Se incontrate questo libro non pensate che non vi riguardi! – Recensione di Cinzia Picchioni

Rose George, Il grande bisogno. Perché non dobbiamo sottovalutare l’ultimo tabù: la nostra ca**a, Bompiani, Milano 2010, pp. 556, € 22,00

Intanto Bompiani aderisce alla rete di Greenpeace «Scrittori per le foreste», come recita l’ultima pagina del libro che presentiamo, che è stampato su carta certificata FSC, che unisce fibre riciclate e fibre vergini provenienti da fonti controllate (www.grennepeace.it/scrittori/). E meno male, perché il libro in questione consta di 556 pagine!!! Che però si leggono – come si dice – «come un romanzo». E un po’ lo è. L’autrice, come Jean Valjean de I miserabili si è aggirata nelle fogne cittadine del pianeta (comprese quelle a cielo aperto, come in India) per scrivere un libro sulla cacca. Sì, avete letto bene. Ed era ora!

«Era un buon inizio. Attesi che domandasse ulteriori dettagli, come dove finiscono le fogne (…) Oppure perché ci rifiutiamo di accettare che ancora non sappiamo come trattare in modo appropriato qualcosa che tutti noi produciamo, fino a diverse volte al giorno, diversi milioni di anni dopo che abbiamo cominciato a farlo» (p. 375)

Ecco sì, questa frase, quasi alla fne del libro, preferisco metterla quasi all’inizio della recensione perché fa riflettere: non sappiamo come trattarla, ne diamo nomi coloriti, usiamo il nome come parolaccia e di certo il modo usato per «eliminarla» non è quello giusto, come scopriremo leggendo il libro e gli enormi problemi che causa. Tanto per dirne una, l’acqua che scende nei nostri sciacquoni è acqua potabile!!! Ci pensiamo? Forse no. E solo il 2% dell’acqua mondiale è potabile! Nel 2000 si consumava il doppio dell’acqua consumata nel 1960! 1700 litri di acqua ognuno di noi, ogni giorno (e la maggior parte – il 69% – serve ad irrigare i campi).

Ora vi racconto una storia che sembra una favola ma è vera: al tempo, nel 1995, mi trovavo a fare una vacanza-scambio a San Gimignano, presso la Comunità Aquarius. Un casale in mezzo alle colline, terra a perdita d’occhio, orto eccetera. Il luogo era frequentato da bambini in vacanza e adulti che – come me – lavoravano in cambio della possibilità di trascorrere lì l’estate. In quella zona della Toscana c’era un grosso problema di acqua. Poca, disponibile solo in alcune ore, insomma, era da risparmiare. Fra gli altri stratagemmi messi in atto per il risparmio idrico c’erano i «gabinetti a secco». Fu la prima volta che ne vidi uno. Stavano su una specie di piccolo terrazzamento con vista sulle colline, erano delle cabine di legno, con un buco sul pavimento, con due assi per appoggiarci i piedi, con un secchio di cenere e un altro di foglie fuori dalla porta. Erano lontani dalla casa, isolati, così potevi andare, accucciarti e goderti il panorama mozzafiato davanti a te. Aria fresca, nessun odore, uscendo dovevi buttare una palettata di cenere e una di foglie nel buco e tornare in casa a lavarti. Periodicamente ognuno di noi era di turno per svuotare il contenuto del gabinetto che nel frattempo (complici le foglie, la cenere, l’aria, la terra) si era trasformato in concime e humus. Ho un ricordo indelebile di quelle mattine, quando prestissimo mi recavo su quel terrazzamento e mi sentivo in pace col mondo e pensavo che «quel» modo lì fosse il più vicino a quello giusto di trattare la ca**a, il problema di cui parla questo libro. Con quel ricordo in testa leggo a pagina 161 che Gandhi «aveva utilizzato la frase «tatti par mitti» (terra sulla merda) e scavava una fossa per i propri escrementi che poi ricopriva di terra una volta piena. Il Grande Spirito dell’India fu un pioniere del compostaggio».

Gandhi

Fra le cose interessanti che apprendiamo leggendo «Il grande bisogno» c’è che fu proprio Gandhi fra i pochi leader poltici a parlare pubblicamente di gabinetti. Forse perché in India ci sono i «cernitori» manuali di escrementi (e a proposito di «caste» non perdetevi la lettura del capitolo 4, p. 145… e se la cacca non fosse un tabù magari non ci sarebbero le caste)? E come non ricordare la scena del film «Gandhi» di Attenborough dove Gandhi discute con la moglie che si rifiuta di pulire la loro latrina? Il tema accompagnò Gandhi per tutta la sua esistenza: lo definì «la vergogna della nazione» e scrisse: «Defecerae è necessario come mangiare, e la cosa migliore sarebbe che ognuno si occupasse di smaltire i propri rifiuti» (p. 158).

Acqua

Teddy Roosvelt ebbe a dire, nel 1910, che «Le persone civili dovrebbero sapere come smaltire i reflui in altro modo piuttosto che sbatterli nell’acqua potabile» (p. 65).

