PillolAcquosa

Mentre ci prepariamo a votare Sì al referendum del 12-13 giugno 2011 (www.referendumacqua.it www.acquabenecomune.org www.acquapubblicatorino.org) ho creduto utile condividere con chi legge questi due contributi. Buona lettura, e temperiamo le matite.

 

Vi chiedo pietà per l’acqua (di Guido Ceronetti, da «La Stampa»)

Anche l’acqua è una specie in estinzione, la dolce, la potabile o depurabile. Le risorse disponibili, calcolate in dieci milioni di chilometri cubi, non sarebbero esigue in un pianeta popolato come mille anni fa e sul quale la popolazione umana rimanesse stabile: ma stiamo oltrepassando, se non sbaglio, il sesto miliardo. In questo mezzo secolo la superficie verde, per abbattimenti, siccità e incendi si è ridotta di un terzo. (…)Nel 1997 non si è quasi più vista la pioggia in Italia settentrionale; la terra rifiuta il seme. La pioggia è vista molto male dai turisti, dagli sportivi, dai dementi dei Grandi Esodi: ancora pochi anni e il loro giubilo non avrà più limiti, ne cadrà sempre meno perché il ricambio di umidità è definitivamente compromesso. (…) Un pianeta senz’acqua è un pianeta morto, amen, a questo bisogna pur arrivarci, (…)L’acqua che scorre copiosa dalle docce e dai rubinetti, invitando a un consumo senza freni è terra sottomessa (..) per il bisogno basterebbe un bottiglione da due litri, ne distruggiamo sessanta o settanta, per sadismo inconscio, ma non del tutto, perché c’è un piacere nel far scorrere l’acqua, soltanto chi ne soffre, chi prova orrore dello spreco, chi è sensibile alla sofferenza dell’acqua imprigionata nei tubi, chi sente l’acqua come se stesso, imprigionato e gettato negli scarichi, avvelenato dalle schiume, non ha il marchio del sadico. (…) La fine dell’acqua è cominciata quando è cessata la fatica per procurarsela. La sorgente lontana attenuava l’istinto sadico. Il secchio e la brocca lo tenevano a freno. (…)

(da M. Pallante, Un miracolo economico inutile e inquinante, «Oltre lo sguardo», Coordinamento comasco per la pace, set-ott 2007): Alla fine dell’Ottocento, quando mia nonna era bambina, la sua famiglia viveva in una casa in cui non c’era acqua corrente, come in quasi tutte le case. Così ogni giorno dovevano andare a prenderla alla fontana nella piazzetta vicina. La vedo con gli occhi dell’immaginazione scendere le scale carica di brocche e secchi, fare un piccolo tratto di strada, mettersi in coda chiacchierando con le altre donne e le altre bambine in attesa del loro turno, tornare a casa portando a braccia i recipienti pieni. Una vita faticosa e dura. Oggi, dopo più di cent’anni di progresso, nei supermercati le persone riempiono i carrelli di bottiglie di plastica piene d’acqua, le scaricano nei portabagagli delle automobili, con cui le portano nelle loro abitazioni, le scaricano dai portabagagli e le portano a braccia in casa. Proprio come faceva mia nonna, ma con sei differenze:

1. Mia nonna era costretta a fare la fatica di portare a braccia l’acqua in casa. La sua non era una scelta; 2. Mia nonna per portare l’acqua a casa doveva soltanto scendere le scale e fare un breve tratto di strada a piedi. Oggi le persone per coprire il tragitto casa-supermercato-casa usano l’automobile, impiegano più tempo, hanno costi di trasporto e consumano fonti fossili…; 3. L’acqua che portava a casa mia nonna era attinta dalla falda idrica sottostante; l’acqua in bottiglia viene da centinaia, migliaia di chilometri di distanza. Ha un costo di trasporto e consuma fonti fossili…;4. I recipienti di metallo con cui mia nonna trasportava l’acqua erano sempre gli stessi; quelli tutilizzati oggi sono di polietilene tereftalato (Pet) monouso. Per produrli si è consumato petrolio (…); si è consumato gasolio per trasportarli (…); altro gasolio si consumerà per portarli dalle abitazioni ai cassonetti della raccolta differenziata. (…); 5. La produzione di un chilogrammo di Pet richiede 17,5 chilogrammi di acqua (…). Pertanto, per trasportare 45 litri d’acqua se ne consuma quasi la metà. A mia nonna poteva caderne qualche goccia per strada se riempiva troppo i recipienti. (…); 6. L’acqua che portava a casa mia nonna non costava nulla, l’acqua in bottiglie di plastica costa. (…) Rispetto ai tempi di mia nonna, per fare la stessa fatica e avere la stessa utilità ci vuole più tempo, si inquina molto, mentre prima non si inquinava affatto, e si paga, mentre prima non si pagava. (…).

(da G. Ceronetti, Vi chiedo pietà per l’acqua, «La Stampa»): Inoltre, sia da noi che nel resto d’Europa, è tollerato l’imbottigliamento in plastica, che il consumatore orbo ha accolto con favore, per un risparmio sul vetro di poche lire. (Vorrei farvi vedere una cosa e darvi un suggerimento, ricordandovi che una bottiglia di plastica (Pet o Pvc) impiega da 100 a 1000 anni – sì avete letto bene, non è un errore, mille anni per scomparire: mostro la bottiglietta di plastica, riempita di acqua del rubinetto nel bagno, che mi sono portata da casa, e che era una bottiglietta dello yogurt). E la bottiglia di plastica è altro brutto: come fa quel che è brutto essere anche buono? E qual è l’esito della brillante operazione industriale-commerciale che ha introdotto la plastica nel consumo dell’acqua? Una quantità – calcolabile in miliardi – di bottiglie non frangibili e non riciclabili che galleggiano sui fiumi e che la risacca ributta sulle spiagge, pressate nelle discariche o destinate a produrre diossina negli inceneritori. (…) I veleni industriali finiscono quasi tutti nelle acque dolci; la porosità magica della terra li conduce fino alle falde. Le schiume casalinghe di Pinerolo arrivano fino ai pinguini. (…)


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