L’harakiri dell’Europa in Libia – Sreeram Chaulia

Mentre l’economia europea si indebolisce per l’incontrollata spregiudicatezza fiscale e per le paure del contagio dei default nazionali, sembra assurdo che Gran Bretagna e Francia stiano guidando una sempre meno ricca coalizione della NATO in un attacco militare contro la Libia. Stati a rischio default, che stanno affrontando enormi proteste dei propri cittadini infuriati, stanno portando avanti una guerra sconcertante in Nord Africa.
Dopo i primi raid aerei statunitensi contro le difese del dittatore Libico Muammar Gheddafi, l’amministrazione Obama ha fatto un passo indietro lasciando gran parte delle operazioni a Gran Bretagna e Francia sotto la bandiera della NATO. Il passaggio del testimone ha avuto un senso pragmatico per Washington che, dal salvataggio delle banche del 2008-2009, è sotto forte pressione per ridurre il sempre maggiore deficit di bilancio.
Anche l’avere un ruolo secondario nel conflitto libico rispetto a Francia e Regno Unito è stato comunque oggetto di discussione negli Stati Uniti, con l’opposizione Repubblicana che si è sgolata denunciando che Obama avesse intrapreso una guerra de facto senza l’autorizzazione del Congresso. Venerdì scorso la Camera dei Rappresentanti ha votato a stragrande maggioranza contro l’approvazione formale alla partecipazione americana nei combattimenti in Libia.
Il recente dibattito televisivo dei candidati Repubblicani per l’elezione presidenziale ha rivelato una vena isolazionista ma attenta al bilancio fra i candidati supportati dai Tea Party. Hanno rotto le fila dei Repubblicani tradizionali sostenendo che gli Stati Uniti devono mettere a posto la loro indebitata economia e districarsi completamente dalla lenta e logorante guerra in Libia (oltre che tirarsi fuori dall’Afghanistan).
Ma Regno Unito e Francia non sono state così sagge, stanno svuotando le loro povere tesorerie per finanziare un attacco aereo contro la Libia. Stando al Ministero della Difesa francese, Parigi sta spendendo 1,4 milioni di dollari al giorno per la guerra, mentre alcuni prevedono che la Gran Bretagna possa andare a spendere 1,4 miliardi di dollari se continuerà a colpire i bersagli in Africa fino a settembre.
Alcuni media occidentali hanno preso in giro il ridicolo spettacolo di Gheddafi che ride divertito giocando a scacchi con un dirigente russo mentre la Libia era in fiamme. Invece i governi di Francia e Gran Bretagna non stanno facendo altro che perdere tempo, mentre a Londra e Parigi gli scontri per i tagli alla spesa stanno diventando feroci.
Sarebbe davvero una politica misera se il Primo Ministro Briannico David Cameron e il Presidente francese Nicolas Sarkozy stessero usando la missione libica come diversivo per tranquillizzare i cittadini furiosi per le economie stagnanti. L’eventuale cacciata di Gheddafi non ridarà ai francesi e ai britannici il loro lavoro, non sovvenzionerà le loro scuole o il loro stato sociale.
Se Cameron e Sarkozy stanno scommettendo sul keynesismo militare (una teoria economica che sostiene che i grandi costi di una guerra possono tirare fuori un paese dalla recessione incrementando la domanda per l’industria militare e i settori dei macchinari pesanti), la storia dimostra che le passate guerre di Suez (1956) e delle Falkland (1982) non hanno magicamente portato Regno Unito e Francia fuori dalle crisi economiche.
Quegli alti ufficiali delle forze aeree e navali britanniche, che hanno segnalato che la capacità della propria aviazione verrà compromessa se la guerra di Libia proseguisse per un periodo indefinito, sono stati addirittura rimproverati da Cameron. Il Primo Ministro Conservatore con una nota perentoria ha detto che l’esercito britannico avrebbe continuato la guerra in Libia “per tutto il tempo necessario”.
La geopolitica è una ragione plausibile per l’entrata in guerra contro la Libia delle indebitate Parigi e Londra. Alcuni strateghi statunitensi hanno commentato che il Nord Africa è un “affare europeo”, cioè una sfera d’influenza di grandissimo valore strategico per l’Europa, piuttosto che per gli Stati Uniti.

