L’Algeria e le rivoluzioni arabe – Abbas Aroua

Molti continuano a chiedersi perché l’Algeria non abbia preso il treno delle rivoluzioni partecipando alla “primavera araba” del 2011. Finirà con l’essere un’eccezione? Finirà col perdere questa “finestra storica” per liberarsi? L’ultimo paese della regione a liberarsi di una dittatura militare corrotta e insensibile? Gli algerini sono meno determinati ad afferrare la libertà e una vita decente rispetto a tunisini, egiziani, yemeniti e altri? Per rispondere a tali domande importanti e legittime ci serve una breve ricostruzione storica.

Il popolo algerino, che passò nel 1962 da una dominazione del brutale potere coloniale francese a un potere repressivo indigeno, fu il primo del mondo arabo a impegnarsi verso la fine degli anni 1980 in una lotta nonviolenta contro il dispotismo e la corruzione. Il movimento iniziò in alcune città orientali e si diffuse all’Algeria centrale raggiungendo Algeri nell’ottobre 1988. Le dimostrazioni pacifiche furono schiacciate da un pesante intervento militare che risultò in centinaia di giovani uccisi. Il sangue di questi innocenti costrinse il regime a permettere qualche apertura nella politica e nei media. Gli algerini per la prima volta provarono la libertà d’espressione e praticarono i loro diritti civili. Vennero varati dozzine di giornali e s’istituirono oltre sessanta partiti politici in rappresentanza dell’ampio spettro politico algerino. Per tre anni (1989-1991) l’Algeria visse quella che si sarebbe definita una “parentesi democratica”.

Dopo le elezioni locali del 1990, la prima tornata di elezioni generali fu organizzata nel dicembre 1991. I vincitori furono il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), al governo dell’Algeria fin dall’indipendenza, il Fronte delle Forze Socialiste (FFS), un partito di sinistra contrario al regime dal 1963, e il Fronte di Salvezza Islamico (FIS), un nuovo partito creato nel 1989, vincitore con distacco sia delle elezioni generali sia locali.

I risultati di questa consultazione elettorale non garbavano all’establishment militare e dei servizi di sicurezza. Un colpo di mano di un “gabinetto nero” sostenuto dal governo francese ebbe luogo l’11 gennaio 1992, aprendo le porte dell’inferno per il popolo algerino.

Ne seguì una campagna di repressione su vasta scala; che dapprima ebbe come bersaglio membri e simpatizzanti FIS estendendosi alla sua base sociale e poi all’intera popolazione. Iniziò con arresti di massa di giovani all’uscita delle moschee dopo le preghiere del venerdì e andò crescendo: detenzione e deportazione arbitraria di decine di migliaia di persone in vari campi di concentramento nel Sahara, alcuni dei quali erano serviti come siti sperimentali nucleari francesi, uso sistematico della tortura in centri detentivi gestiti dalla polizia, la gendarmerie, e dai servizi segreti (DRS). La gioventù algerina, sottoposta a umiliazioni e maltrattamenti, o con la paura di venire arrestata e torturata, fu costretta a impegnarsi in una difesa violenta e formò i Gruppi Islamici Armati (GIA). Questi gruppi furono allora combattuti dal regime militare con una strategia contro-insurrezionale, infiltrando alcuni gruppi, creando finti GIA, e armando decine di migliaia di miliziani.

Le forze armate complessive controllate dal DRS si buttarono in una spaventosa campagna di uccisioni di massa: esecuzioni extragiudiziarie e massacri diffusissimi. In un decennio (gli anni 1990) la brutale repressione risultò in 250.000 morti, 20.000 sparizioni, decine di migliaia di sopravvissuti alla tortura sofferenti di traumi fisici e psicologici, centinaia di migliaia di sfollati ed esiliati.

Il decennio successivo (era di Bouteflika, che salì in carica nel 1999) è caratterizzata da meno violenza diretta, ma più violenza strutturale (povertà, regressione dei servizi pubblici sanitari, educativi, abitativi, ecc.) e corruzione diffusa.

