Aldous Huxley, Lev Tolstoj e la scienza moderna

Enzo Ferrara

Nel 1946, lo scrittore e saggista Aldous Huxley (1894-1963) scrisse un testo diventato poi famoso: Scienza, Libertà e Pace, una raccolta di riflessioni sulle correlazioni fra la scienza, la violenza insita nei moderni modi di produzione e consumo e le possibili strade per una transizione nonviolenta. Nel corso del XIX secolo – osservò Huxley – l’impiego degli eserciti di liberazione sembrava aver aperto importanti possibilità e prospettive alla ‘liberazione’ umana attraverso le barricate e i forconi, contrapposti alla cavalleria e ai cannoni dei governi; tuttavia, di fronte al rapido sviluppo di armi di distruzione massiva, la capacità di resistenza delle popolazioni ha poi assunto una potenzialità irrisoria, al massimo simbolica. Similmente, i mezzi di persuasione di massa – che a quell’epoca erano la stampa e la radio – stavano diventando strumenti molto efficaci di coercizione, sempre nelle mani degli oppressori, ancora reiterando la possibilità per pochi di manipolare molti.

La produzione di massa, inoltre, che è l’essenza vera della società industriale, ha avuto un ruolo fondamentale in questo processo di controllo e soggezione – concludeva Huxley. Per questo la produzione centralizzata, che è nelle mani dei governi e delle grandi corporation, pone ogni ostacolo alle produzioni distribuite e partecipate di beni di qualunque tipo. E in ciascuna delle attività di controllo – le armi, i mezzi di comunicazione e l’industria – scienza e tecnologia svolgono un ruolo cruciale, tanto che in definitiva il loro maggior contributo (contrariamente a quanto solitamente si crede) si è risolto in un implicito appoggio agli oppressori e in un intralcio all’allargamento dei diritti di pace e libertà.

Il rimprovero di Huxley alla scienza e alla tecnologia è marcato: sono principalmente asservite al potere. Se invece volessero dedicarsi alla libertà e alla pace, scienza e tecnologia dovrebbero essere reindirizzate; gli scienziati dovrebbero boicottare le ricerche nocive e dovrebbero svolgere azioni per il sostegno della ricerca scientifica di valore solidale. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto sia attraverso azioni politiche indirizzate al controllo degli avanzamenti scientifici, sia attraverso azioni più propriamente scientifico-tecnologiche, per esempio favorendo e accompagnando nel mondo lo sviluppo, regione per regione, della autosufficienza energetica e alimentare.

Il saggio di Huxley comincia con la citazione di un testo dello scrittore russo più famoso al mondo, Lev Nikolàevic Tolstoj (1828-1910), che negli anni di passaggio dal XIX al XX secolo sentì l’urgenza di commentare un saggio dello scrittore inglese Edward Carpenter (1844-1929), Critica della Scienza Moderna, del 1885. “Se in una società il potere è nelle mani di pochi – si chiede Tolstoj – allora il controllo sulla natura offerto dalla scienza e dalla tecnologia servirà ad accrescere o a ridurre le ineguaglianze economiche e sociali?”.

Huxley, tuttavia, nel suo libro non citò la fonte dello scritto di Tolstoj. Con un poco di impegno, siamo riusciti a trovarne una versione del 1961, che proponiamo qui di seguito tradotta in italiano.

Scienza Moderna (1)  di Lev Nikolàevic Tolstòj

Penso che questo saggio di [Edward] Carpenter – una critica della scienza moderna – possa
tornare particolarmente utile alla società russa dove, più che in ogni altro luogo d’Europa, vige una
superstizione prevalente e profondamente radicata secondo cui gli uomini per il loro benessere
avrebbero bisogno di condividere, non un intenso sentimento di consapevolezza religiosa e morale,
ma lo studio della scienza sperimentale, e questa scienza per di più sarebbe in grado di soddisfare
tutti i bisogni spirituali dell’umanità.

È evidente quale pessima influenza (come le superstizioni religiose) possa avere sulla vita
morale un pregiudizio così grossolano. Per questo è auspicabile la pubblicazione delle riflessioni di
scrittori capaci di trattare criticamente la scienza sperimentale e il suo metodo, specialmente nella
nostra società.

