La crisi e il valore dei partiti – Pietro Polito

Quale può essere logicamente e praticamente il valore di un partito?”.

La domanda è di Piero Gobetti che se la poneva già nel 1919 esaminando severamente i partiti del suo tempo.

Di seguito svolgo un ragionamento di ispirazione gobettiana, avvalendomi di idee, concetti, parole, proposte che “rubo” al giovane teorico di una rivoluzione liberale.

I debiti verso Gobetti sono dichiarati al lettore con l’uso del corsivo. Ricordo che la sua diagnosi riguarda i partiti all’indomani della prima guerra mondiale nel tempo che preparerà il fascismo.

La vita pubblica italiana è segnata da una acuta mancanza di sincerità e di chiarezza, da una tragica contraddizione che investe sia i metodi che gli uomini, sia i principi che le conseguenze: i partiti che sono gli schemi attraverso i quali dovrebbe svolgersi la vita politica nostra non permettono agli uomini e alle donne di esprimere la propria vitalità.

Oggi i partiti si richiamano a formule vaghe, generiche, imprecise, rappresentano interessi personali, somigliano sempre più ad aggregazioni egoistiche che agiscono fuori dalla politica che è organizzazione, azione comune, ricerca di un equilibrio tra interessi, ragioni ideali e teoriche, questioni politiche.

La vita dei partiti è logorata da un circolo pernicioso: gli uomini rovinano i partiti e i partiti non aiutano il progresso degli uomini.

Dopo la caduta del sistema dei partiti in auge nella Prima Repubblica (il cosiddetto arco costituzionale costituito da Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito Socialdemocratico, Partito Liberale, Partito Repubblicano, con l’esclusione a destra del partito neofascista e con la conventio ad excludendum dei comunisti dalle stanze del governo, si è venuto costituendo un nuovo “sistema” dei partiti, liquido, gassoso, che rappresenta il passato più che il futuro della politica.

I partiti attuali presenti in Parlamento sono da un lato il Partito della Libertà, il Partito Democratico, il Terzo Polo, cioè la maggioranza eterogenea, ma non troppo, che sostiene il governo Monti, dall’altro la Lega e l’Italia dei Valori, la nuova opposizione.

Fuori al Parlamento si agita una miriade di partitini, tra i quali un partito comunista e un partito nato e forse allontanatosi da quel ceppo.

A un anno dalle prossime elezioni del maggio 2013 non sappiamo se esse si svolgeranno tra questi partiti, tra quali coalizioni, né con quale sistema elettorale.

Gli attuali partiti sono tutti chi più chi meno partiti “personali”, costruiti a misura di un capo più o meno carismatico che li guida o li condiziona indirettamente se non più in prima persona. Il discorso vale tutto sommato anche per il Partito Democratico, che non è un partito ma un amalgama più o meno riuscito di due o più partiti.

La politica italiana sembra destinata a procedere per composizioni momentanee che non possono essere se non trionfo di interessi personali con smarrimento completo degli ideali e asservimento dell’attività ad un vuoto nominalismo.

I partiti sono ridotti a schemi vuoti, è mancata (manca) la fiamma che animasse le formule; di educazione politica non c’è stata, non c’è neppure l’ombra.

Quale il rimedio?

Occorre che si avvii un sano ripensamento di idee, un processo ansioso e accurato di chiarificazione di principi; che si rovesci l’approccio dalle formule conclusive ai metodi, ai processi d’arrivo; che maturi un metodo nuovo, una passione nuova; che si comprenda che non si lavora a breve scadenza, che i risultati saranno lenti ma si tratta di un intero rivolgimento morale.

Un rivolgimento che può avvenire mediante un lavoro lungo e paziente che scuota e muti un po’ anche gli uomini.

Postilla

La nostra fede

di Piero Gobetti

Bisogna che noi creiamo ogni giorno una conquista nuova e, poiché conquistare non è che allargare i propri limiti, bisogna che noi arriviamo a comprendere sempre più l’immanenza dello spirito, a vedere in ogni fatto, in ogni conseguenza una parte della nostra anima stessa.

Con questa passione profonda – che non diventa abitudine, e neppure azione inconsulta, ma resta normalità intensa, conquista progressiva e non intermittente o frammentaria – non si concilia la freddezza e la indifferenza che pervade ed irrigidisce la vita d’oggi. Malattia che consuma ed uccide, bassezza per cui i nervi si rompono all’atto stesso della lora funzione. Tutta la vita moderna è estenuata da questa spaventosa anemia. Ma non ci ribelliamo. Riportiamo a questo punto la distinzione tra moralità e immoralità. Non può essere morale chi è indifferente. L’onestà consiste nell’avere idee, e credervi e farne centro e scopo di se stesso. L’apatia è negazione di umanità, abbassamento, di sè stessi, assenza di idealità. Può essere in molti affettazione di superiorità e pretesa di originalità, ma a tutta la massa di assenti c’è da preferire gli intolleranti, gli uomini feroci di parte, pervasi di odio che non cessa. Questi prendono posizione, non fuggono la lotta.

Ed è più umana la malvagità che la vigliaccheria.

Nell’immensità del mondo dello spirito non possiamo predicare l’astensione per nessuna forma. Ogni modo di attività è legittimo se umano. Onesto è riconoscere una deficienza del proprio pensiero, ma non si può disprezzare ciò che ci manca. Tale è il rigido senso di responsabilità che ci dà la nostra fede.

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