Un gabinetto medio americano spreca 13 litri di acqua per ogni scarico (alcuni quasi a 19 litri), per anni è stato così. Poi, all’inizio degli anni Novanta, ci si accorse che il servizio igienico utilizzava quasi la metà dell’ntera disponibilità di acqua di un’abitazione e ciò fu ritenuto una vergogna e nel 1992 si approvò un Decreto che obbligava tutti i nuovi sanitari a consumare non più di 6 litri (p. 90).

Quanta?

«Senza considerare l’acqua, l’uomo mediio produce 35 chili di escrementi e 500 litri di urina in un anno. Aggiungete l’acqua degli scarichi dei gabinetti e il totale schizza a 15.000 litri. Grazie al wc il flusso è per il 98% composto di acqua» (p. 36).

Per quanto tempo?

Spendiamo 3 anni della nostra vita andando al gabinetto. Tutti lo facciamo, è come respirare, e giacché è così è qualcosa su cui abbiamo un grande potere di intervento. E di conseguenza anche sullo smaltimento e soprattutto se si riesce a liberare quell’atto «dalla camicia di forza sociale del rifiuto». Tutti i popoli, da sempre, hanno avuto le loro regole. Per questo il libro si chiama «L’ultimo tabù». L’altro, il penultimo (?) è la morte, ma di libri su quell’argomento ce ne sono. Ecco l’importanza di questo, invece.

Carta «igienica»?

L’industria per la produzione di carta igienica nel suo complesso vale 15-20 miliardi di dollari, e secondo le più recenti statistiche, l’americano medio utilizza 57 fogli al giorno (p. 100), ma la carta ha poco di «igienico»: come dico da anni l’unica cosa «igienica» dopo essere andati «in bagno» è lavarsi! Nel libro scopriamo che, per esempio in India è impensabile andare in bagno senza essersi prima muniti di un contenitore con dell’acqua per pulirsi dopo aver evacuato: Alexander Kira scrive che nel secolo scorso «gli Indù si rifiutarono di credere che gli Inglesi si pulissero con la carta “e reputarono la storia un oltraggio malvagio”» (p. 76).

«Utilizzare la carta per pulire l’ano ha, dal punto di vista igienico, senso quanto frizionare il corpo con uno strofinaccio asciutto e immaginare che rimuova lo sporco» (p. 77). «Le culture della carta utilizzano di fatto il mezzo pulente meno efficiente per detergere la zona più sporca del loro corpo» (p. 77) e giù dati «divertenti» sulla contaminazione fecale delle mutande di illustri signori dell’Oxfordshire… Cose su cui riflettere, soprattutto se abbiamo avuto la fortuna (come l’ho avuta io) di visitare il depuratore del Po e scoprire i danni causati dalla carta igienica… che, oltretutto, non è «igienica» per niente!

Ma i danni ai depuratori sono causati anche dai cotton-fioc, dai grassi (che provengono soprattutto dai ristoranti), dagli oli, dagli assorbenti: «La metà de 100.000 intasamenti che si verificano ogni anno a Londra sono causati dal grasso. I costi di rimozione ammontano almeno a 6 milioni di sterline»!!!! (p. 49) Insomma teniamo a mente che sotto di noi, nel sottosuolo delle nostre città scorre un fiume (che in genere ignoriamo) in cui siamo abituati a buttare di tutto, ogni giorno, più volte al giorno, e che invece (come il mare d’altra parte) potremmo fare più attenzione a non inquinare, anche partendo dai nostri immacolati bagni.

A proposito di buttare qualsiasi cosa nel wc

«Centinaia di cellulari (una recente inchiesta ha concluso ch in un anno 850.000 cellulari vengono inavvertitamente scaricati nei gabinetti britannici), p. 37 (…) cemento, cotton fioc “Sono la rovina delle nostre vite”», dice un operatore dei depuratori (p. 39).

Cambio

«Da quando ho cominciato le ricerche per questo libro ho notato che compio certi atti differentemente. Abbasso sempre il coperchio del water prima di tirare lo sciacquone (…) Utilizzo meno carta igienica e più acqua e sapone. (…) Verso l’olio di cotttura usato su un’aiuola in ricordo delle fognature intasate di grasso. Se non è urgente, non tiro immediatamente la catena e non mi sento male per questo. Questo è quello che gli specialisti chiamerebbero cambio di comportamento (…) “la rettitudine morale della pipì” (…) durante una siccità durata cinque anni in Callifornia, le persone smisero di tirare lo sciacquone degli orinatoi per non consumare l’acqua. (…) Ragionai sul fatto che non era affatto disgustoso. Nel contesto di una siccità, una pipì giallo scuro negli orinatoi era indice di rettitudine morale» (pp. 371-2)

Il libro è documentatissimo! 72 pagine di note per nulla barbose, con riflessioni, siti, libri e film.