Carpenter mostra che l’astronomia, la fisica, la chimica, la biologia e la sociologia non
possono fornirci alcuna conoscenza veritiera sulla sostanza dei fatti; che tutte le leggi scoperte da
queste scienze sono solo generalizzazioni e che come leggi hanno valore solo approssimativo; che
queste leggi valgono solo fino a che non scopriamo o non consideriamo certe altre verità; perfino
che queste leggi sembrano a noi tali solo perché le consideriamo in condizioni ipotetiche così
lontane nel tempo nello spazio che non possiamo nemmeno verificare la loro non corrispondenza
con la sostanza dei fatti.

Carpenter, inoltre, osserva che il procedimento della scienza – che consiste nel dare
spiegazione dei fenomeni che sono per noi più importanti e vicini attraverso fenomeni più lontani e
marginali – è un metodo inattendibile che non potrà mai portarci al risultato desiderato.
Egli afferma che ogni scienza cerca di spiegare l’insieme dei fenomeni che osserva
riducendoli a nozioni e rappresentazioni più semplici ma di ordine inferiore. “Ogni scienza è stata
portata il più possibile ai minimi termini. L’etica è ricondotta a questioni di utilitarismo ed
ereditarietà dell’esperienza. L’economia è stata spogliata di tutti i nessi riconducibili al sentimento
di giustizia fra uomo e uomo, alla compassione, all’altruismo e all’istinto di solidarietà, ed è stata
fondata sul suo fattore di livello più basso: l’egoismo. Alla biologia è stato tolto ogni concetto
correlabile con il principio di vitalità nelle piante, negli animali e negli uomini; il ‘sé’ in questo caso
è stato messo da parte ed è stato fatto uno sforzo per ridurre questa disciplina scientifica a questioni
di affinità chimiche e cellulari, protoplasmi e leggi dell’osmosi. A loro volta, le affinità chimiche e
tutti i meravigliosi fenomeni della fisica sono stati ridotti a interazioni fra atomi in movimento; e il
movimento degli atomi (così come il volo dei corpi celesti) è stato ridotto alle leggi della
dinamica”.

Si suppone che per dare una spiegazione di problemi di livello superiore si debba ridurli a
problemi di livello inferiore. Ma in questo modo non si giunge a nessuna spiegazione. Quello che
accade, banalmente, è che scendendo sempre più e più in basso nelle analisi, dalle questioni più
importanti a quelle meno importanti, la scienza raggiunge infine un ambito decisamente estraneo
all’uomo – con il quale egli entra a malapena in relazione – e confina la sua attenzione a questo
ambito, lasciando del tutto irrisolte le questioni che per l’uomo sono veramente importanti.
È come se un uomo volendo imparare a usare un oggetto postogli di fronte, invece di
avvicinarsi, esaminarlo da diverse parti e maneggiarlo, scegliesse di allontanarsi fino a una distanza
tale per cui tutte le caratteristiche di colore e le irregolarità di superficie dell’oggetto non fossero più
visibili, tranne il profilo ancora percepibile contro l’orizzonte; come se solo da laggiù quell’uomo
potesse iniziare a redigere un’accurata descrizione dell’oggetto, immaginando oltretutto che sia
questo il modo perché egli possa finalmente osservarlo con chiarezza e che questa osservazione,
formatasi da una tale distanza, sia quella corretta per fornire una completa descrizione dell’oggetto.
È questo autoinganno che comincia a essere svelato dalla critica di Carpenter, il quale dimostra in
primo luogo che la conoscenza fornita dalle scienze naturali corrisponde soltanto a formalizzazioni
generiche che certamente non esprimono la sostanza dei fenomeni; e in secondo luogo che
fenomeni di livello superiore non sono mai spiegabili riducendoli a fenomeni di ordire inferiore.
Ma senza voler determinare a priori se le scienze sperimentali possano o non possano,
attraverso i loro metodi, portare alla soluzione dei problemi più importanti riguardanti la vita
umana, va osservato che la stessa procedura della scienza sperimentale, nelle sue relazioni con le
domande che da sempre e in modo ragionevole l’uomo si pone, si rivela inadatta in modo
sorprendente.

