Que verguenza la guerra – Elisabetta Donini

Nell’agosto di quest’anno si e’ tenuto a Bogota’ il XV Incontro della rete internazionale delle Donne in nero e ancora una volta mi sono potuta rendere conto di quanto straordinariamente variegati siano i percorsi della nonviolenza e dell’opposizione a guerra e guerre. Il convegno era organizzato dalle Mujeres de Negro colombiane, insieme con l’organizzazione della Ruta Pacifica de las Mujeres e vi hanno partecipato almeno duecento donne da nove regioni della Colombia, oltre che circa cento da paesi di tutto il mondo.

La creatività e la ricchezza dell’uso che la’ fanno di un simbolico molto articolato, colorato e complesso, che si nutre delle culture e dell’immaginario delle popolazioni indigene e afrodescendientes, ha generato modi di esprimersi e di manifestare che mi sono parsi capaci di una presa sulle menti e sui cuori molto suggestiva e potente.

Tra le scritte che con piu’ frequenza ho letto sulle magliette e sui cartelli di donne di tutte le eta’ una in particolare mi ha colpita profondamente, nella sua incisiva e perentoria brevita’: “Que verguenza la guerra”, sintesi di immediata efficacia che pero’ compendia un intero capovolgimento dei modi di pensare e agire correnti, secondo cui da un lato il ricorso alla guerra potrebbe essere necessario e giusto per ragioni di fatto e di principio e dall’altro sarebbe in ogni caso inevitabile perche’ inevitabile e’ che nell’umanita’ (o, piu’ correttamente, negli uomini) sia inscritto il gene biologico e il meme culturale della competizione e dell’aggressivita’.

E invece no: la guerra e’ una vergogna e come tale va denunciata e esecrata, sino a che appaia interdetta come da un tabu’ invalicabile – dicono quelle donne coraggiose che giorno per giorno e con una scelta radicalmente di pace affrontano una realta’ durissima di violenza legata tanto al conflitto armato pluridecennale quanto alla brutalita’ di rapporti tra i sessi permeati di machismo e sopraffazione patriarcale.

Se siamo convinte che la guerra e’ una vergogna, lavorando sulle mentalita’ cosi’ come sulle relazioni economiche, sociali e politiche possiamo agire perche’ diventi impraticabile e venga interiorizzata come incompatibile con gli orizzonti di un senso comune in cui, diversamente da quanto appare prevalente oggi, l’esercizio della violenza risulti ripugnante sin dal profondo dei sentimenti e dei giudizi di ciascuna e ciascuno.

Ingenua utopia? Non lo credo: e’ una prospettiva densa di esperienze storiche, di riflessioni, di esplorazione di nuovi spazi di convivenza, ascolto, condivisione, di costruzione tenace di soggettivita’ alternative, capaci di uscire dalle dinamiche soffocanti della bellicosita’ e del dominio. Le donne che la esprimono sono molto concretamente radicate in un tessuto quotidiano di pratiche di tenace solidarieta’ a sostegno della dignita’ e dei diritti di quante – vittime di violenza, cacciate dalle loro case e dalle loro terre, emarginate dai tanti razzismi di una societa’ piena di squilibri e disuguaglianze – trovano tuttavia la forza per resistere, vivere e (come loro stesse scrivono e gridano) esigere giustizia.

 

1 novembre 2011

1 commento
  1. angela dogliotti
    angela dogliotti dice:

    Facciamo anche noi sentire la nostra voce all'unisono con quella delle donne riunite a Bogotà:

    " Che vergogna la guerra, fuori la guerra dalla storia!"

    Rispondi

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