Ancora a proposito di «cambio»

Altra storiella in cui l’atto di andare al gabinetto può risultare rivoluzionario: mio figlio, allora 15enne, fa la sua settimana di vacanza/riflessione al Centro ecumenico Agape. Il tema era qualcosa tipo «Differenze di genere», e riguardava il rapporto fra i due sessi durante l’adolescenza. Be’, sapete come quei geni degli animatori hanno pensato di introdurre il tema? Non con grandi (e magari barbosi) discorsi, ma facendo trovare, in tutti i bagni, un cartello, appeso sopra i wc, con una vignetta che recitava in diverse lingue «Alzati per far valere i tuoi diritti, ma siediti per fare pipì» (e naturalmente in inglese la citazione era per Bob Marley «Stands up for your rights»). Poi c’era il disegno di un omino in piedi con sopra una croce come a cancellarlo e lo stesso omino seduto sul water. Questo faceva immediatamente riflettere sul fatto che a quelle giornate partecipavano anche delle femmine, che fanno la pipì diversamente dai maschi e che non amano trovare l’asse del water alzata, né – tantomeno – bagnata di pipì del maschio che l’ha fatta prima di loro! Non è mica una leggenda metropolitana che le coppie litigano «sull’asse del water alzata» no? La nostra autrice ci racconta anche il perché «scientifico»: milioni di goccioline di pipì in giro anche quando tiriamo lo sciacquone…

Festeggiamo!

Il 19 novembre, tra poco, è la Giornata Mondiale del Gabinetto… eh già! Quando si cominciano a fare le «giornata del…» vuol dire che c’è un problema e che occorre occuparsene, o almeno ricordarlo, o almeno pensarci per 24 ore all’anno. Peccato che «in bagno» ci andiamo tutti i giorni (se stiamo bene).

E gli astronauti?

Il problema dello smaltimento dei rifiuti esiste anche nelle «asettiche» astronavi, e va affrontato e risolto. Nella missione su Marte prevista per il 2012 gli astronauti berranno la loro pipì, le lacrime, il sudore e il vapore acqueo, perché devono farlo. La NASA ha recentemente ri-acquistato dai russi un gabinetto – usato – proprio perché ricicla l’urina. E questo potrebbe essere il futuro del pianeta.

E quando non c’è?

«2,6 miliardi di persone non dispongono di servizi igienici. (…) 4 persone su 10 non hanno alcuna latrina, toilette, secchio o casupola. Niente. (…) defecano lungo i binari dei treni o nei boschi. Lo fanno dentro sacchetti di plastica che lanciano in aria nelle strette vie delle baraccopoli. (…) vivono circondate dagli escrementi umani (…). Imbrattano i loro piedi, attraverso le mani contaminano i vestiti, il cibo e l’acqua da bere. (…) Un grammo di feci può contenere 10 milioni di virus, 1 milione di batteri, 1000 cisti parassite e 100 uova di vermi. (…) Un esperto di igiene ha stimato che le persone che vivono in zone con un sistema fognario inadeguato ingeriscono giornalmente 100 grammi di materiale fecale. (…) La diarrea – che per l 90% è causata da cibo o acqua contaminati da feci – uccide un bambino ogni 15 secondi. (…) Secondo l’Unicef (…) la diarrea è l’ostacolo più ingombrante che un bambino dei paesi in via di sviluppo deve superare (…). (pp. 8-9).

Spese militari

Il Pakistan ha una spesa militare 47 volte superiore a quella per acqua e servizi igienici, sebbene perda annualmente 120.000 persone a causa della diarrea (p. 120)!!!

Capitale della moda?

Milano fino a poco tempo fa scaricava «i propri liquami, non trattati e pericolosi, nell’agonizante fiume Lambro». Poi, forse minacciata da una multa di 15 milioni di dollari al giorno (che la Comunità Europea avrebbe comminato alla Città «per il mancato adempimento a una direttiva sullo smaltimento dei reflui»), si è decisa a costruire il suo primo impianto di trattamento. Ma ci credereste? E invece è proprio così che succede: tiriamo lo sciacquone (o buttiamo il sacchetto nel bidone, o il chewing-gum dal finestrino del’auto, o la cicca sulla spiaggia, o il pacchetto vuoto di sigarette dal finestrino del treno…) e siccome non vediamo più quello che c’era prima pensiamo che sia «sparito» come per un miracolo, come per magia. Ecco, appunto, magia, illusionismo. Infatti è un’illusione, ce lo ritroveremo, presto o tardi, sotto altre forme magari, ma il Pianeta è «finito», nel senso che è «chiuso» (oltre che s-finito) e mai quello che non vediamo più vuol dire che non ci sia più. «…tutto si trasforma», ricordate?

1 commento

Trackbacks & Pingbacks

  1. […] intitolato, genialmente Il grande bisogno (se vi è sfuggita la recensione la ritrovate qua: http://serenoregis.org/2011/11/03/se-incontrate-questo-libro-non-pensate-che-non-vi-riguardi-recensi… e anche in un altro sito, che ha ritenuto importante riprenderla: […]

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.