Le persone devono vivere; ma per poter vivere devono sapere come vivere. Per questo, gli
uomini da sempre sono stati capaci di sviluppare una certa consapevolezza e – bene o male – in
conformità con essa hanno vissuto e progredito. Questa consapevolezza di come l’uomo debba
vivere – dai giorni di Mosè, Salomone e Confucio – è sempre stata considerata una forma di
conoscenza, la vera essenza della conoscenza. Solo nel nostro tempo si è giunti ad affermare che la
consapevolezza di come si debba vivere non sia una conoscenza e che la sola conoscenza
ammissibile sia quella della scienza sperimentale – cominciando dalla matematica e finendo con la
sociologia.

Ne risulta uno sciagurato equivoco.

Un lavoratore onesto e ragionevole può immaginare – secondo il canone tradizionale, che è
sempre il canone del senso comune – che se ci sono persone che spendono le loro vite nello studio,
persone che egli nutre e sostiene con il proprio lavoro mentre pensano anche per lui, allora, senza
dubbio, queste persone devono essere impegnate nello studio di questioni che gli uomini hanno
bisogno di conoscere; egli si aspetta che la scienza risolva al suo posto i problemi da cui dipende il
benessere suo e di tutti gli uomini. Si aspetta che la scienza gli dica come dovrebbe vivere: come
dovrebbe trattare la propria famiglia, i suoi vicini e gli uomini di altre popolazioni, come frenare le
proprie passioni, in cosa credere e in cosa non credere e molto altro. Ma che cosa gli può dire
davvero la scienza su questi argomenti?

Trionfalmente, la scienza gli dirà quanti milioni di kilometri separano la terra dal sole; a che
velocità la luce viaggia nello spazio; quanti milioni al secondo sono le oscillazioni della luce nel
vuoto e quante vibrazioni sono causate dal suono nell’aria; gli dirà la composizione chimica della
Via Lattea, di un nuovo elemento – l’elio – o dei microrganismi e dei loro escrementi, dei nodi sulla
mano dove la corrente elettrica polarizza, dei raggi-X e cose simili.

“Ma a me non interessa nessuna di queste cose – dice il lavoratore onesto e ragionevole – io
voglio sapere come devo vivere”.

“Che cosa c’entra quello vuoi tu? – replica la scienza. – Quello che tu chiedi è argomento
della sociologia. Ma per poter rispondere alle questioni della sociologia, dobbiamo prima risolvere i
problemi della zoologia, della botanica, della fisiologia e della biologia in generale. E per poter
risolvere questi problemi, dobbiamo rispondere prima ai problemi della fisica e poi a quelli della
chimica. Inoltre, dobbiamo ancora metterci d’accordo sulla struttura infinitesimale degli atomi e su
come sia possibile la trasmissione dell’energia elettromagnetica nel vuoto”.

Le persone – principalmente quelle che siedono sulle schiene degli altri, alle quali non
dispiace troppo aspettare – si accontentano di queste risposte e si accomodano, ammiccando e
aspettando il compimento di tali promesse. Naturalmente, invece, i lavoratori onesti e ragionevoli –
come quelli sulle cui spalle si siedono quegli altri mentre si occupano di scienza – che
rappresentano la gran massa degli uomini, l’intera umanità, non possono essere soddisfatti da queste
risposte. Cominciano allora a chiedere con irrequietezza: “Ma quando risolverete questi problemi?
Noi non possiamo aspettare. Dite che scoprirete queste cose solo fra diverse generazioni. Noi però
viviamo adesso – siamo vivi oggi e saremo morti domani – vogliamo sapere come condurre le
nostre vite ora, mentre le viviamo. Perciò, parlateci!”

“Che uomini stupidi e ignoranti! – replica la scienza – Non capiscono che la scienza esiste
non per la sua utilità ma per la conoscenza. La scienza studia qualunque cosa gli si presenti per
essere studiata e non può selezionare gli argomenti da studiare. La scienza studia tutto. Questa è
l’essenza della scienza”.

Gli scienziati sono profondamente convinti che occuparsi dei particolari, mentre trascurano
tutto ciò che è essenziale e importante, sia una peculiarità non di essi stessi ma della scienza. Il
lavoratore onesto e ragionevole, invece, comincia a sospettare che questa peculiarità appartenga non
alla scienza ma agli uomini, che sono inclini ad occuparsi dei particolari che interessano loro di più
e a dare a essi grande importanza.

