Tutto inutile senza la riforma della finanza – Luciano Gallino

Il presidente Nicolas Sarkozy e il cancelliere Angela Merkel si sono incontrati a Berlino giorni fa (del presidente del Consiglio italiano nella Ue si son perse le tracce) e hanno annunciato che i loro paesi faranno il possibile per salvare le banche dell’eurozona. Innanzitutto punteranno a ricapitalizzarle, cioè ad accrescere il capitale di cui esse dispongono come riserva, a fronte d’una montagna di crediti a rischio e di debiti da pagare. Detto altrimenti, le banche sono riuscite a convincere gli amici che siedono nel consiglio direttivo della Bce a creare al computer tutto il denaro che occorre per toglierle dalla situazione in cui si sono cacciati da sole, contraendo debiti in misura di molto superiore a quanto permetterebbero le loro riserve.

Di sicuro non si tratterà di spiccioli. Le stime del capitale necessario per ricapitalizzare le banche si collocano tra i 250 e i 700 miliardi di euro. Ma non pochi analisti ritengono che anche la cifra più elevata rappresenti una sottovalutazione. Infatti alcuni gruppi bancari dell’eurozona hanno un rapporto tra debiti e riserve di 30: 1.

Ciò significa che su ciascun miliardo di riserva poggia una piramide rovesciata di 30 miliardi di debiti.

Ammettiamo pure che al punto in cui è giunta la crisi non c’erano alternative al salvataggio delle banche. Anche se non è vero, perché se l’aiuto della Bce equivale o supera il valore d’una banca tanto varrebbe nazionalizzarla.

Tuttavia il passo più rischioso cui Sarkozy e Merkel stanno spingendo la Ue consiste nel salvare le banche senza compiere alcun tentativo per avviare una vera riforma del sistema finanziario. È una seconda grande occasione che va perduta.

Le riforme del genere si riescono a fare soltanto quando sia i banchieri che i politici hanno paura che il mondo gli cada in testa. È accaduto nei primi anni 30, quando il presidente Roosevelt, a fronte del dramma sociale della Grande Depressione, riuscì a far passare una serie di nuove leggi, tra cui il famoso Glass-Steagall Act, che per oltre sessant’anni avrebbero rimediato alle follie della finanza degli anni Venti che avevano portato alla crisi. Ai nostri giorni, una prima occasione fu persa nell’autunno del 2008. In appena tredici mesi, a partire dall’agosto 2007, erano fallite o avevano dovuto essere nazionalizzate Bear Stearns, AIG, Fannie Mae e Freddie Mac (imprese semi-pubbliche specializzate nella cartolarizzazione dei mutui), e Lehmann Brothers negli Stati Uniti; Northern Rock, HBOS e la Royal Bank of Scotland in Gran Bretagna; Fortis, Anglo Irish Bank e Irish Nationwide nella eurozona.

Data la grande paura, se in quel momento i governi Usa e Ue avessero osato sarebbero forse riusciti a riformare sul serio il sistema finanziario internazionale. Con un risultato cruciale: avrebbero quasi certamente evitato il riesplodere della crisi nella primavera del 2010, camuffata adesso da crisi dei bilanci pubblici, ma che in realtà è una crisi dei bilanci delle banche.

Perciò il rinnovato salvataggio delle banche, prima in Usa e ora nella Ue, senza che si sia posto mano a una riforma del sistema, sta preparando una crisi ancora peggiore. Una riforma di Wall Street è stata in effetti varata in Usa nel luglio del 2010. Il guaio è che oltre a non essere affatto radicale, la lobby bancaria è riuscita a far sì che dei 500 decreti attuativi in oltre un anno ne siano stati approvati pochissimi.

Ma perché mai una riforma radicale del sistema finanziario si impone, senza la quale andremo a sbattere presto in una crisi ancora peggiore?

I motivi principali sono tre: il sistema finanziario è troppo grosso, complesso e opaco per venire assoggettato a qualsiasi forma di efficace regolazione.

Così com’è, non solo fa tutto quello che gli pare; impone pure i propri interessi ai governi, come mostra pure ai ciechi il caso attuale dell’austerità imposta ai paesi Ue.

I gruppi finanziari salvati dallo stato a suon di trilioni di dollari e di euro spesi o impegnati (più di 15 in Usa, almeno 3 nella Ue) sono ora, in termini di attivi in bilancio, grandi il doppio.

I primi venti del mondo hanno ciascuno attivi tra 1 e 2 trilioni di dollari, cifre che si collocano, come equivalenza, tra il cinquanta e il cento per cento del Pil dell’Italia. Ci provi, un qualsiasi governo, a opporsi ai voleri di simili colossi.

In secondo luogo ogni gruppo è formato da centinaia e a volte migliaia di consociate operanti in ogni settore della finanza, ciò che rende impossibile a qualsiasi regolatore un esame analitico delle loro attività.

Infine una parte considerevole di queste attività si svolge in modo del tutto opaco. Si stima che essa sia almeno pari alla quota che figura in bilancio, ma vi è ragione di credere che sia molto più elevata. È lo sterminato dominio della finanza ombra, ed è qui che si trova la causa prima della crisi del 2007. I mutui facili o sub-prime hanno funzionato soltanto da innesco. In sostanza, di tutti i molti modi per organizzare l’attività bancaria, il peggiore è quello che abbiamo oggi. Un parere di Sir Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra, espresso già un anno fa.

Sarà perché è quello che ha subito i colpi più duri della crisi dal 2007 in poi, ma il Regno Unito è l’unico paese Ue in cui siano state avanzate delle proposte di riforma del sistema finanziario di cui valga la pena parlare.

Perfino il rapporto della Commissione sull’attività bancaria – definita indipendente, ma assai vicina ai banchieri – presentato al governo nel settembre 2011 indica una serie di vizi del sistema finanziario che andrebbero decisamente corretti. Essi vanno dalla commistione delle attività commerciali con quella di investimento alle dimensioni esorbitanti che rendono le banche troppo grandi per lasciarle fallire; dall’eccessiva assunzione di rischi all’uso di un altissimo effetto leva (che significa contrarre debiti enormi con scarsi capitali propri).

Rispetto alle riforme che sarebbero davvero necessarie, si tratta di poco più di un’aspirina, come altri rapporti inglesi hanno subito rilevato. Ma è comunque l’avvio di una seria discussione politica, condotta in prima persona dal cancelliere dello Scacchiere Osborne, che tra l’altro ha fatto sua l’idea di separare nelle banche le attività commerciali dalle operazioni di investimento in proprio.

Nell’eurozona, mentre i governanti si impegnano a salvare i maggiori gruppi bancari, che diventeranno così ancora più grossi e complessi, le riforme di cui si parla puntano sulla necessità di accrescere la trasparenza delle loro attività. Le quali sono opache e non regolabili appunto perché quei gruppi sono troppo grossi e complessi. Chissà che prima o poi qualche gruppo di indignados non arrivi a spiegarlo ai governi dell’eurozona.

 

Fonte: La Repubblica – 16/10/2011

 

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