Questo è un momento gandhiano globale? – Richard Falk

Il Mahatma Gandhi è morto da oltre 63 anni, eppure la sua rilevanza per la politica del nostro tempo non è mai stata maggiore. È un tributo al potere delle idee ispiratrici e della vita di Gandhi che la sua attuale influenza sia ben più grande che quella di ogni altro leader del secolo scorso. Rievochiamo nomi come Churchill, Franklin Roosevelt, Mao Tse-tung, Lenin, e Nehru come di individui che furono grandi leader del proprio tempo e restano personaggi storici d’importanza durevole, ma non parlano direttamente alle circostanze politiche del XXI secolo. Coloro che cercano di mettere in discussione ciò che costituisce un elemento di sfruttamento, distruzione, umiliazione, corruzione, e oppressione nel proprio ambiente sono del tutto indifferenti a questi agenti della storia passata o addirittura li ignorano. Invece, Gandhi rimane una figura torreggiante che pare altrettanto affascinante che quando lo era divenuta quel triste giorno del 1948 in cui morì per mano di un assassino nazionalista hindu.

Oltre quest’eredità c’è l’asserzione che stiamo effettivamente vivendo ‘un momento gandhiano’. Alcuni hanno evocato tale immagine per identificare ogni genere di azione di sfida politica diretta all’ordine costituito che sia basata in maniera inconsapevole su premesse nonviolente. Per esempio, un esimio studioso di Gandhi, Ramin Jahanbegloo, intitola un breve saggio sulla Rivoluzione Verde in Iran ‘Il momento gandhiano’, e tratta quelle coraggiose massicce sollevazioni seguite alle elezioni apparentemente rubate del 12 giugno 2009, come esempio di un evento storico che illustra l’impatto contemporaneo di Gandhi, al punto di rendere onore a tali eventi con l’etichetta di ‘momento gandhiano’. Egli crede inoltre che una serie di capi nazionali aderenti a una politica nonviolenta abbiano contribuito con una propria variante di momento gandhiano: Khan Abdul Ghaffar Khan, Martin Luther King, Jr., Nelson Mandela, Lech Walesa, Vaclav Havel, Benigno Aquino, Aung San Suu Kyi, e Ibrahim Rugova. Tutte persone ammirevoli che hanno combattuto coraggiosamente contro un ordine costituito oppressivo, ma trovo tuttavia che conferire alle loro attività l’imprimatur gandhiano ne diluisca e in qualche modo distorca l’effettiva eredità. O, per spiegare altrimenti la mia reazione, l’adesione a una politica nonviolenta è un elemento necessario ma non sufficiente per battezzare uno slancio politico occasionale come momento gandhiano.

Senza polemizzare con l’elenco di Jahanbegloo, noterei che parecchie delle persone incluse nel suo elenco erano praticanti di tattiche nonviolente senza neppur avere articolato un impegno incondizionato come quello che Gandhi assunse come segno distintivo della sua vita e della sua teoria. Per quanto ne so, Mandela non ha mai ricusato il suo sostegno alla resistenza armata al regime di apartheid in SudAfrica da parte dell’African National Congress. Aquino, pur un deciso democratico, non costruì un movimento popolare attorno a una politica nonviolenta, benché la sua vedova, Cory Aquino, guidasse il movimento di potere popolare che rovesciò il regime di Marcos nel 1986, ma di nuovo senza alcuna indicazione che venisse condotto da una cornice di principi incondizionati come quelli su cui insisteva Gandhi. E Rugova, pur sostenendo un’ingegnosa resistenza nonviolenta all’oppressivo governo serbo in Kosovo, accolse tuttavia l’intervento NATO del 1999, tenendo perfino una foto autografata di Madeline Albright alla parete del suo ufficio. In effetti, l’elenco di Jahanbegloo mescola varie gradazioni d’impegno nonviolento senza chiarire l’originalità della cornice obbligatoria di nonviolenza da parte di Gandhi in termini assolutistici. Tale cornice lo portò a formulare risposte imbarazzanti quando consigliò agli ebrei tedeschi di restarsene fermi di fronte alla persecuzione nazista o suggerì alle democrazie liberali di dissuadere Hitler dall’aggressione con un disarmo unilaterale o esortò i civili a fronteggiare i piloti aerei che sganciavano le bombe atomiche sulle città giapponesi con rassegnazione sacrificale pacifica e senza ostilità. Cito questi esempi non per criticare Gandhi, ma per chiarire l’estremismo della sua visione nonviolenta che non ammetteva eccezioni, indipendentemente da quanto fossero estreme le circostanze. Da tal punto di vista, non mi sento a mio agio a definire momento gandhiano il movimento verde iraniano, che aveva invece obiettivi riformistici piuttosto modesti anche al suo picco.