“La scienza studia tutto” dice lo scienziato. Ma, in realtà, tutto è troppo. Tutto è una quantità
infinita di oggetti; è impossibile, insieme e nello stesso tempo, studiare tutto. Così come una
lanterna non può illuminare tutto, tranne la zona in cui è posta o la direzione lungo la quale
cammina chi la trasporta, così anche la scienza non può studiare tutto ma, inevitabilmente, soltanto
ciò su cui la sua attenzione sarà indirizzata. E così come una lanterna illumina meglio le cose che le
stanno più vicino e meno e peggio quelle che le stanno più distante, e non illumina affatto tutte le
cose poste oltre il suo raggio di luminosità, così anche la scienza, di ogni tipo, ha sempre studiato
con maggiore attenzione ciò che sembrava più importante agli scienziati e con meno attenzione ciò
che sembrava loro meno importante, senza affatto occuparsi di tutta la restante infinita quantità di
altri argomenti. E quel che ha sempre stabilito e ancora stabilisce quali debbano essere gli
argomenti più importanti, meno importanti o irrilevanti per gli uomini è il senso comune del
significato e dello scopo della vita, generalmente controllato – come accade, per esempio, con la
religione – da coloro che custodiscono e sviluppano la conoscenza. Oggi però gli uomini di scienza
– non riconoscendo alcuna religione e nessun’altra forma di sapere che non sia ‘scientifico’, non
avendo perciò alcun criterio per decidere quali siano gli argomenti più importanti da studiare, o per
distinguerli da quelli meno importanti e, in ultima analisi, da quell’incommensurabile quantità di
argomenti che le limitazioni della mente umana e l’infinità del loro numero lasceranno per sempre
inesplorati – hanno prodotto per se stessi una teoria della “scienza per il bene della scienza”,
secondo la quale la scienza deve studiare non quel che serve all’umanità ma tutto.

Infatti, la scienza sperimentale studia ogni cosa, nel senso non della totalità degli argomenti,
ma del disordine – del caos applicato alla priorità degli argomenti studiati. Questo significa che la
scienza non si occupa prima di tutto di ciò di cui le persone hanno maggiormente bisogno,
secondariamente di ciò di cui c’è meno bisogno tralasciando di occuparsi delle cose inutili; la
scienza studia tutto ciò che le viene a tiro. Per quanto vi siano la classificazione di [Auguste] Comte
e quelle di altri [positivisti], tali classificazioni non regolano la selezione degli argomenti di studio;
questa selezione dipende dalla volubilità umana così comune agli uomini di scienza come al resto
dell’umanità. Perciò in realtà gli scienziati non studiano tutto, come loro credono e dichiarano;
studiano quello che è più conveniente e semplice studiare. Per esempio: è più conveniente studiare
cose che portano al benessere della classe più elevata, con la quale gli uomini di scienza sono in
relazione; ed è più semplice studiare ciò che non fa parte del vivente. Per questo molti uomini di
scienza studiano i libri, i monumenti e i corpi inanimati.

Questo genere di studi è reputato come la ‘scienza’ vera. Perciò, ai nostri giorni, quel che è
considerato ‘scienza’ vera e unica (così come la Bibbia era considerata l’unico libro degno di tale
nome), non sono l’analisi e la ricerca di ciò che può rendere la vita umana migliore e più felice, ma
il copiare da molti libri e raccogliere in uno solo tutto quello che i nostri predecessori hanno scritto
su un certo argomento: il flusso dei liquidi da un contenitore all’altro, l’abilità nel preparare sezioni
sottili per la microscopia, la coltivazione dei batteri, la dissezione di rane e cani, la scoperta dei
raggi-X, la teoria dei numeri, la composizione chimica delle stelle etc.

Intanto, tutti gli insegnamenti che mirano a rendere la vita umana migliore e più felice – le
conoscenze religiose, morali e sociali – vengono considerate dalla scienza dominante come non
scientifiche e sono abbandonate ai teologi, ai filosofi, ai giuristi, agli storici e agli economisti che
sono tutti principalmente impegnati a dimostrare che l’ordine sociale esistente (da cui essi traggono
5benefici e vantaggi) è proprio quello che dovrebbe esistere e perciò non soltanto non deve essere
cambiato ma deve essere mantenuto con ogni mezzo.

