Il mulino e la croce

Massimiliano Fortuna

I colori della Passione per Lech Majewski sono quelli di Pieter Bruegel il Vecchio, di un suo quadro conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna: la Salita al Calvario. The Mill and the Cross suona il titolo originale del film, il mulino e la croce, e trae ispirazione dall’omonimo libro del critico d’arte Michael F. Gibson, anche autore, assieme a Majewski, della sceneggiatura.

Un film straordinario, proprio nel senso letterale del termine: fuori dell’ordinario, inconsueto, perché interamente immerso entro la cornice di un quadro. La narrazione cinematografica svolge e dipana quell’istante temporale che il pittore ha congelato nel dipinto e nel far questo ci offre una sorta di analisi critica scritta con la cinepresa invece che con la penna. Ci troviamo ad essere come risucchiati nella genesi artistica di questa tavola di Bruegel, nella costruzione dei suoi significati simbolici, nella critica sociale che fa da sfondo e l’attraversa e, in ultima istanza, in una riflessione sui processi creativi dell’arte.

Al di sotto di un mulino – che rappresenta un Dio isolato nei cieli che sovrintende al destino degli uomini – si svolge il doloroso avvicinamento alla croce, l’intreccio delle passioni umane. Bruegel trasfigura questa scena ambientandola nella sua epoca e nella sua terra, le Fiandre da poco occupate dalle milizie spagnole e attraversate dalla violenza suscitata dai contrasti religiosi. La Passione è sempre tra noi, i grandi artisti sanno reinterpretarla di continuo.

Commentando il suo film, l’autore ha notato che nelle opere di Bruegel esistono diversi livelli di lettura: «il primo è quello più semplice, quello della narrazione; poi c’è il linguaggio dei simboli, che lui dissemina in ogni angolo; infine scopri la sua filosofia, quella caratteristica unica di nascondere i suoi caratteri principali. Nelle sue opere troviamo sempre il soggetto principale nascosto sullo sfondo». Questo terzo livello costituisce il filo rosso della poetica di Bruegel, il fulcro della sua genialità pittorica.

Nella Salita al Calvario Gesù occupa, infatti, il centro della scena, ma è appena caduto, coperto dalla croce si confonde tra la folla, che sembra quasi tutta guardare altrove. Così in un altro famoso quadro, la Caduta di Icaro, nel quale l’Icaro che gli dà il nome compare in una porzione marginale del dipinto: l’impatto con l’acqua avviene in quell’istante e solo le gambe sono visibili sopra la superficie del mare, mentre in primo piano un pastore e un contadino non danno segno di accorgersi di quel che sta accadendo. Come a dire che spesso gli eventi fondamentali ci sfuggono, presi dalle occupazioni di ogni giorno rischiamo di non notare quel che più conta.

Ecco, se fossimo chiamati a condensare in poche parole il film di Majewski forse opteremmo per queste: l’arte, oltre a tutto il resto, ci educa all’attenzione.


 

1 commento
  1. Isabella
    Isabella dice:

    Film stupefacente… direi quasi ipnotico. Ho gradito moltissimo l'assenza di colonna sonora tranne che in rari momenti e comunque delicatissima. Chi ha gli strumenti per apprezzare l'arte apprezzerà molto questo film. Originalissimo lavoro e delicato anche nelle scene di violenza che risultano come ovattate.

    Il regista polacco è anche un video-artista e si vede…

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