14 In particolare, C. Boff intervistato R. Gibellini: Il dibattito sulla Teologia della Liberazione, op. cit., pp. 137-138; M.A. Hewitt: “Critical Theory”, op. cit., pp. 462-465.

15 Ammessa, benché con un distinguo, anche dalla Populorum progressio n. 31 di Papa Paolo VI nel 1968: “E tuttavia sappiamo che l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine.”

16 Lanza del Vasto: “Sur le discours du Pape à Medellin”, Nouvelles de l’Arche, 17 (1978) p. 25. Molto probabilmente il giudizio di LdV sulla teologia della liberazione era simile a quello di J. Maritain in Le Paysan de la Garonne (1966), in Oevres de Jacques e Raissa Maritain, St. Paul, Paris, 1982-1999, pp. 742 e 749 (il quale si esprime in termini simpatetici con la nonviolenza; v. ibidem, p. 741).

17 R. Pagni: Ultimi Dialoghi con Lanza del Vasto,, op. cit. p. 113.

18 Solo Habermas dentro una democrazia ammette il confronto tra atei e credenti, che è ovviamente irriducibile, ma è utile nella formazione di una legge, che comunque dovrà essere universale per tutti i cittadini; mentre invece ad es. Rawls prevede la pratica esclusione della minoranza. Vedasi ad esempio il dibattito su Micromega n. 7, 2007.

19 Lanza del Vasto: I Quattro flagelli, op. cit., p. 471, pp. 551-552.


 

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