Per non parlare della teologia e della giurisprudenza, l’economia – la più avanzata delle
scienze di questo genere – è esemplare sotto questo aspetto. La politica economica prevalente
(quella di Karl Marx),3 accettando l’attuale ordine della vita come se fosse l’unico possibile non
soltanto non invita gli uomini a modificarlo – cioè, a cercare di capire come potrebbero migliorare
la propria condizione – ma, al contrario, li istiga a un accrescimento della crudeltà nell’ordine
esistente, dando così spazio alle peggiori prospettive immaginabili se gli uomini non smetteranno di
comportarsi male come fanno adesso.

E come sempre accade, quanto più è miserevole la motivazione di un’azione umana – e più
ampiamente essa diverge da come dovrebbe essere – tanto più cresce la presunzione di correttezza
del pregiudizio che l’ha originata. Questo è esattamente quanto accade con la scienza oggi.
La vera conoscenza non è mai apprezzata dai suoi contemporanei ma, al contrario, è di solito
perseguitata. E non potrebbe essere altrimenti. La vera conoscenza mostra agli uomini i loro errori
suggerendo stili di vita nuovi, non abituali. Ed entrambi questi servigi non sono graditi a quella
parte della società che sta al potere. La scienza moderna, però, non solo non ostacola gli appetiti e le
pretese della parte dominante della società, piuttosto ne è certamente corresponsabile. Appaga
curiosità puerili, eccita lo stupore della gente e le promette la crescita di ogni beatitudine. E così,
mentre tutto ciò che veramente è grande appare anche calmo e discreto senza farsi notare, la scienza
moderna non pone freno alla propria autoesaltazione.

“Tutti i metodi precedenti erano sbagliati e tutto quello che si era soliti considerare
conoscenza era un’impostura, un inganno di nessun conto. Solo il nostro metodo è valido e l’unico
sapere veritiero è il nostro. Il successo della nostra scienza è tale che migliaia di anni di storia non
hanno prodotto niente in confronto a quanto abbiamo realizzato nell’ultimo secolo. Nel futuro, se
proseguiremo su questa strada, la nostra scienza risolverà tutti i problemi e renderà felice l’intera
specie umana. La nostra scienza è la più importante attività del mondo e noi uomini di scienza
siamo le persone più importanti e necessarie al mondo”.

Questo pensano e dicono gli scienziati oggi mentre le istituzioni culturali fanno loro eco; in
realtà in nessun tempo e in nessun’altra civiltà la cultura – l’insieme della conoscenza con tutto il
suo sapere – ha mai raggiunto un livello così basso come nel presente. Una parte di essa, che
dovrebbe studiare ciò che rende la vita migliore e felice, è occupata a giustificare il cattivo ordine
sociale vigente; un’altra parte è impegnata a soddisfare la propria curiosità su questioni secondarie.
“Cosa? Curiosità secondarie? – sento voci che s’indignano per una tale blasfemia. – Che ne
è allora della macchina a vapore, dell’elettricità, dei telefoni e di tutto questo nostro progresso
tecnologico! Anche senza ammettere la loro rilevanza scientifica, guardiamo quali risultati pratici
hanno prodotto! L’uomo ha conquistato la natura e soggiogato le sue forze” … e altre affermazioni
simili.

“Ma tutti i risultati pratici delle vittorie sulla natura, finora – e già da lungo tempo – hanno
finito per creare fabbriche che minacciano la salute dei lavoratori, producono armi per uccidere altri
uomini e hanno aumentato lo spreco e la corruzione – replica un lavoratore onesto e ragionevole –
perciò la vittoria dell’uomo sulla natura non soltanto ha fallito nell’aumentare il benessere
dell’umanità ma addirittura ne ha reso peggiore la condizione”.

Se la struttura della società è cattiva (come la nostra) e un piccolo numero di persone ha il
potere sulla maggioranza e la opprime, ogni vittoria sulla natura servirà inevitabilmente soltanto ad
aumentare quel potere e quell’oppressione. È quello che al momento sta accadendo.
Con una scienza che punta a studiare non come le persone dovrebbero vivere ma tutto ciò
che esiste – e che perciò è occupata principalmente a indagare le cose inanimate mentre lascia
l’ordine della società così com’è – nessun progresso tecnologico, nessuna vittoria sulla natura potrà
migliorare la condizione dell’umanità.