Il regime militare non sarebbe riuscito a mantenere il controllo sulla società algerina senza le varie forme di sostegno (politico, diplomatico, militare, di spionaggio, economico, finanziario, ecc.) dell’ Europa e degli Stati Uniti. Tale sostegno era molto costoso. Fin dall’inizio il regime militare ha accettato di fare molte significative concessioni. A livello politico, l’Algeria ha rinnegato gli elementi basilari della propria politica estera: non-allineamento, auto-determinazione per tutti i popoli, sostegno ai movimenti di liberazione in lotta contro il colonialismo e l’imperialismo. Nel 1995 l’Algeria firmò il Trattato di Non Proliferazione dopo anni di diniego argomentato, avendo sostenuto che tutti i paesi, comprese le potenze nucleari, devono essere trattate in modo uguale. Lo stesso anno la diplomazia algerina a Washington promise di “normalizzare” le relazioni con Israele. A ciò seguirono ulteriori passi culminati nell’abbraccio cerimoniale del 1999 fra Bouteflika e Barak (primo ministro israeliano, ndt) durante i funerali del re Hassan II del Marocco, interpretato come segnale positivo di accettazione d’Israele, e l’incontro Bouteflika-Peres del 2005 in Spagna. A livello militare l’esercito e lo spionaggio algerini infransero un grosso tabù prendendo parte alle manovre NATO nel mar Mediterraneo con Israele e organizzando manovre militari congiunte algerino-USA nel Sahara, e permettendo a CIA e FBI di aprire uffici in Algeria.

A livello economico, il regime algerino ha aggiudicato ai paesi occidentali, particolarmente gli USA, enormi concessioni petrolifere nel Sahara. Vasti territori dell’Algeria meridionale, dove le compagnie petrolifere straniere gestiscono i propri affari e portano con voli diretti il proprio personale tecnico e di sicurezza, sono quasi proibite ai cittadini algerini che necessitano di uno speciale lasciapassare per entrarvi.

Dall’11 settembre in poi, il supporto USA al regime militare algerino è molto aumentato. Con la propria lunga esperienza nel terrorismo di stato, l’Algeria ha fatto in modo di vendersi come stato con la migliore perizia nella guerra di “contro-terrorismo” proponendo di trasferirla a livello globale. “Esperti” algerini sono stati regolarmente inviati negli USA per “insegnare” alle loro controparti come trattare i gruppi islamici armati. L’Algeria ha importato tecnologia repressiva dall’Occidente esportando tecniche repressive sviluppate durante gli anni 1990. Questa partnership continua tuttora nell’ambito della lotta contro la cosiddetta Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), versione regionale dei GIA degli anni 1990, usata a pretesto per la repressione da parte del regime algerino di ogni forma di resistenza. AQMI serve gli interessi sia del regime algerino, che la usa come alibi per sopprimere libertà e diritti fondamentali, sia degli USA che mirano a controllare il Nord Africa e il Sahel.

Nel 2011 il popolo algerino è tuttora in uno stato collettivo di disordine da stress post-traumatico. La società è indebolita dalla perdita di tante risorse umane specialmente fra i giovani. Gli algerini già faticano a risolvere i propri problemi quotidiani. Ogni giorno si contano tafferugli e scioperi in tutto il paese, motivati da rivendicazioni sociali. Ma questo movimento di protesta manca di coordinamento nazionale, di strategia, e di una forza organizzata che lo guidi e lo trasformi in una lotta politica. Questo spiega in parte perché l’Algeria non fosse fra i primi paesi nordafricani a lanciare la Primavera Araba.

Ma gli algerini sono sempre più consci di queste limitazioni, e ci sono segni premonitori che in un futuro prossimo il popolo algerino comincerà la sua lotta per la libertà e un radicale cambiamento politico che istituisca uno stato di legalità e buon governo. Preghiamo che ciò venga conseguito con una resistenza e azioni nonviolente.

 

* Abbas Aroua insegna in una scuola medica a Ginevra. È Coordinatore della Rete TRANSCEND per il mondo arabo.

05.09.11 – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

Titolo originale: Algeria and the Arab Revolutions

http://www.transcend.org/tms/2011/09/algeria-and-the-arab-revolutions/

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