Rivoluzione in Medio Oriente e Nordafrica e contro-rivoluzione

Johan Galtung

Chandra Muzaffar, nel suo superbo JUST Commentary di marzo 2011, propone a Gheddafi di dimettersi, aggiungendo che così facendo potrebbe essere ricordato “per alcuni suoi successi eccellenti nei primi decenni del suo governo – quali la chiusura dell’enorme base aerea USA in Libia nel 1970; la sua nazionalizzazione del petrolio; il ruolo chiave da lui giocato nella riorganizzazione dell’OPEC che le permise di emergere come potente cartello che sfidava il predominio occidentale sul settore petroliero; il suo grandioso progetto di corsi d’acqua artificiali per irrigare terre desertiche; i suoi programmi di case popolari per la fascia di società a basso reddito; e altri programmi infrastrutturali”. Tutti assenti dai media mainstream.

Vi si aggiunga il suo ruolo nel plasmare la Lega Araba, frustrato dal cavallo di Troia a sostegno USA – che richiama la storia greca così come la NATO con la sua operazione “Alba d’Odisseo”, molto duratura, come fa notare Paul Scott – dei regni, sceiccati, emirati del Golfo (Nasser si liberò d’uno di questi).  E si tenga anche conto del suo ruolo nel far progredire l’Unità Africana verso l’Unione Africana quando si rivolse al Sud anziché all’ Est. E si capisce il motivo per cui l’Occidente, non solo gli USA, l’odiassero fin dall’inizio. Ma poi divenne una vittima del proprio successo; un despota, un dittatore, che si considera indispensabile.

La rivolta araba di questa primavera araba ha 5 caratteristiche: è anti-autocratica, anti-cleptocratica, anti-imperialista, per i giovani, per le donne.  Il profilo di Ghedddafi è misto, ma non a -5 come Mubarak o a -4 per Ben Ali (Bourguiba aveva reso la Tunisia un precursore nel mondo arabo-musulmano per l’assetto di genere); né a -5 come per la casa reale saudita e la dirigenza del Bahrain e dello Yemen. La macro-storia si muove piano. Nasser e Gheddafi hanno stabilito la rotta; nessuno s’aspetterebbe che riescano immediatamente. Saranno entrambi ricordati quando i nani occidentali attuali verranno dimenticati.

Ed ecco la contro-rivoluzione, pianificata molto tempo fa.  La CIA istituì il “Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia”, (National Front for the Salvation of Libya, NFSL), nel 1981, seguito dall’“Esercito Nazionale Libico”, oggi noto come i ribelli di Bengasi. Il 2 novembre 2010 fu firmato l’accordo anglo-francese per attaccare la Libia non oltre il 30 gennaio 2011; per la prima volta dopo l’attacco all’Egitto nell’ottobre 1956. Con ogni probabilità l’attacco alla Libia è destinato a finire altrettanto male. Abbiamo già la sensazione che Obama stia prendendo le distanze dall’attacco a guida francese, che ripropone una certa misura di ruolo imperiale per una Francia che ha pagato caro il suo rientro nella NATO. Forse che Sarkozy, le petit Napoléon, spera di subentrare con la progressiva insolvenza degli USA, il cui servizio al debito è già a 41 centesimi per ogni dollaro federale speso? Beh, lo vedremo presto – ma la NATO è tuttora sotto comando USA e l’UE è tuttora incapace di formulare una politica comune, indipendente.

L’Occidente ha sacrificato figure non fondamentali come Ben-Ali e Mubarak, e poi ha usato la Libia per creare un’emergenza umanitaria costruita artificiosamente. Chi uccide più civili, con bombe a grappolo o uranio impoverito, resta da vedersi. Ma nelle città riconquistate da Gheddafi non ha avuto luogo finora alcun massacro, come fa notare Stephen M. Walt su Foreign Policy (“L’America è drogata dalla guerra? Le 5 principali ragioni per cui continuiamo a invischiarci in stupide battaglie”). A differenza delle truppe USA, con scarponi e fucili, che passano di casa in casa.

L’alleanza mobilitata da Hillary Clinton, profondamente cristiano-sionista, a combattere Gheddafi ha ottenuto un Sì [per l’intervento] da 10 su 15 membri del Consiglio di Sicurezza ONU (UNSC), mentre metà dell’umanità – BRIC+Germania – optava per l’astensione: né contro il salvataggio dei civili, né per un umanitarismo selettivo. Nella Lega Araba hanno votato solo 11 dei 22 membri, 9 a favore e Siria-Algeria contro (La Siria può essere il prossimo bersaglio USA). Solo il Qatar e la UAE (United Arab Emirates, emirati arabi uniti) partecipano militarmente; il Qatar con la solita ambiguità, l’UAE senza ambiguità nel suo atteggiamento pro USA.

NATO: la sua prima invasione in Africa, dopo svariate in Asia.

Nessun attacco, nessun nemico comune, nessuna discussione, nessuno voto, nessun consenso. Un esempio di democrazia, di trasparenza? Germania e Turchia sono contrarie e rifiutano ruoli combattenti; la Turchia coinvolta in complesse mediazioni, con il primo ministro dedito a Gheddafi e il ministro degli esteri attivo su Bengasi. Gheddafi sembra aver voluto passare dalle società petrolifere occidentali a quelle russe, indiane e cinesi, come Saddam Hussein passò dai dollari agli euro. Bengasi dice che quando avrà vinto, i contratti sul petrolio saranno conferiti a quelli che l’hanno aiutata. La piccola Norvegia, stato che un tempo possedeva una società petrolifera, Stat-Oil, e ora ha una società petrolifera che possiede uno stato o così pare, si dà da fare a persuadere altri paesi a comprare la sua formula, non sviluppando la propria, come fece a suo tempo la Norvegia stessa; e adesso è in guerra con 4 paesi musulmani, Obama con 6, ce ne sono altri 51 a cui pensare.

Africa: è la chiave di tutta la dinamica. Nel 1956 la Libia, ancora posseduta principalmente dagli anglo-francesi, dopo essere diventata colonia italiana nel 1911, avea minacciato di unificarsi, rendersi indipendente e stabilire legami con la Cina. La NATO vuole controllarla mediante l’AFRICOM e l’EUCOM – tre parole diverse per dire Pentagono – e qui è dove la Libia entra in gioco; il rifiuto dell’AFRICOM con Sudan, Eritrea, Zimbabwe e Costa d’Avorio (e Sahrawi). Niente basi USA, quindi paesi da soggiogare.

L’operazione libica può incendiare l’Africa. Si ascoltino le mediazioni turca e africane: una Libia che si democratizza e Gheddafi che si dimette rimanendo in una posizione onoraria e nel paese.  Ovviamente Bengasi ha respinto la proposta, come pure il segretario generale islamofobo NATO che vuole portare Gheddafi al Tribunale Penale Internazionale.

C’è stata della nonviolenza, ma non quella gandhiana. Gandhi non dipingeva in bianco e nero ma cercava il positivo, impegnandosi in azioni costruttive, dialogo, compromesso. Questa nonviolenza invece ha un brutto sapore di “rivoluzione colorata” del Pentagono.


18 aprile 2011 – TRANSCEND Media Service

Titolo originale: Mena Revolution and Counter-Revolution

 

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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