La chiamavano guerra. Sulla pace e l’arte di costruirla – Recensione di Nanni Salio

Davide Berruti, La chiamavano guerra. Appunti di viaggio sulla pace e l’arte di costruirla, Infinito, Castel Gandolfo (Roma) 2012, pp. 140

Una bella autobiografia, scritta con scioltezza a poco più di quarant’anni perché, come fece Gandhi a suo tempo, Davide Berruti ha cominciato da giovanissimo a girare il mondo e ha molte cose da raccontare.

Il messaggio è quanto mai chiaro: è possibile costruire un mondo di pace autentica, sappiamo anche come fare, ma bisogna abbandonare definitivamente lo strumento militare. Dieci agili capitoli ci conducono a ripercorrere i principali eventi dal 1989 a oggi nelle molte aree di guerra e conflitti armati in cui l’autore ha svolto azioni di peacekeeping civile, dalla Palestina ai Balcani, da Cipro al Sud Sudan alla Colombia.

Nel riesaminare i singoli eventi di cui è stato partecipe e testimone, Davide non nasconde le critiche e le insufficienze che spesso hanno contrassegnato l’azione del movimento per la pace o delle ONG. Il suo non vuole essere un testo teorico, ma esperienziale, che tuttavia suscita inevitabilmente alcune delle grandi questioni su cui si interrogano ricercatori, educatori e attivisti.

D’altronde, egli stesso è impegnato contemporaneamente non solo come attivista, ma anche come formatore nei corsi di mediazione dei conflitti e come ricercatore, insieme a coloro che in Italia tentano di introdurre anche nel mondo accademico i temi classici della ricerca per la pace.

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