Davos: il mondo dell’1% – Johan Galtung

Da Alfàz del Pi, Spagna

Stiamo avanzando verso un altro bel carico di consigli da parte dell’auto-nominato “Forum economico mondiale”, avendo ancora bene in mente la sua estrema incapacità di confrontarsi con la manifestazione della crisi mondiale nel settembre 2008 allorché si riunì tre anni fa. Allora, di che parleranno adesso?

Lee Howell, in “The failure of governance in a hyperconnected world” [Il fallimento della governance in un mondo iperconnesso], International Herald Tribune, 11.01.12, ce ne dà un anticipo. Questione generale: “Quali rischi dovrebbero affrontare i leader mondiali nei prossimi 10 anni?” Ci aspetteremmo ovviamente la sofferenza e il trattamento indegno di massa nello strato inferiore della società mondiale: “Quasi metà degli Indiani sotto i 5 anni sono malnutriti” (IHT, 12.01.12). Che vergogna! Ci aspetteremmo ovviamente la presa in carico dell’economia mondiale da parte dell’economia finanziaria, con crisi ricorrenti e aggravantisi, cominciando negli USA, che diffondono, causano e sono state causate dalla flagrante disuguaglianza. E ci aspetteremmo che si occupassero del riscaldamento globale e delle calamità ambientali in generale causate dall’attività economica. Beh, che cosa avremo?

Il rapporto “Global Risks 2012” (“Rischi globali 2012?, http://reports.weforum.org/global-risks-2012/ a cura di Howell) presenta tre casi di rischio con un tema comune, secondo loro appunto il “fallimento di governance in un mondo iperconnesso”. 

Che ci sia qualche deficienza da qualche parte è ovvio, che il mondo sia connesso è altrettanto ovvio, che il termine “governance” ne colga l’essenza potrebbe essere problematico. Ma consideriamo per prima cosa i tre rischi su cui essi si concentrano.

Si tratta di “semi di distopia”, la preoccupazione che la globalizzazione non stia mantenendo quanto promesso. Poi viene “quanto sono sicure le nostre salvaguardie”, che la governance rimanga indietro rispetto alla complessità in accelerazione. E infine il “lato oscuro della connettività di Internet”, “il potenziale di terrorismo, crimine e guerra”, nel mondo virtuale.

In quale mondo vivono gli autori di quel tipo di rapporto?

Il mondo dell’1%. Ovviamente, potrebbe esserci una magnifica globalizzazione con entrambi i generi, le tre generazioni (anziani, età media, giovani), le quattro classi (economica, militare, culturale, politica), le cinque razze secondo il colore della pelle (bianca, gialla, bruna, nera, rossa) che si accorpano, per una vita dignitosa per tutti, con mezzi di sussistenza abbordabili per la vita umana e non-umana e la natura in generale. Le Agenzie ONU si approssimano a questo obiettivo.

Ma sappiamo invece che cosa abbiamo: una “globalizzazione” di, da parte di e per i maschi, l’età media, la classe economica superiore e i bianchi, [i MMA-UW, Males, Middle Ages, Upper class, Whites], i soliti sospetti. Nessuno sano di mente si aspetterebbe che quelli lì si curino granché di qualunque cosa oltre se stessi.  In altre parole, aspettarsi che questo tipo di globalizzazione prometta qualcosa aldilà del proprio interesse, secondo la raccomandazione di Adam Smith, sa di ingenuità. C’era una distopia incorporata già fin dall’inizio quando si usò il termine “globalizzazione” per globalizzare le borse valori per l’economia finanziaria, di, da parte di e per quella gente.

Ma c’è una salvaguardia; quanto efficace è un’altra questione. La salvaguardia è la gente; la governance si chiama democrazia del, da parte del, per il 99%. La Primavera Araba, gli Indignati, gli Occupy Wall Street e molti altri luoghi. Non c’è da dubitare che i beneficiari della globalizzazione [i MMA-UW] li stiano spiando dappertutto da tempo usando CIA-FBI e i loro cloni; ma non si è registrato un singolo contatto con il Movimento Occupy da parte di qualunque politico USA di punta, né dei potenziali prossimi poteri con gli altri due. Né di chi ha scritto quel rapporto, le minacce mondiali virtuali. Prendiamo nota della preoccupazione per il crimine, cioè soprattutto per il furto. Che riguarda chi ha qualcosa, cioè una preoccupazione per gli abbienti più che per i non-abbienti; che vivono e soffrono nel mondo reale per via della governance esercitata dagli abbienti, il mondo dell’1%. Può valer la pena prestarvi attenzione?

Terrorismo: un problema. Ma dov’è il terrorismo di stato in quella formula? Che gli stati tuttora considerino loro diritto l’opzione della guerra, forse guidati da un Consiglio di Sicurezza pervertito senza potere di veto per l’enorme mondo islamico. Immaginiamo che esista un veto, da parte dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, e immaginiamo che gli appartenenti all’1% avessero dato retta alla voce di 15 milioni di persone da 600 luoghi di tutto il mondo il 15 febbraio 2003 contro l’invasione dell’Iraq del marzo dello stesso anno – la cosa più prossima a una dimostrazione pubblica mondiale cui si sia mai giunti – bene, allora la governance dal basso sarebbe stata la salvaguardia. Sì, i governi sono rimasti indietro, rispetto alla gente.

E oggi le nubi del mondo reale sono più cupe che mai.

Sicché, come tratteranno quelli dell’1% il paese che ha attaccato più paesi e popoli di ogni altro, e prevalentemente in difesa di un tipo speciale di iper-connessione: l’iper-capitalismo? E che ha ancora un monopolio sulla valuta di riserva mondiale esercitato da un club di banche private, fra cui il peggiore colpevole del colpo di mano dell’economia finanziaria, la Federal Reserve. Come tratteranno la presa USA sulle agenzie di valutazione? E la crescente disuguaglianza, dalle loro comode poltrone là in cima?

Risposta: allo stesso modo che l’aristocrazia feudale in Francia nel XVIII secolo; non prendendo in considerazione tutto ciò. Possono deplorare la mancanza di proposte concrete dal basso, compreso il Forum Sociale Mondiale. Ma forse viene prima la consapevolezza? Mobilitazione? Qualche confronto ben scelto? E forse la complessità, concordiamo sul termine, esige soluzioni complesse, pluralistiche, che rispettino l’immensa varietà del mondo, non una manciata di slogan attraenti per gestire il mondo intero al solito modo universale=occidentale cui sono abituati? Forse il mondo è anche la somma di una miriade di mondi svariati, locali, autonomi?  Forse perfino Davos potrebbe diventare uno di essi? E non un museo, come Versailles.

 

16.01.12 – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

Titolo originale: Davos: The 1% World

http://www.transcend.org/tms/2012/01/davos-the-1-world/

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