4 Novembre: Compresenza dei morti e dei viventi – Nanni Salio

Chi meglio di Aldo Capitini ha saputo esprimere le insufficienze della realtà che ci circonda, sino a includere la vita di ogni essere, in una visione che anticipa quella di Raimon Panikkar della cosmoteandria (cosmo, divino, umano)?

Dice Capitini:

«Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell’essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com’è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà fatta così non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente, ed io mi apro ad una sua trasformazione profonda, ad una sua liberazione dal male nelle forme del peccato, del dolore, della morte. Questa è l’apertura religiosa fondamentale, e così alle persone, agli esseri che incontro, resto unito intimamente per sempre qualunque cosa loro accada, in una compresenza intima, di cui fanno parte anche i morti […]».

La compresenza capitiniana si applica a ogni vittima di tutte le guerre, passate presenti e future, e si applica in particolare anche a quei personaggi che il nostro mondo mediatico deumanizzante ha trasformato in icone, positive e negative: Che Guevara, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Gheddafi, per ricordarne solo alcune.

Vedere i corpi straziati di queste persone e delle innumerevoli vittime delle guerre dovrebbe muoverci a un rifiuto integrale della violenza in tutte le sue forme. Non meno drammatiche sono infatti le immagini delle innumerevoli vittime della violenza strutturale nella sua forma più endemica, quella della fame.

Ma tutto ciò non succede, o meglio non succede ancora, nonostante l’enorme quantità di documentazione e di denunce degli orrori della guerra, da Bertha von Suttner (Abbasso le armi! Storia di una vita, a cura di Giuseppe Orlandi con prefazione di Laura Tirone, Centro Stampa Cavallermaggiore, 1996) alla raccolta di fotografie che illustrano il libro di Ernst Friedrich Guerra alla guerra (Mondadori, Milano 2004), con la bella prefazione di Gino Strada (www.carmillaonline.com/archives/2004/11/001068.html ), alle immagini della distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki, a tantissime altre.

L’umanità è affetta da una sorta di patologia dalla quale deve riuscire a guarire, se non vuole autodistruggersi. Oggi, la lotta contro la guerra è una lotta contro il potere del complesso militare-industriale-corporativo-scientifico-mediatico. Siamo entrati in una pericolosa fase di crisi sistemica, prevista quarant’anni fa dal Club di Roma.

I movimenti che da piazza Tahrir a Wall Street stanno coinvolgendo soprattutto giovani e donne fanno ben sperare, ma a condizione che sappiano assumere pienamente mezzi e fini della lotta nonviolenta, seguendo le orme dei grandi maestri, da Gandhi a Capitini, da Mandela a Dolci. Anche i movimenti nonviolenti italiani debbono coinvolgersi in tali lotte, per aiutare a elaborare modelli di sviluppo, di difesa e di trasformazione nonviolenta dei conflitti che traducano in termini politici i principi fondamentali della nonviolenza.

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