Eppure, sosterrei che stiamo vivendo ora sotto due aspetti alquanto diversi un momento gandhiano che si riferisce alla mia comprensione dell’originalità dell’etica e politica di Gandhi, e della spiritualità che la ispira. Secondo me le due caratteristiche più significative di un approccio specificamente gandhiano sono la sua connessione fra nonviolenza e vita nella verità (satyagraha) che produce il suo carattere incondizionato e la sua dedizione a quella che chiamo ‘la politica dell’impossibile’, cioè a obiettivi che stanno oltre i limiti del fattibile così come convenzionalmente inteso. Fu così per Gandhi quando sfidò il dominio imperiale britannico in India dopo la prima guerra mondiale, e fu ancor più caratteristico della sua visione filosofica anarchica dell’ India che non riuscì a realizzare. Suo ideale proclamato era un’India di villaggi autosufficienti con istituzioni statali minime e una presa di distanza dalle lusinghe corruttrici della modernità. Anche gran parte dei suoi stessi collaboratori, fra cui il grande Jawaharlal Nehru, optarono per una politica del possibile una volta conseguita l’ indipendenza dell’India, cercando di renderla uno stato normale. Tale normalità culminò nell’ acquisizione di armi nucleari da parte dell’India nel 1998, mossa che avrebbe certamente inorridito Gandhi.

Perché allora asserire che siamo nel bel mezzo di un momento gandhiano? Prima di tutto, poiché i vari movimenti e sommovimenti associati a e stimolati dal Risveglio arabo erano radicati nel loro impegno spontaneo in una politica dell’impossibile insieme a un’esplicita e coraggiosa dedizione a un confronto nonviolento. Ciò è stato tanto più vero in Tunisia ed Egitto dove, benché la traiettoria rimanga radicalmente incerta, quel che è stato conseguito può già qualificarsi come il raggiungimento dell’ ‘impossibile’. Alcuni mesi fa al Cairo, parlando con attivisti che erano stati in Tahrir Square, rimasi colpito dal loro commento uniforme di come fosse stata un’esperienza straordinaria partecipare a un processo inimmaginabile prima del significativo abbandono del potere da parte di Mubarak avvenuto sotto i loro occhi.

Se le proteste all’insegna di Occupiamo WallStreet, ormai presenti in 70 città americane, riusciranno a produrre un movimento di trasformazione, ciò rafforzerà questa realtà di un momento gandhiano anche se il nome di Gandhi non appare mai nei manifesti programmatici emessi dai convocatori. Voglio suggerire che si abbia un momento gandhiano ogniqualvolta sembrino manifeste le affinità interiori con l’eredità gandhiana, e non necessariamente quando venga apertamente riconosciuta la sua influenza e le sue conquiste.

C’è una seconda ragione per cui ritengo utile identificare il nostro tempo come momento gandhiano. Si tratta della nostra incapacità di affrontare una qualunque delle sfide globali più pressanti efficacemente e umanamente senza affidarsi sia a una politica dell’impossibile sia a un impegno incondizionato per la nonviolenza.

Fra quelle sfide, citerei le seguenti: mutamento climatico globale; disarmo nucleare; una pace Palestina/Israele sostenibile e giusta; scarsità d’acqua; transizione a un’economia post-petrolifera; un’economia mondiale equa e stabile; povertà estrema; e una democrazia globale. Ciascuna di queste sfide è travolgente, e il loro insieme fa presagire un futuro catastrofico per la specia umana. Tuttavia non possiamo conoscere il futuro, e dobbiamo mantenere alto lo spirito abbracciando forme appropriate di politica dell’impossibilità transnazionale, globale, regionale,  locale, e perfino forme personali di riappropriazione di politiche dell’impossibile. Se emergerà o meno un novello Gandhi in una tale situazione è quasi irrilevante per poter sostenere che essere consapevoli adesso vuol dire apprezzare il potenziale insito nello sperimentare i ritmi vibranti di un momento gandhiano!

10.10.11

?Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

Titolo originale: Is this a Global Gandhian Moment?

http://richardfalk.wordpress.com/2011/10/10/is-this-a-global-gandhian-moment/

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