La musica a Terezìn 1941-1945 – Recensione di Loredana Arcidiacono

Joza Karas, La musica a Terezìn 1941-1945, il melangolo, Genova 2011, pp. 336, € 18.00

23 giugno 1944. Aiuole di rose abbelliscono la piazza. I bar sono aperti quando una troupe televisiva, munita di fari, telecamere, microfoni e altre attrezzature, giunge a Terezìn, allestita per sembrare una vera e propria località di villeggiatura. Nelle intenzioni dei nazisti mostrare un campo modello da presentare al mondo, attraverso gli inviati della Croce Rossa. Sembra inverosimile ed irreale immaginare intense attività musicali proprio in un campo di concentramento, ma la musica a Terezin, anche se poco conosciuta, è una realtà storica ben documentata, grazie anche al lavoro capillare durato 11 anni di Joza Karas. Numerosi furono i compositori prigionieri che trovarono la forza di copiare a mano su carta di pessima qualità rischiando la vita, spartiti per un’orchestra formata da dilettanti e professionisti che suonavano strumenti sgangherati introdotti clandestinamente nel campo. Proprio in occasione della visita della Croce Rossa ebbe luogo la messa in scena con costumi e scenografie originali ad opera degli internati dell’opera in due atti di uno di loro, il musicista Hans Krása. Si trattava del “Brundibar” per dieci bambini solisti, coro ed ensemble strumentale. L´opera racconta la storia di due fratellini, Aninka e Pepicek orfani di padre che hanno bisogno di latte per la loro madre ammalata ma non hanno denaro a sufficienza. Si avventureranno soli per il paese improvvisando canti e balli e chiedendo l’elemosina. Il cattivo e prepotente musicista ambulante Brundibàr li scaccerà via ma con l´aiuto di un cane, un gatto e un passerotto e di tutti i bambini del quartiere, i due protagonisti riusciranno a far sentire la loro meravigliosa canzone: “Se vogliamo, ce la facciamo, mano nella mano, strettamente uniti. Nonostante i tempi crudeli abbiamo il coraggio nel cuore. Ogni giorno continuiamo, avanti e indietro. E scriviamo lettere di sole trenta parole. E domani la vita ricomincia. E con lei s’avvicina il tempo in cui riempiremo i nostri piccoli bagagli e torneremo a casa. Se vogliamo ce la facciamo mano nella mano, strettamente uniti. E noi rideremo sulle rovine del ghetto”.

Finite le riprese, tutti i protagonisti dello spettacolo vennero deportati ad Auschwitz e quasi tutti vennero sterminati.

La forza della musica, capace di lottare fino all’ultima nota contro l’annientamento della natura umana, è la prova che persino nei campi di concentramento gli individui sono riusciti a creare ed apprezzare delle opere d’arte, indice della vittoria dell’umano, dell’irriducibilità dello spirito umano anche nelle circostanze più terribili”

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