La democrazia è dissenso. Sugli arresti di Torino (26 gennaio 2012) – Pietro Polito

“La questione riguarda direttamente il rapporto tra conflitti sociali e la giurisdizione e non solo – come si cerca di accreditare – alcune frange isolate e estremiste” (Livio Pepino).

Se le cose stanno così (e stanno così), gli arresti di un anarchico, di un barbiere di paese, di un consigliere comunale, di un ex-terrorista quasi settantenne e di altri oppositori sociali, a sette mesi di distanza dai fatti contestati, non sono un problema di ordine pubblico, ma “una questione di democrazia” (Marco Revelli).

Accanto alla denuncia che “la macchina burocratica-repressiva possiede un’ottusità di fondo inemendabile che vanifica ogni spirito di giustizia” (Revelli), torna in primo piano il grande tema della liceità e della legittimità del dissenso, che può essere manifestato sia attraverso la libera espressione delle opinioni personali sia riunendosi in associazioni legalmente riconosciute, sia promuovendo manifestazioni pubbliche più o meno di massa.

Come osserva Pepino, l’intervento giudiziario è un “mezzo di accertamento e di perseguimento di responsabilità individuali (per definizione diversificate)” e non può (né deve) trasformarsi in “strumento per garantire l’ordine pubblico”, se non si vuole che una democrazia costituzionale diventi una “democrazia giudiziaria”.

Rischio, questo, che il Paese ha già corso e, per fortuna, pur con non poche incertezze e anche con deviazioni non sempre comprensibili e accettabili, sventato.

Alcuni passaggi dell’ordinanza di arresto, che traggo dall’articolo di Livio Pepino, Gli arresti non tornano. I tre difetti dell’inchiesta (il manifesto, domenica 29 gennaio 2012), se ripetuti fino a diventare una prassi, ledono gravemente il diritto al dissenso.

L’ordinanza giustifica gli arresti con tre argomenti (di seguito uso le parole del documento): 1. “il movimento NO TAV ha pubblicamente preannunciato ulteriori iniziative per contrastare i lavori”; 2. agli arrestati si contesta di “far parte di un gruppo di manifestanti accorsi con una paratia mobile per ostruire il passaggio [delle forze di polizia]”; 3. “tutti i partecipanti agli scontri devono rispondere di tutti i reati (preventivati o anche solo prevedibili) commessi in quel frangente, nel luogo dove si trovavano”.

Ogni democratico trasalirebbe.

In buona sostanza, il dissenziente (in questo caso rispetto all’utilità o meno di una grande opera pubblica) rischierebbe l’arresto se anche solo manifestasse l’intenzione di compiere atti che ostacolino il realizzarsi dell’opera in questione; se facesse parte di un gruppo che compia azioni di boicottaggio, se partecipasse a degli scontri durante i quali siano commessi dei reati, pur non commettendo egli personalmente tali o alcuni di tali reati

Non so, non posso sapere, se sette mesi fa il mio amico Tobia Imperato e gli altri abbiano commesso reati.

So, però quando il dissenso è lecito e legittimo secondo la teoria democratica.

Come argomenta Bobbio in Il futuro della democrazia (1984), “il passaggio dallo stato polemico [lo stato di natura] allo stato agonistico [lo stato civile] non significa il passaggio a uno stato non conflittuale, bensì a uno stato in cui ciò che cambia è il modo in cui vengono risolti i conflitti.

Il filosofo democratico non arriva a dire che la democrazia è “un sistema fondato non sul consenso ma sul dissenso”. Sostiene, tuttavia, che “in un regime fondato sul consenso non imposto dall’alto, una qualche forma di dissenso è inevitabile, e che soltanto là dove il dissenso è libero di manifestarsi il consenso è reale, e che soltanto là dove il consenso è reale il sistema può dirsi a buon diritto democratico”.

Detto in breve, se nello stato polemico il dissenso può e deve essere controllato anche con la forza perché può manifestarsi in modo e conflittuale e violento, nello stato agonistico – lo stato democratico è uno stato agonistico per definizione – il dissenso deve essere lasciato libero di esprimersi senza alcuna restrizione finché si esprime in modo conflittuale e nonviolento.

Aggiunta nonviolenta

Per l’amico della nonviolenza, uno stato nonviolento, o tendenzialmente nonviolento come è lo stato democratico, non si fonda sul consenso ma sul dissenso.

La qualità di una buona democrazia si misura non dal grado del consenso ma da quello del dissenso.

Il dissenso non è solo una manifestazione della vita democratica da ritenere “inevitabile” e, come tale consentita e da tollerare. Il dissenso è la via maestra per impedire il tralignamento della democrazia nell’autocrazia.

L’aggiunta nonviolenta alla democrazia sta in una più ricca e variegata articolazione delle forme del dissenso individuale e collettivo: l’esempio, la testimonianza, il dialogo, l’obiezione di coscienza, la disobbedienza civile.

 

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