“Ma le scienze mediche? Stai dimenticando i benefici della medicina moderna. E le
vaccinazioni? I recenti sviluppi delle operazioni chirurgiche? – esclama il difensore della scienza
adducendo come ultima risorsa i successi della medicina per mostrare l’utilità della scienza intera.
“Con le vaccinazioni possiamo prevenire le malattie, oppure possiamo curarle; possiamo effettuare
operazioni sotto anestesia: aprire gli organi di un uomo e ripulirli, possiamo ridurre le gibbosità
della spina dorsale” – è quanto sostengono usualmente i difensori della scienza moderna, che
sembrano pensare che la cura della difterite di un bambino, in mezzo a tutti quei bambini russi di
cui il 50 per cento (e anche l’80 per cento negli orfanotrofi) muore regolarmente per cause diverse
dalla difterite, dovrebbe convincere chiunque dei benefici della scienza in generale.
La nostra vita è strutturata in modo che non soltanto i bambini ma la maggioranza delle
persone muore per cattiva alimentazione, per lavori pericolosi e faticosi, perché non ha abitazione
sana, non può coprirsi adeguatamente o per altri bisogni prima che abbia raggiunto la metà dell’età
media. L’ordine delle cose è tale che le malattie dei bambini, la tubercolosi, la sifilide e l’alcolismo
mietono un numero sempre più elevato di vittime, mentre una gran parte delle faccende umane,
anziché a questi problemi, è destinata a preparare la guerra e ogni dieci o venti anni milioni di
uomini partono in guerra per farsi sterminare. Questo accade anche perché la scienza, invece di
fornire validi precetti di ordine religioso, morale o sociale, che impedirebbero a questi mali di
riprodursi, è occupata da un lato a giustificare l’ordine esistente e dall’altro a perdersi nei particolari.
E per dimostrarne la fruttuosità ci viene detto che la scienza cura un infermo dei mille che si
ammalano solo perché essa stessa ha smesso di compiere il proprio dovere.

Sì, se la scienza dedicasse anche solo una piccola parte degli sforzi, dell’attenzione, del
lavoro che dedica a particolari secondari, per occuparsi invece di fornire agli uomini precetti
religiosi, morali, sociali o anche solo igienici, non resterebbe che un centesimo della difterite, delle
malattie puerperali o delle deformità le cui cure occasionali rendono oggi gli scienziati così
orgogliosi, sebbene tali cure siano effettuabile solo in lussuose cliniche ospedaliere, in cui il costo
delle visite è troppo elevato per poter essere offerto a tutti quelli che ne hanno bisogno.
È come se uomini che hanno arato male e seminato un campo con sementi avvizzite,
tornassero poi su quel terreno a puntellare le pannocchie di granturco, pestando invece quelle dei
campi vicini, per esibire l’abilità nella cura delle pannocchie come prova della loro conoscenza
dell’agricoltura.

La nostra scienza per diventare piena conoscenza ed essere davvero utile e non nociva per
l’umanità dovrebbe intanto declinare il metodo sperimentale che la costringe a considerare di suo
interesse solo lo studio fenomenologico di ciò che esiste e deve ritornare all’unica concezione
ragionevole e proficua del sapere: quella che ha come scopo la dimostrazione di come si dovrebbe
vivere. In questo risiedono l’obiettivo e l’importanza della scienza; lo studio fenomenologico della
realtà può essere argomento della ricerca scientifica solo finché aiuta a capire come si dovrebbe
vivere.

È proprio sulla necessità di ammissione da parte della scienza del proprio fallimento e sulla
necessità di adottare un altro metodo di conoscenza che [Edward] Carpenter pone maggiormente
l’attenzione in questo saggio.

[1898.]

Traduzione di Enzo Ferrara (marzo 2012)

Note

1) Prefazione della traduzione russa, curata da Sergius Tolstoj, del saggio di Edward Carpenter, Critica della Scienza
Moderna, in “Civilizzazione: causa e cure” (1889) – riprodotto in Lev Tolstoj, “Recollections and Essays” (1961) a cura
di Aylmer Maud (A.M).
2) A ogni argomento valido si può opporre un argomento egualmente valido.
3) Da un punto di vista marxista il progresso può essere imposto a una società con pressioni esterne, e ci sono elementi
per poter dire che questo è stato fatto in Russia. Ma rimane da dimostrare che l’umanità possa essere resa migliore o più
felice senza libertà di pensiero e consapevolezza religiosa. “Perché le cose osservabili sono temporanee, ma le cose non
osservabili sono eterne” – A.M.

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