Nonostante la presenza europea nel mondo sia diminuita negli ultimi anni mentre quella della Cina si sia espansa, per alcuni esperti di politica estera in Europa la brama di dominio in Africa è vista come un fatto naturale. La denominazione delle regioni africane come “anglofone”, “francofone” e “lusofone” è dovuta a una mentalità nostalgica neocoloniale.
In secondo luogo, i responsabili politici europei stanno innervosendosi per la micidiale arma scatenata da Gheddafi dall’inizio della guerra, ossia gli immigrati e i rifugiati africani diretti verso l’Italia prima e poi filtrati attraverso le frontiere nel resto dell’Europa.
Fino ad ora gli immigrati clandestini erano tenuti sotto controllo dal regime di Gheddafi in cambio di concessioni simboliche e economiche dell’Unione Europea. Quel patto sinistro, dove disperati esseri umani erano pedine di giochi diplomatici internazionali, è venuto meno nel momento che la NATO ha iniziato a bombardare la Libia.
Così, Gran Bretagna e Francia (senza curarsi dell’agonia italiana dovuta all’enorme massa di rifugiati innescata dai bombardamenti NATO) stanno apparentemente lottando per cacciare Gheddafi e installare un governo amico che ponga un freno all’esodo africano come una questione politica.
Anche qui le contraddizioni sono lampanti. Un’Europa che sta invecchiando e che sta calando demograficamente, in realtà ha bisogno di lavoratori più o meno qualificati dai paesi in via di sviluppo. Aprire la “fortezza Europa” è una buona cosa per l’economia, ma pessima per la politica basata sulla discriminazione razziale e religiosa in Gran Bretagna e in Francia.
Vale la pena ricordare che Francia e Gran Bretagna hanno per lungo tempo coccolato i dittatori arabi del Nord Africa, tra i cui il deposto Ben Ali in Tunisia e lo stesso Gheddafi, “riabilitato” diplomaticamente verso l’Occidente qualche anno fa con l’arrivo delle compagnie petrolifere europee in Libia. La miglior proiezione della guerra europea in Libia vedrebbe Parigi e Londra fare ammenda per i loro crimini passati e per le politiche sbagliate, ma questi cambi di rotta sono costosi e insostenibili in questo periodo di stasi economica.
La dichiarazione retorica che Gran Bretagna e Francia stiano salvando la popolazione libica dai massacri sostenuti dal regime di Gheddafi con una guerra a scopi umanitari solleva una questione ancora più profonda: perché Cameron e Sarkozy non si sono mossi in modo umanitario nei confronti delle masse dei propri cittadini che sono in pericolo per via della crisi economica?
Le fragili economie europee sono in una situazione così misera che non possono scacciare via il classico modello “burro o cannoni”. Gran Bretagna e Francia sono prossime a una tragedia, e quando hanno scelto di condividere truppe, portaerei, avamposti per armi nucleari, hanno perso la loro sovranità tentando di portare un po’ di quei fondi terribilmente richiesti nei loro rispettivi bilanci militari. La loro guerra in Libia mostra la loro scarsa lungimiranza.
La Germania, che è stata massacrata dalla stampa anglo-americana per essersi sottratta allo sforzo bellico in Libia, si sta comportando in modo più umano rispetto a Gran Bretagna e Francia, occupandosi dei propri cittadini in questi tempi duri. Ironicamente la sua posizione neutrale sulla Libia si sta dimostrando saggia per gli interessi dell’Unione Europea tormentata dalla crisi, la cui sopravvivenza dipende da una stabile ripresa economica e non certo da una vittoria di Pirro sul campo militare.
Cameron e Sarkozy stanno mandando in bancarotta i loro paesi e mettendo in pericolo il grande progetto di integrazione europea. Nell’opinione pubblica lo scetticismo nei confronti dell’Unione aumenta di giorno in giorno anche per via delle missioni in Libia dei jet francesi e britannici. Il fantasma di Nerone si è impossessato delle classi dirigenti di Londra e Parigi.
Queste due capitali sono condannate a bruciare fino a che politici responsabili non prenderanno il potere e sistemeranno questo pasticcio.

29 giugno 2011

Sreeram Chaulia è professore e vicepreside della Jindal School of International Affairs di Sonipat in India, e autore di “International Organizations and Civilian Protection: Power, Ideas and Humanitarian Aid in Conflict Zones“, I B Tauris, Londra.

Fonte: www.atimes.com/atimes/Middle_East/MF28Ak01.html 28.06.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di REIO

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=8535

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